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Chi propone la remigrazione sa di che cosa parla?

Remigrazione copertina

A margine del contestato summit dell’ultradestra paneuropea a Gallarate aleggia una parola che in Francia, Austria, Germania, Olanda e da poco anche Italia è diventato il mantra dei movimenti anti-immigrazione. “Remigrazione” è un parolone di grande effetto, non c’è dubbio: ma dietro la densa patina del politichese, qual è il suo vero significato?


Remigrazione e libertà di espressione

Ha destato parecchio clamore il cosiddetto Remigration Summit svoltosi a Gallarate poche settimane fa. L’evento è stato promosso da esponenti dell’estrema destra sia europea (delegazioni da Germania, Olanda e Portogallo tra gli altri Paesi) che italiana (hanno partecipato il consigliere comunale di Milano Alessandro Verri e l’europarlamentare Isabella Tovaglieri, entrambi esponenti della Lega).

Naturalmente, il Remigration Summit è stato contestato da sindacati, giornalisti ed esponenti politici fermamente contrari ai principi reazionari ed estremisti promossi, portando alcuni a chiedere più volte l’intervento delle autorità per vietare l’incontro. Allo stesso tempo, esponenti della maggioranza e ministri del governo Meloni hanno difeso quella che, a loro dire, doveva essere libertà di espressione.

Sono d’accordo che ci sia qualsiasi iniziativa democratica e libera. Non capisco perché si dovrebbe vietare a priori il libero pensiero di qualcuno, non siamo mica in Unione Sovietica.

Matteo Salvini, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti 
Remigrazione
Milano, scontri al corteo contro il Remigration Summit (Foto: ANSA).

Tirando le somme

Sarebbe certamente interessante approfondire il dibattito filosofico sull’opportunità di garantire o meno la possibilità di includere nel confronto democratico chi propugna ideali che vanno contro la democrazia stessa. Ma i punti salienti che questa manifestazione ci ha lasciato rimangono sostanzialmente due:

  1.  l’evento è stato un fiasco. Gli organizzatori prevedevano di riempire il teatro noleggiato, ma dai 400 biglietti prenotati si è passati alla partecipazione reale di circa 200 persone, rendendo così più partecipate le manifestazioni di protesta all’evento che l’evento stesso. 

Ciò non deve tuttavia sminuire la gravità del secondo punto, a cui i media non stanno forse dando sufficiente rilievo:

  1.  Il termine ‘remigrazione’ è arrivato al centro del dibattito politico europeo e, più recentemente italiano.

Il problema reale non riguarda semplicemente l’utilizzo del vocabolo. Ciò che preoccupa davvero è la scarsa consapevolezza con cui si adottano certi termini, senza interrogarsi sulle loro implicazioni storiche e culturali.

La politica conosce davvero questo concetto con cui sta acquistando sempre più ‘familiarità’? Quali sono le origini della ‘remigrazione’, e quale visione della società questa parola porta con sé?

Non pensare all’elefante!

Anzitutto, un po’ di storia. Nonostante la formazione di tipo tradizionale (un sostantivo deverbale con suffisso -zione tipico dei nomina actionis; il verbo remigrare è già del latino arcaico), la parola ‘remigrazione’, in sé, è affatto nuova. Si tratta di un vocabolo recentissimo, che dev’essere tenuto storicamente distinto dal termine ‘reimmigrazione’, più volte presente negli annali fascisti durante il Ventennio, spesso in relazione alle operazioni etniche naziste nell’est Europa.

Inoltre, nonostante l’indubbio favore che il vocabolo incontra negli ambienti sovranisti, si tratta di una parola… straniera: ‘remigrazione’ è un prestito dall’inglese, dove ‘migration’ può indicare non solo la migrazione di animali, ma anche i movimenti umani – che in italiano vengono invece chiamati ‘immigrazione’ o ‘emigrazione’.

La ‘remigrazione’ è salita agli onori delle cronache negli ultimi due anni, conquistando in Germania il primato di Unword of the Year (Parola più indesiderata dell’anno) per il 2023

In un articolo pubblicato sul Corriere della Sera, Giorgio Antonelli l’ha accostata al libro di George Lakoff Non pensare all’elefante!,  un’analisi sugli effetti che la formulazione di alcuni termini ha sulla percezione che possiamo trarre dalla realtà, distorcendola sostanzialmente.

