
“La ribelle. Vita straordinaria di Nada Parri” (Laterza, 2025) di Giorgio van Straten è stato candidato tra i dodici libri semi-finalisti al Premio Strega 2025. Proposto da Edoardo Nesi, “La ribelle” ricostruisce la storia vera della partigiana Nada Parri e il suo grande e tormentato amore con Hermann Wilkens, soldato tedesco disertore.
Un amore a prima vista
Giorgio van Straten incontra per la prima volta Nada Parri tra le pagine di un libro. Più precisamente quelle del Buon tedesco di Carlo Greppi (Laterza, 2021), testo dedicato ai soldati tedeschi disertori sul fronte italiano.
Qui, il nome di Nada accompagna quello di Hermann Wilkens, un sottufficiale della Wehrmacht che compie la scelta coraggiosa di abbandonare il suo reparto per combattere da partigiano contro il nazifascismo.
La storia d’amore – “tragica ed eroica” – tra Nada ed Hermann occupa una porzione troppo misera del libro di Greppi per conoscerne i dettagli, ma a van Straten quella breve paginetta cambierà la vita.
Non sarebbe errato dire che a indurre van Straten a tendere l’orecchio verso la storia di Nada e a diventarne il portavoce sia stato un vero e proprio colpo di fulmine, un amore a prima vista per nulla dissimile da quello che scocca tra la protagonista e il soldato tedesco.

Inizia così il suo lavoro di ricostruzione della biografia di Nada Parri e del suo amore con Hermann Wilkens: l’autore vuole scoprire di più su questa vicenda, così indissolubilmente intrecciata con il filo della Storia.
Uno “storico di merda”
La ribelle nasce come compromesso.
Giorgio van Straten promette a se stesso di non scrivere più – o, meglio, di non pubblicare più – romanzi, e poi rimane folgorato da questo amore perduto. Ne inizia così a seguire l’eco.
Proprio nel momento in cui matura il desiderio di avviare questo progetto, van Straten si imbatte in una frase scritta da Martin Amis in un suo libro. Questa finirà per aleggiare su di lui come un monito:
Gli storici della generazione di merda erano di merda perché pensavano che l’assenza di emozioni fosse una virtù. E Martin era convinto che non fosse possibile scrivere di storia senza emozione (seppur limitata e controllata). La storia va presa sul personale. Ti ha prodotto e ti ha formato. In che altro modo si può prendere?
Martin Amis, La storia da dentro, p. 265.
Lungi dall’essere uno “storico di merda”, Giorgio van Straten non ha paura di sporcarsi le mani addentrandosi tra le emozioni di una vita come quella di Nada. La vicenda suscita in lui sensazioni forti: ammirazione per la sua resilienza, ma anche una forte malinconia e disillusione.
L’autore non teme di deviare dalla narrazione mainstream della Seconda guerra mondiale per accogliere storie intime e disilluse. Giorgio van Straten “prende la storia sul personale” e punta il riflettore su una vita e un amore, degni di acquisire spazio nella nostra memoria.
Nada Parri: la ribelle
Nada Parri nasce nel 1923 a Empoli, in un quartiere popolare dove condivide un edificio con altre nove famiglie. La sua è, almeno all’inizio, una “vita convenzionale”, come la definisce Giorgio van Straten in una sezione del libro, segnata dal sogno di diventare maestra e da un matrimonio che si rivela una prigione morale e politica.
Costretta a vivere con la famiglia fascista del marito durante il servizio militare volontario, Nada sembra incastrata in un copione scritto da altri.
Eppure, è proprio nella ribellione a questo copione che risiede la sua forza. Quando incontra Hermann Wilkens, nulla sarà più come prima: abbandona il ruolo di moglie e madre per scegliere l’amore e la lotta partigiana sfidando apertamente il moralismo e le convenzioni del tempo.

