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Desiderio di fusione, necessità di separazione: il dramma dei rapporti umani in “Queer” di Guadagnino

queer guadagnino

I protagonisti di “Queer” di Guadagnino, benché separati da un’inevitabile distanza, aspirano a una fusione totale. Una volta raggiunta, essa si rivela, però, effimera e distruttiva. Si concretizza così quanto teorizzato da Emmanuel Levinas nella sua analisi della relazione intersoggettiva: la fusione non può e non deve avvenire. 


Con la sua ultima fatica, Queer – adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di William S. Burroughs (1985) distribuito in Italia a partire dallo scorso aprile –, Luca Guadagnino sembra aver abbandonato la concezione romantica e struggente dell’amore che l’aveva reso celebre ai tempi di Chiamami col tuo nome (2017). 

Se la relazione tra Elio e Oliver (i protagonisti di Chiamami col tuo nome), benché tormentata e in fin dei conti impossibile, era animata da una passione autentica, viscerale e ricambiata, tra Lee e Allerton mancano reciprocità e condivisione di sentimenti, e la loro storia procede claudicante, poggiando su due gambe di ben diversa stabilità. 

Queer di Guadagnino: storia di due solitudini

William Lee ed Eugene Allerton sono due cittadini statunitensi emigrati a Città del Messico: il primo (Daniel Craig) è un uomo già maturo, dipendente dall’eroina e mosso da disordinati, febbrili e impacciati desideri nei confronti dei maschi locali; il secondo (Crew Starkey) un giovane ex soldato cui rimane una costola rotta come ricordo della propria carriera. 

Lee resta subito ammaliato da Eugene, il ragazzo si lascia – in apparenza – sedurre, e i due trascorrono insieme una notte che sembra costituire la premessa per qualcosa di più.

Tuttavia, Allerton non vuole esibire la propria omosessualità, e ai rari momenti di maggiore coinvolgimento fa seguire un’ostentazione di distacco emotivo: un esasperante fluttuare che confonde e tormenta Lee, succube dei propri sentimenti e totalmente vulnerabile di fronte a lui.

L’interesse quasi ossessivo di quest’ultimo per la telepatia, la capacità di penetrare la mente altrui per catturarne i pensieri, appare come la risposta alla contraddittorietà dei comportamenti di Eugene e all’incomprensibilità delle loro motivazioni.

Quando Lee viene a conoscenza dello yagé, o ayahuasca, un decotto psichedelico usato nella medicina tradizionale di varie zone dell’Amazzonia, convince Allerton a partire con lui verso il Sud America alla ricerca di questa droga.

Al termine di un viaggio avventuroso e accidentato, i due raggiungono la dottoressa Cotter, che nel cuore della Foresta amazzonica conduce esperimenti sfruttando le potenzialità delle piante che la circondano; nonostante le iniziali ritrosie, la donna accondiscende a iniziarli allo yagé.

Nella notte, in uno stato allucinatorio, Allerton e Lee vomitano i loro cuori e vivono un’esperienza di fusione carnale e mentale.

È ciò che Lee desiderava e che l’aveva spinto a partire, con la convinzione che, se fosse riuscito a forzare le barriere mentali di Eugene, sarebbe entrato in una relazione più profonda con lui.

E tuttavia al risveglio, svaniti gli effetti della droga, Allerton si mostra scostante, turbato e impaziente di partire, e abbandona Lee nella foresta. A quanto sappiamo, non si rincontreranno mai più. 

Queer Guadagnino

Levinas: entrare in relazione mantenendo la separazione

Nell’inatteso esito negativo dell’esperienza fusionale vissuta dai personaggi di Guadagnino sembra concretizzarsi la riflessione condotta su questi temi da Emmanuel Levinas (1905-1995), filosofo francese di origini ebraico-lituane. 

Con la sua indagine filosofica, in particolare nella sua prima grande opera, Totalità e Infinito (1961), Levinas si concentra sulla relazione etica che si instaura tra il soggetto – in termini levinasiani, il Medesimo – e l’Altro – l’altro essere umano o l’Altro metafisico, trascendente.

Per Levinas, questi due termini sono ontologicamente separati, autonomi, sussistenti in sé stessi, e la relazione che li lega non annulla la separazione che li divide: pur connessi da un rapporto, il Medesimo e l’Altro non si uniscono mai, non si fondono né confondono, non creano un’unità. 

Queer Guadagnino

Il mantenimento di tale separazione è bilaterale, ovvero garantito da entrambi i termini. 

Dal Medesimo, “l’essere il cui esistere consiste nell’identificarsi” (p. 34): e identificarsi significa raccogliersi nella dimora della propria interiorità riportando a sé ogni cosa, ogni esperienza, ogni conoscenza, con un movimento centripeto e fagocitante. Il soggetto levinasiano è naturalmente egoista, focalizzato su di sé e, dunque, non predisposto all’apertura. 

Dall’Altro, la cui alterità rispetto al Medesimo non è relativa, ma assoluta, radicale e irriducibile. L’Altro per Levinas è lo Straniero che proviene da una patria diversa dalla propria, lo sconosciuto che non si potrà mai conoscere davvero.

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Un Medesimo che non sa spontaneamente uscire da se stesso, un Altro totalmente altro che non si lascia inglobare nelle categorie in cui il pensiero cerca di rinchiuderlo per afferrarlo e comprenderlo.

Anche quando entrano in relazione – ovvero quando il soggetto incontra un volto che mette in discussione la sua coscienza, acquista consapevolezza del proprio egoismo e si apre all’altro riconoscendosi responsabile nei suoi confronti – la loro autosussistenza e autocentratezza non viene meno. 