Copertina di Non pensare all’elefante! di George Lakoff (Editore: Chiarelettere).

Da ‘condono’ a ‘pace fiscale’, da ‘vittime civili’ a ‘danni collaterali’, da ‘riscaldamento globale’ a ‘cambiamento climatico’. Contestualmente, ‘remigrazione’ si sostituisce a ‘deportazione di massa’. Non a caso, pare che dall’altro lato dell’Atlantico Donald Trump stia valutando l’istituzione di un “Ufficio per la Remigrazione”.

Il problema più grande, dunque, non è tanto l’utilizzo del termine in sé, ma l’ignoranza (sincera o, peggio ancora, fasulla) delle sue reali implicazioni. Bisogna dare il giusto peso alle parole. Che, in questo caso, pesano come un macigno.

La voce del movimento remigrazionista

Chi grida più forte di tutti alla remigrazione è Martin Sellner, giovane attivista austriaco tra i principali coordinatori dell’ultradestra paneuropea. Proprio Sellner è stato il grande ospite d’onore del controverso summit di Gallarate.

Basterebbe guardare al suo passato per farsi un’idea del personaggio: da adolescente è stato processato per aver affisso manifesti neonazisti presso la sinagoga di Baden, e ha poi evitato la condanna scegliendo di svolgere lavori socialmente utili presso il cimitero ebraico della città.

Remigrazione
Martin Sellner, ideologo dell’evento (Foto: Malpensa24).

Il ‘potenziale’ del giovane attivista si poteva intuire già dall’adolescenza, e in effetti negli anni successivi Sellner non ha tradito le attese: divenuto leader del Movimento austriaco degli identitari (IBÖ, Identitäre Bewegung Österreich) ha portato avanti tesi estremiste, reazionarie e neonaziste, al punto da ricevere il divieto di ingresso in Germania, in Svizzera e nel Regno Unito.

Nemmeno gli Stati Uniti gli hanno concesso un documento per entrare nel Paese in seguito ad un’inchiesta, poi archiviata, che lo vedeva come possibile complice della strage nella moschea di Christchurch in Nuova Zelanda. Sellner aveva infatti donato 1500 dollari al neonazista Brendon Tarrant, che di lì a poco avrebbe massacrato quarantuno persone riunite in preghiera. Nelle indagini è stata tra l’altro rinvenuta una lunga corrispondenza e-mail tra Tarrant e Sellner.

Ma l’apice (se così si può definire) della carriera politica di Martin Sellner arriva qualche anno dopo. Più precisamente, all’Incontro di Potsdam del novembre 2023.

Le trame di Potsdam

Quello di Potsdam sarebbe dovuto essere un incontro segreto, almeno nelle intenzioni degli organizzatori, ma un’inchiesta giornalistica di Correctiv (una redazione giornalistica investigativa tedesca) lo ha reso di dominio pubblico.

Secondo i giornalisti tedeschi, oltre a Sellner e a membri del suo movimento, erano presenti a Potsdam membri della CDU – i vincitori delle ultime elezioni federali in Germania, il partito del neo-cancelliere Friedrich Merz, per intenderci – esponenti di associazioni conservatrici e di estrema destra e delegati di spicco da AfD.

Quest’ultimo è il partito arrivato secondo alle combattutissime elezioni di cui sopra, ed è stato da poco al centro di un’indagine dei servizi segreti tedeschi, secondo cui il movimento costituirebbe un pericolo per le istituzioni democratiche tedesche.

Alice Weidel, leader del partito tedesco AfD (Foto: EPA-EFE via Politico).

Le inchieste successive al lavoro di Correctiv hanno evidenziato come quello di Potsdam fosse probabilmente il settimo di una serie di incontri che andavano avanti già da anni, in cui era stato protagonista tra gli altri Tino Chrupalla, leader assieme ad Alice Weidel proprio di AfD. 