Per van Straten, Nada è una ribelle non solo perché sceglie l’amante e la resistenza, ma perché attraversa ogni fase della sua vita opponendosi alle narrazioni imposte: da giovane, da donna, da madre, da cittadina.
Anche nel dopoguerra, quando il clima politico e sociale cerca di dimenticare figure come la sua, Nada continua a lottare. Diventa la prima donna sindaca di Cerreto Guidi (FI), un gesto che conferma la sua tenacia nel trasformare l’ideale in azione. Nada continua a sfidare ruoli, poteri e silenzi, rimanendo fino alla fine una donna ‘fuori posto’.
“La vita amara”
Guida privilegiata del lavoro di Giorgio van Straten è la voce stessa di Nada Parri. L’autobiografia di Nada, dal titolo La vita amara(Ibiskos, 2005), è il frutto di un corso di scrittura da lei frequentato in tarda età. È il suo maestro Furio Chellini a rivelare a van Straten quale fosse il desiderio segreto della donna: scrivere la sua vita passata.
Già durante le lezioni, tutti i compagni di Nada si erano resi conto che la sua vita aveva un valore diverso, straordinario: le sue non sono semplici ferite personali, ma il risultato dell’ingresso in scena della Storia nella sua vicenda biografica.
La sua è una vita fuori norma, fatta di scelte scomode e dolorose. Dopo la fine della guerra, il grande amore con Hermann Wilkens – che le era costato l’abbandono del marito e della figlia, e che l’aveva portata verso la lotta partigiana – viene ostacolato da ogni parte, fino al definitivo naufragio.
Segue il matrimonio con un altro uomo che, ancora una volta, la tiranneggia e scoraggia la sua carriera politica. Come se non fosse abbastanza, Nada, come tanti altri, scopre che la fine del conflitto non porta con sé il mondo nuovo per cui aveva combattuto: i pregiudizi sociali restano, le gerarchie si ricompongono, le donne sono spinte di nuovo ai margini.
La sua disillusione si fa emblema di una generazione intera, convinta di aver cambiato il mondo, e invece costretta a confrontarsi con la persistenza di un ordine vecchio, incapace di accogliere chi, come lei, aveva osato vivere al di fuori delle regole. È in questo senso che la sua “vita amara” non è solo un titolo, ma una verità condivisa da molti, e che trova nella scrittura il suo ultimo atto di resistenza.
Il ritratto di una donna vera
In fondo, La ribelle è un libro che scorre lieve, anche quando racconta vite amare. Van Straten rincorre Nada tra le tracce sbiadite della memoria, interrogando amici, archivi e luoghi, e ci restituisce una figura forte e sfuggente allo stesso tempo.
E, se talvolta l’intensità dell’affetto che l’autore prova per questa storia non trova una piena corrispondenza nel suo modo di raccontarla – come se mancasse una discesa più profonda nei dettagli –, è forse perché Nada stessa, con il suo pudore, con la sua ritrosia a rivangare certi abissi, pone dei limiti.
Si avverte una certa reticenza, una sorta di censura: sui dolori privati, sulle ombre della lotta partigiana, su una violenza che c’è stata ma che lei preferisce non raccontare.
Anche l’amore con Wilkens, che pure segna una svolta radicale nella sua vita, viene descritto senza clamori: nulla di romanzesco o travolgente, eppure sincero. Giorgio van Straten ci restituisce, più che un mito, una donna vera, piena di contraddizioni e silenzi. E forse è proprio questo che rende la sua storia, in definitiva, tanto umana quanto indimenticabile.
La resistenza delle donne
Quella di Nada non è solo la storia di un amore e di una resistenza, ma anche un’opera che riscrive i margini della memoria collettiva. Uno dei tratti più degni di ammirazione di questo libro è il tentativo di restituire una fotografia complessa della Resistenza e del ruolo che le donne hanno rivestito in essa.
Il “regime di memoria” – per dirla con Marco Armiero ne La tragedia del Vajont (Einaudi, 2023) – che ha dominato la narrazione della Liberazione è ancora inquinato dalla “retorica bellicistica ed eroica che sopravvive al fascismo”. Sono queste le parole che usa Benedetta Tobagi nel suo libro La resistenza delle donne (Einaudi, 2022), nel quale ambisce a restituire un volto e un nome a quelle “invisibili” senza le quali la Liberazione non sarebbe stata possibile.
Effettivamente, il lavoro di “maternage” portato avanti in massa dalle donne italiane stride con la narrazione dell’Azione violenta e armata che vuole come protagonista l’Eroe valoroso pronto a “dare la vita” per un ideale.
Le imprese dell’Eroe, sicuramente più accattivanti e interessanti da ascoltare, però, sono state possibili perché innumerevoli donne si sono dedicate clandestinamente a rendere possibile la sua sopravvivenza con gesti quotidiani e allo stesso tempo straordinari, come accoglierlo nelle proprie case, cucirgli dei vestiti per nascondersi o preparare i suoi pasti. Anche questo modo di “dare la vita”, seppur in una modalità meno intrepida, merita di essere ricordato in tutta la sua dignità.
Ma bisogna tenere bene a mente che la resistenza delle donne assume forme diverse: la stessa Nada si dedica a preparare pasti caldi per i partigiani della sua brigata e, al contempo, partecipa come protagonista nella lotta armata. E, come Nada, sono centinaia le donne che imbracciano uno sten per combattere il nemico.
Nella doppia postura di Nada, – materna e guerriera – si racchiude l’intera ambivalenza della Resistenza delle donne. Non è un’eccezione, ma una presenza che ci ostiniamo a raccontare in sordina: hanno fatto la Storia, eppure pochi sono disposti a raccontare la loro.

Ma oggi possiamo leggere di Nada, è perché qualcuna ha deciso di non tacere più.
Federica Pasquali
Questa recensione di Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia, di Michele Ruol, fa parte della rassegna Giovani Reporter in attesa del Premio Strega 2025.