Per entrare in relazione bisogna varcare una soglia, dice Levinas: e questa soglia è il confine della propria identità, definita e circoscritta, affermata e rivendicata, messa in discussione – ma mai negata

Fusione, confusione

Alla luce di queste premesse, non sorprende la critica che Levinas rivolge al concetto di fusione: nella relazione etica, la fusione non può – non deve – avvenire.  

Nell’esaminare una specifica forma di relazione, quella con Dio, il filosofo, ebreo per nascita e credo, rigetta l’idea di unione mistica e prende esplicitamente le distanze dalla Cabala, la mistica ebraica.

Tra le possibili accezioni che l’uomo può attribuire al divino, Levinas rifiuta il termine ‘sacro’, che a suo parere veicola l’idea di un Dio in cui il fedele rischia di annullarsi e perdersi, e ad esso contrappone il termine ‘santo’: e non è un caso che l’ebraico qâdôsh significhi tanto ‘santo’ quanto ‘separato’.

È qui, dunque, che Lee si è perduto: ha rivolto il proprio desiderio verso qualcosa che non solo non poteva realmente ottenere, ma che, nel momento in cui ne ha avuto un assaggio, l’ha rovinato. L’esperienza di fusione con Eugene non ha portato alcun beneficio al loro rapporto, anzi: l’ha danneggiato e disfatto per sempre. 

A pagarne le conseguenze è Lee stesso.

Verso il finale del film, in uno dei suoi sogni allucinati, Lee si trova nella camera d’albergo in cui, in precedenza, aveva condotto un giovane messicano.

Sul pavimento della stanza vede un serpente che si mangia la coda, simbolo del legame viscerale che lo unisce ad Allerton da quella famosa notte nella foresta e che li sta erodendo entrambi dall’interno. Subito dopo compare un letto, e sul letto, seduto, Eugene in persona: si mette una mela sulla testa, Lee spara ma colpisce l’obiettivo sbagliato – o forse quello giusto – e il ragazzo si accascia a terra, morto.

Nel sogno, Lee mette in forma l’urgenza di uccidere l’altro che è diventato parte di sé, ma che ora lo sta divorando e si sta facendo da lui divorare: si stanno consumando a vicenda

Nell’ultima scena vediamo Lee vecchio e solo, sdraiato sul letto della propria stanza, raggomitolato interamente vestito sopra le lenzuola. Sembra quasi in punto di morte, e un ricordo riaffiora a cullarlo nei suoi ultimi istanti: durante il viaggio con Allerton, in una notte di particolare malessere dovuto all’astinenza dall’eroina, si era rannicchiato accanto al ragazzo, e lui, Eugene, per calmarlo aveva intrecciato le proprie gambe alle sue.

Non l’esperienza della fusione, dunque, ma quella del contatto tra corpi separati, che rimane come il ricordo più tenero su cui si chiude una vita intera.

 

Una zona di silenzio che nutre il desiderio

Per quale motivo Lee desidera acquisire doti telepatiche da usare sul proprio amante? Perché il giovane è volubile: incoerenti i suoi comportamenti, imperscrutabili i suoi pensieri, confuse e confondenti le sue emozioni. Ciò che Lee vorrebbe afferrare continua tragicamente a sfuggirgli tra le mani. 

Non solo: la natura dell’uno mal si accorda con quella dell’altro, e ciò costituisce un ostacolo alla loro serenità e crea una falla nella loro comunicazione. Il dramma di Lee è la sua estrema sensibilità e l’incapacità di gestirla, il tormento di vivere con la pelle troppo sottile; tutto questo si scontra con la freddezza apatica di Allerton, che invece rifugge, imbavaglia e reprime la propria sfera emotiva.

Tra loro c’è un vuoto incolmabile, una distanza irriducibile, quella “zona di silenzio al fondo dei rapporti umani” di cui parla Italo Calvino negli Amori difficili (Presentazione, p. XII) e la cui esistenza, seppur dolorosa, è inevitabile e forse necessaria: grazie a questo silenzio, a quest’inespresso e inesprimibile, ciascuno dei due rimane realmente altromistero insondabile che continua a suscitare desiderio.

“Il Desiderabile”, afferma Levinas nella Traccia dell’altro, “non appaga il mio Desiderio, lo scava, nutrendomi in qualche modo di nuove fami” (p. 222): così, Lee è ‘scavato’ da Allerton e dalla radicale alterità di cui egli è portatore. 

“Nell’amorosa quiete delle tue braccia”. Così si intitola la prima figura presa in esame da Roland Barthes in Frammenti di un discorso amoroso (p. 13), la figura dell’abbraccio: la realizzazione, per un momento, del “sogno di unione totale con l’essere amato” (ibidem).

Un sogno irrealizzabile per Levinas e distruttivo per i personaggi di Guadagnino, che nell’altro non trovano quiete ma inquietudine, non riposo ma insonnia, non pace ma perenne tormento.

Federica Lainati

(In copertina e nell’articolo, immagini tratte da Queer di Guadagnino)


Opere citate:

  • E. Levinas, La traccia dell’altro, in Scoprire l’esistenza con Husserl e HeideggerCortina, Milano 1998, pp. 215-233;
  • E. Levinas, Totalità e Infinito. Saggio sull’esterioritàJaca Book, Milano 1980;
  • I. Calvino, Gli amori difficiliMondadori, Milano 1993;
  • R. Barthes, Frammenti di un discorso amorosoEinaudi, Torino 2014.

Desiderio di fusione, necessità di separazione: il dramma dei rapporti umani in “Queer” di Guadagnino è un articolo di Federica Lainati. Per approfondire l’analisi di Queer e della filmografia di Guadagnino, clicca qui.

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