Ma cos’è che ha generato l’ondata di orrore e indignazione che, all’indomani dell’inchiesta, ha portato centinaia di migliaia di persone in piazza in Germania? Ancora una volta: la remigrazione

Questo è il nome che il Martin Sellner ha dato al suo piano pluridecennale per un riassetto etnico della Germania. Un piano che prevederebbe l’intervento dello Stato attraverso incentivi e leggi per espellere sostanzialmente tre categorie di persone: richiedenti asilo, immigrati muniti di regolare permesso di soggiorno e persino cittadini colpevoli di non essere “assimilati”.

Ciò non ha impedito ad AfD di sfruttare il clamore mediatico generato dalla vicenda per fare della “remigrazione” il leitmotiv della propria campagna elettorale.

Propaganda elettorale di AfD (Foto: AP via TheGuardian).

Sperare nell’ignoranza… per non pensare al peggio

È bene ricordarlo ancora una volta: al summit di Gallarate l’ospite d’onore era Martin Sellner. Ma non è stato l’unico a prendere la parola. Gli altri attivisti che sono intervenuti – politici, giornalisti, commentatori televisivi e digitali – provenivano da diversi Paesibackground culturali, ma erano accomunati da una caratteristica ben precisa: la più totale ignoranza dell’argomento su cui si erano riuniti a discutere. O almeno, questo è ciò che si deve sperare per rimanere relativamente ottimisti.

Perché quando Dries Van Langenhove, nazionalista fiammingo già condannato per negazionismo, cita il premier ungherese Orbán scandendo lo slogan “Save our nation, remigration”, cosa vuole intendere per remigrazione?

Il generale Vannacci, che in un video a sostegno del summit ha parlato di “buon senso, del diritto, anzi, del dovere che ogni Stato ha di ripristinare l’ordine, la sicurezza e la sovranità sul proprio territorio”, intendeva solo questo quando prometteva di portare la battaglia della remigrazione al Parlamento Europeo?

Videomessaggio del generale Vannacci (Fonte: LaStampa).

O forse qualcosa di ancora più in linea con le tesi di Sellner, come le dichiarazioni di Jean-Yves Le Gallou, esponente dell’estrema destra francese di Reconquête, che ha parlato di una “indispensabileremigrazione da attuare gradualmente, che includa anche gli immigrati di seconda e terza generazione “che non si sono assimilati e sono ostili”, e che di conseguenza devono essere “espulsi e privati della cittadinanza”.

 Ma anche in questo caso, cosa si intenderebbe esattamente con “assimilazione”, e quanto della risposta a questa domanda sarebbe ammissibile in un contesto democratico?

Il peso delle parole

La questione non va sottovalutata, e il tenore del dibattito politico nazionale ne dà la conferma. Da un lato, il Ministro dell’Agricoltura Lollobrigida paventa il rischio di una non meglio specificata “sostituzione etnica”; contemporaneamente, altri esponenti della maggioranza – il capogruppo della Lega Lombardia Corbetta e il sottosegretario alla Giustizia Delmastro Delle Vedove di Fratelli d’Italia – rilanciano slogan e articoli a favore della remigrazione.

Ma come dovremmo interpretare determinate parole, quando nemmeno chi le pronuncia sembra sicuro del loro significato?

La possibile risposta si può forse trovare in un altro passaggio del videomessaggio del Generale Vannacci:

La remigrazione non è uno slogan ma una proposta concreta. Vuol dire mettere al centro gli italiani, gli europei. È una battaglia di libertà e civiltà, di sicurezza, che è il vero spartiacque fra destra e sinistra.

Roberto Vannacci

Il generale Vannacci ha ragione: quella della remigrazione è una proposta spartiacque. Sbaglia però sulle categorie citate. Non è una battaglia tra destra e sinistra, ma tra chi si rifiuta di comprendere la complessità della società contemporanea e chi invece si arma di coraggio e pazienza per trovare una possibile soluzione.

La distinzione tra chi plasma il populismo, predicando un’unica soluzione a tutti i problemi, e chi, viceversa, si batte per un’azione politica credibile e completa.

La differenza tra chi annega nel piacere delle proprie parole senza comprenderne il significato né tantomeno il peso, e chi invece vuole andare oltre la retorica ed essere veramente parte della Storia.

Matteo Minafra

(In copertina, il generale Roberto Vannacci, foto di The AP via Euronews)


Chi propone la remigrazione sa di cosa parla? È un articolo di Matteo Minafra. Clicca qui per altri articoli dell’autore!

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