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Igiaba Scego ospite del festival “Lectura Mundi” all’Oratorio San Filippo Neri

Igiaba Scego

Lo scorso 12 marzo Igiaba Scego ha dialogato con Carlo Lucarelli, presidente di ScriptaBo, nell’ambito della rassegna Lectura Mundi, presso l’Oratorio San Filippo Neri di Bologna. Chiara Celeste Nardoianni ha avuto la possibilità di intervistarla.


Igiaba Scego, scrittrice di seconda generazione

Igiaba Scego, classe ’74, è una scrittrice italiana di origine somala. La sua carriera prende avvio nel 2003 con la pubblicazione de La nomade che amava Alfred Hitchcock, libro scritto in italiano e somalo ed incentrato sulla vita della madre dell’autrice, immigrata in Italia.

Nel 2007 Scego ha curato, assieme a Ingy Mubiayi, la raccolta intitolata Quando nasci è una roulette. Giovani figli di migranti si raccontano. Il libro riporta le interviste a sette ragazzi e ragazze di origine africana, nati a Roma da genitori stranieri. In questo testo le autrici evidenziano le difficoltà di essere nati e cresciuti in Italia ma non essere riconosciuti a pieno come cittadini del Paese.

Scego inoltre collabora con importanti testate quali La Repubblica e Il Manifesto. Inoltre, la scrittrice dal 2007 al 2009 ha curato la rubrica di opinioni I colori di Eva, per la rivista mensile Nigrizia.

Nel 2017 è coautrice del pamphlet Per cambiare l’ordine delle cose edito anche in collaborazione con Amnesty International Italia e Medici Senza Frontiere. Da quest’ultimo è stato tratto anche un film dal titolo L’ordine delle cose con la regia di Andrea Segre.

Scego ha ricevuto anche numerosi riconoscimenti per le sue opere. Tra questi nel 2011 ha vinto il Premio Mondello per la sezione “Autore italiano” con l’opera La mia casa è dove sono (Rizzoli, 2020).

Nel 2020 ha vinto il Premio Napoli nella sezione “Narrativa” con La linea del colore (Bompiani, 2020) e nel 2023 è arrivata tra i dodici semifinalisti al Premio Strega con Cassandra a Mogadiscio (Bompiani, 2023).

Igiaba Scego Cassandra e Modagisco

La copertina di Cassandra e Mogadiscio (Bompiani, 2023).

Igiaba Scego all’Oratorio San Filippo Neri

Scego lo scorso 12 marzo è stata ospite del festival Lectura Mundi che si è svolto a Bologna dal 12 al 16 marzo e il 25 dello stesso mese. Il festival, arrivato alla sua seconda edizione, quest’anno ha avuto come tema cardine “Le parole dell’accoglienza”. Quest’ultimo è organizzato da ScriptaBo, associazione degli scrittori e delle scrittrici di Bologna e dintorni, di cui Carlo Lucarelli è presidente. Quest’ultimo è stato in dialogo con la scrittrice italo somalo sul palco dell’Oratorio San Filippo Neri su temi di attualità.

Scego era stata ospite anche la mattina stessa in un momento dedicato alle scuole secondarie di secondo grado. In particolare, quest’ultime sono state coinvolte in un concorso dal titolo “Vince chi legge” per il quale a studenti e studentesse è stato chiesto di produrre un breve filmato tra i due e i cinque minuti a tema “Cassandra a Mogadiscio”.

Chiara Celeste Nardoianni: Il genere letterario in cui si può identificare Cassandra a Mogadiscio è un memoir, ma è anche una lettera e un resoconto storico.  L’appartenenza a più generi letterari mi ha permesso di fare un’analogia con un altro tuo libro, La linea del colore, in cui più generi letterari dialogano fra di loro, insieme ad una compresenza di più piani temporali, che si può notare anche in questo romanzo.

Igiaba Scego: Io ho capito questo leggendo un articolo di Gary Young, in cui lui diceva, dopo essersi letto tantissima letteratura africana del continente in un anno, proprio questo, che gli africani del continente hanno una linearità nella narrazione.  

Invece gli afrodiscendenti, come me, che sono nati in Europa o negli Stati Uniti, sono frammentati proprio perché hanno dei buchi di conoscenza delle loro origini. Quindi si interrogano, cercano di capire il legame tra passato e presente. Esiste proprio una differenza: l’africano si sente sicuro della sua identità, cioè nessuno gliela contesta perché, se sei del Mali, magari ci sono problemi di altro genere, ad esempio regionali. Però se sei nigeriano, sei nigeriano, cioè nero nigeriano, no problem, e invece se sei nero e italiano, grosso problem.

