
Ad aprile 2025, il piano tariffario aggressivo annunciato da Trump sui semiconduttori ha riacceso il dibattito sul protezionismo industriale. Obiettivo: rilanciare la produzione interna e ridurre la dipendenza dalle forniture asiatiche. Nel settore dei chip, dominio di Taiwan e oggetto di contesa tra Stati Uniti e Cina, la competizione cresce a livello globale. In gioco c’è la supremazia tecnologica delle potenze del futuro.
Semiconduttori e Trump: il reshoring industriale
In una serie di dichiarazioni rilasciate durante comizi e interviste, Trump si è espresso anche in materia di semiconduttori. Ha infatti chiarito la sua intenzione di imporre dazi che potrebbero superare il 100% su chip e componenti elettronici importati, in particolare quelli provenienti dalla Cina.
“Stiamo esaminando i semiconduttori e l’INTERA CATENA DI FORNITURA DELL’ELETTRONICA (sic ndr) nelle prossime Indagini Tariffarie per la Sicurezza Nazionale”, ha scritto su X il Tycoon.
Il piano prevede tariffe generalizzate su dispositivi che contengono semiconduttori – come smartphone, laptop e veicoli elettrici. Le aziende più colpite dai dazi imposti da Trump nel settore tecnologico sarebbero i colossi tecnologici statunitensi che dipendono da forniture asiatiche e cinesi, come Apple, Dell e Qualcomm.

Alcuni settori manifatturieri americani hanno accolto con favore l’annuncio di Trump. Questa manovra rappresenta un tentativo di rilanciare la produzione nazionale in un momento in cui il reshoring industriale è tornato al centro dell’agenda politica repubblicana. Con l’espressione reshoring industriale si intende il processo attraverso cui produzione e attività aziendali ritornano da un Paese estero al Paese d’origine.
Ma che cosa sono questi semiconduttori, e perché sono così importanti?
Dalle ‘terre rare’ ai chip
I semiconduttori sono materiali di natura cristallina che, grazie alla loro resistività e alle proprietà intrinseche, conducono l’elettricità a livelli intermedi rispetto ai materiali conduttori e a quelli isolanti. I semiconduttori non esistono in natura, ma devono essere fabbricati a partire da materie prime come silicio, gallio, arsenico, nonché da una classe di 17 elementi chimici nota con il termine di ‘terre rare‘.
Proprio da queste terre rare parte la realizzazione dei chip elettronici . Esse costituiscono il materiale di base su cui incidere i circuiti integrati responsabili del funzionamento del chip stesso.
Ad oggi, i semiconduttori sono presenti in ogni dispositivo elettronico: dagli smartphone e computer che usiamo tutti i giorni, dalle apparecchiature mediche fino alle strumentazioni del settore militare, per non parlare dei satelliti.
Secondo la Semiconductor Industry Association (SIA), il mercato globale dei semiconduttori supererà i 1.000 miliardi di dollari entro il 2030; si prevede che il fatturato globale crescerà del 14% nel solo 2025, raggiungendo un totale di oltre 800 miliardi di dollari.
Non stupisce, dunque, che negli ultimi decenni molti Paesi abbiano compiuto massicci investimenti per migliorare le proprie capacità produttive nel campo dei semiconduttori. E le due superpotenze della nostra epoca, Cina e Stati Uniti, sanno che il futuro della loro leadership globale passa proprio da qui.
La dipendenza dalle terre rare: il tallone d’Achille americano
Attualmente la Cina produce il 60% delle terre rare mondiali, ma ne lavora quasi il 90%, il che significa che importa terre rare da altri Paesi e le ‘raffina’. Ciò conferisce alla Cina un monopolio pressoché totale in questo campo.
Gli Stati Uniti sono consapevoli della propria vulnerabilità geopolitica a causa della dipendenza dalle risorse cinesi. E iI Governo USA ha agito di conseguenza: l’esecutivo statunitense ha pesantemente sovvenzionato le industrie americane per promuovere le estrazioni in patria.

Terre rare: il piano statunitense per incentivarne l’estrazione
Nel novembre 2020, la Defense Production Act (DPA) ha assegnato un contributo di 9,6 milioni di dollari a MP Materials con l’obiettivo di sviluppare un sito di estrazione di terre rare in California. A oggi il Dipartimento del Commercio USA ha annunciato oltre 32,5 miliardi di dollari in sovvenzioni e fino a 5,85 miliardi in prestiti lungo l’intera filiera dei semiconduttori, destinati a 32 aziende per un totale di 48 progetti.
Nel dicembre 2023, il Comitato ristretto sulla competizione strategica tra Stati Uniti e Partito Comunista Cinese ha pubblicato il rapporto Reset, Prevent, Build, suggerendo al Congresso di incentivare la produzione di tecnologie all’avanguardia in patria, fondamentali per garantire all’America il vantaggio tecnologico sul rivale cinese. Ciò dovrebbe creare nuovi siti per lo sviluppo e la progettazione di semiconduttori, rafforzando al contempo quelli già esistenti.
Tuttavia, le risorse promesse devono essere stanziate con urgenza. In caso contrario, si stima che entro il 2030 gli Stati Uniti saranno indietro di 14 punti percentuali rispetto alla Cina nel mercato globale della produzione di semiconduttori, e perderanno terreno nella corsa globale per l’egemonia tecnologica.
Per un Paese come gli USA, dipendere da una ‘nazione rivale’ come la Cina in un settore così strategico è un tallone d’Achille difficile da tollerare. Ed è proprio qui che entra in gioco l’isola più importante del mondo: Taiwan.
Davide tra i due Golia
L’alleanza degli Stati Uniti con Taiwan poggia su svariati presupposti storico-politici risalenti alla metà del secolo scorso. Negli ultimi decenni, tuttavia, l’isola-nazione ha assunto per Washington un’importanza ancora maggiore: Taiwan è, infatti, uno dei maggiori produttori di chip al mondo.
Nel 2022, Taiwan ha prodotto il 63,8% dei semiconduttori globali ed oltre il 92% dei chip più avanzati. In soli 5 anni i suoi ricavi nell’industria di produzione di semiconduttori, misurati in termini lordi, sono quasi raddoppiati, passando da 87 miliardi di dollari nel 2018 a 162,5 miliardi di dollari nel 2022.
Il sostegno politico e militare a Taipei, che impegna gli Stati Uniti da decenni, ha quindi tra i suoi obiettivi quello di garantire un flusso costante di semiconduttori alle aziende statunitensi. D’altra parte, anche la Cina ha gli occhi puntati sui semiconduttori di Taiwan. Più in generale, questa grande potenza considera la nazione insulare parte integrante del suo territorio, e spera di riassorbirla nella Repubblica Popolare Cinese in un futuro prossimo, attraverso pressioni politiche o, se necessario, tramite un’invasione militare dell’isola.

Le forze armate cinesi hanno svolto numerose esercitazioni militari nello stretto corridoio di mare che separa la Cina continentale da Taiwan, e le tensioni nella regione hanno raggiunto negli ultimi anni i massimi storici. Mentre gli Stati Uniti continuano a rafforzare Taiwan, la Cina intensifica le pressioni politiche ed economiche sull’isola. La guerra economica per assicurarsi il controllo di quante più parti della catena di produzione dei semiconduttori è profondamente interconnessa con il futuro geopolitico di Taiwan.
Il monopolio di Taiwan
Ma perché, ad oggi, Taiwan detiene un monopolio pressoché assoluto nel settore dello sviluppo e della produzione di semiconduttori?
Innanzitutto perché, a partire dagli anni ‘80, il governo taiwanese ha istituito l’Industrial Technology Research Institute, un centro che ha svolto un ruolo chiave nel fornire supporto tecnico e finanziario alle aziende taiwanesi che desideravano entrare nel settore dei semiconduttori. Secondo stime recenti, TSMC controlla quasi il 60% della capacità produttiva globale di semiconduttori e detiene circa il 90% della quota di mercato globale nella produzione di chip a 7 nanometri.
Un ulteriore passo in avanti è stato fatto nel 1987 con la fondazione della Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), l’azienda indipendente produttrice di semiconduttori più grande, competitiva e tecnologicamente avanzata al mondo. La TSMC vanta tra i suoi clienti alcuni colossi statunitensi come Nvidia, Apple, Intel, Qualcomm e Microsoft.
Nel 2023, la Commissione per il Commercio Internazionale degli Stati Uniti ha stimato che i chip taiwanesi rappresentano circa il 44,2% di tutti i chip importati e utilizzati negli States.

Un’alleanza tecnologica contro Pechino?
Per ora, i rapporti diplomatici tra Taipei e Washington sono ancora molto stretti. Un segno tangibile di questa alleanza politica è la decisione che TSMC ha preso nel novembre 2024: l’azienda ha bloccato la fornitura di chip a 7 nanometri alle aziende cinesi. Questa scelta riflette l’influenza crescente di Washington nella politica economica di Taiwan, influenza che ha il chiaro scopo di contenere l’ascesa tecnologica di Pechino.
Già escluse dalle GPU (Graphics Processing Unit) più avanzate di NVIDIA e AMD, le imprese cinesi si trovano adesso di fronte a nuove, ingenti, restrizioni: secondo il Financial Times, ogni futura fornitura di chip a Paesi terzi da parte di TSMC dovrà prima passare dall’approvazione americana.
Wafer: il dominio incontrastato di Cina e Stati Uniti
Un dato da tenere a mente nel tracciare il quadro geografico dell’industria dei semiconduttori è il seguente: la regione Indo-Pacifica, dalla Cina agli Stati Uniti, ospita la stragrande maggioranza degli impianti di produzione di wafer a livello globale. La fabbricazione di wafer è un processo complesso che trasforma il silicio in un chip.
Questi siti di produzione di chip richiedono tecnologie estremamente avanzate, che pochissimi Paesi al mondo possono vantare, e di cui Taiwan detiene il primato indiscusso. Su un totale di 1.470 stabilimenti confermati nel mondo, 1.215 si trovano nell’Indo-Pacifico.
Questa incredibile concentrazione indica con chiarezza quanto poco Europa, Africa, Asia centrale e Sud America contino in questo settore. Un’enorme fetta di mondo è esclusa dalla galassia dei semiconduttori. Ad oggi, sembra che solo Stati Uniti e Cina possiedano le risorse, le ambizioni e la lungimiranza necessarie per mantenersi in prima linea in questo campo.
Appare quindi evidente come i semiconduttori – e la loro filiera produttiva – rappresentino un ulteriore e centrale tassello nel complesso mosaico che è la geopolitica di Taiwan, che è confine ‘geografico’ tra le due superpotenze oltre che terreno di competizione politica, militare e tecnologica.
Cina, il potere emergente del Governo centrale
Come accennato prima, nell’ultimo decennio Pechino si è affermata come un attore dominante nel mercato globale dei semiconduttori. Già alla fine del 2015 la Cina contava almeno 289 stabilimenti di produzione di semiconduttori, quasi tutti di proprietà statale o di aziende sovvenzionate dal Partito Comunista Cinese. Ad oggi, centinaia di stabilimenti di fabbricazione di wafer sono distribuiti in venti diverse province cinesi.
Il Governo cinese è intervenuto sistematicamente nei mercati interni per favorire le proprie aziende e ostacolare i concorrenti stranieri, soprattutto dall’avvio del progetto economico Made in China 2025. Il piano mira a produrre in Cina, entro il 2025, il 40% dei chip per telefoni, il 70% dei robot industriali e l’80% delle apparecchiature per le energie rinnovabili. Made in China 2025 è il piano più ambizioso e di vasta portata per l’automazione e la digitalizzazione dell’industria cinese degli ultimi decenni.

Molti analisti sono concordi nell’affermare che la crescita economica della Cina è ampiamente positiva e offre opportunità di collaborazione con i suoi partner globali.
È stato dimostrato che l’economia americana e quella cinese possono prosperare grazie al reciproco commercio. Inoltre, la recente e agguerrita competizione tecnologica tra le due potenze globali – sempre che si mantenga entro i limiti dell’economia – si potrebbe tradurre anche in maggiori investimenti nella ricerca e, si spera, in nuove scoperte nel settore.
Il futuro passa dai chip
In conclusione, l’industria dei semiconduttori rappresenta un pilastro della tecnologia contemporanea e dello sviluppo economico globale.
Da un lato la taiwanese TSMC guida la produzione dei chip più avanzati. Dall’altro la spinta della Cina, sostenuta dal PCC, e gli sforzi degli Stati Uniti per l’autosufficienza sottolineano l’urgenza di rafforzare la sicurezza delle catene di approvvigionamento e promuovere le rispettive autonomie nazionali.
La corsa al controllo dell’industria produttiva dei semiconduttori riflette non solo una sfida in campo industriale e tecnologico, ma una vera e propria competizione per la leadership globale. Riuscire a dirigere il corso della propria potenza tra queste sfide poliedriche e mutevoli sarà un imperativo categorico per Washington come per Pechino.
Alessandro Donati
(In copertina, wafer di silicio per la produzione di semiconduttori di circuiti integrati. Immagine da Freepik)
La geopolitica dei semiconduttori, da Trump a Taiwan è un articolo di Alessandro Donati. Clicca qui per altri articoli dell’autore!