Quindi devi sempre dimostrare la tua italianità, non devi pensare alla piccola Italia che ti rifiuta, e quindi sei sempre lì a inseguirla. È come se questo stivale scappasse via e tu lo rincorri. Questo spiega la frammentazione letteraria di tutti i testi di autori e autrici di seconda generazione.

Ammiro alcuni scrittori perché i loro libri hanno delle bellissime trame lineari, io invece ho sempre in testa un’idea di reincarnazione, in cui passato e presente dialogano: è la mia costante, e non è solo la mia, ma è propria dell’afrodiscendenza. Infatti, penso ad alcuni libri, per esempio Ragazza Donna Altro di Bernardine Evaristo in cui quest’ultima racconta la storia di alcune donne britanniche. Questo libro è bellissimo, però non è una storia dall’inizio alla fine, ma sono tante microstorie di donne, che l’autrice divide in altri settori. Questo rende le trame più confusionarie, però tutte originate dalla medesima mancanza.

C.C.N.: Per quanto riguarda invece il titolo Cassandra a Mogadiscio, tu scrivi che ad un certo punto ti sei sentita Cassandra, quando «hai sentito la sciagura appropinquarsi». Tu hai spiegato molto bene il processo di identificazione che hai sentito con questo personaggio fittizio. In quale momento l’hai sentito particolarmente vicino a te?

I.S.: Secondo me tutti i personaggi di questo libro, da mia madre, a Soraya, a me, a mio padre sono Cassandra. Tutte le persone che appaiono anche soltanto per un istante nel libro portano dentro di sé la conoscenza di una guerra, in un momento come quello presente in cui anche l’Europa, l’Occidente, sta scivolando, non tanto verso la guerra, quanto verso un linguaggio di guerra. Quindi la motivazione per cui ho scritto il libro è anche questa, ovvero spingere i lettori ad osservare quello che è successo in passato per non ripeterlo. In questo mi sento anche io molto Cassandra, è un libro molto attuale da questo punto di vista.

C.C.N.: Invece per quanto riguarda la lingua, ho notato che, anche se la narrazione è in italiano, il somalo è molto presente. Si può affermare che in questo libro la lingua somala sia la manifestazione più evidente del trauma di guerra di cui parli?

I.S.: Non lo so, io penso che si tratti più di appartenenza che di trauma. Volevo far dialogare le mie due lingue madri insieme e metterle sulla pagina insieme, perché sono due lingue, come spiego, che si sono anche volute male. Infatti, l’italiano che è arrivato in Somalia, era molto basico, e violento non era quello di Dante, o di Elsa Morante.

Io ogni tanto lo dico anche a Soraya, dobbiamo fare i conti con la storia dell’italiano, della lingua, perché da una parte è una storia violenta, dall’altra però è molto bella ed è anche una lingua dei sentimenti, degli affetti. Quindi ho cercato di mettere tutto insieme, sia le cose belle che le cose brutte dell’italiano e ho creato questa genealogia molto personale della lingua italiana. Io nella mia scrittura esprimo sempre il mio legame con la lingua, e con le lingue che uso per i miei personaggi, che ritengo molto importanti perché veicolano dei messaggi.

C.C.N.: Invece per quanto riguarda le istanze femministe all’interno del libro, ad un certo punto citi Bell Hooks affermando come sia stata uno dei tuoi modelli. In Cassandra a Mogadiscio come dialoga il femminismo con il colonialismo, anche alla luce del fatto che hai scritto questo libro per tua nipote?

I.S.: Allora questo è un libro di donne, per donne, con donne. Questo è già di per sé molto femminista. Anche il colonialismo di cui parlo, la guerra, sono fenomeni patriarcali che colpiscono il corpo delle donne violentemente, lo annullano. L’unico modo che ho trovato per contrastare tutto questo è raccontare e soprattutto dargli una base teorica, che è un po’ coloniale e un po’ femminista. Infatti, cito Bell Hooks, cito Toni Morrison.

La prima parola con cui si apre Cassandra a Mogadiscio non è Beloved, ma Amatissima, che è il titolo italiano di Beloved. Quando dico “amatissima” mi riferisco ad una lunga tradizione orale e scritta di donne afrodiscendenti africane e afroamericane, che prima di me hanno raccontato una storia. Quindi nella mia scrittura è sempre molto importante la genealogia, magari non è esplicita per il lettore, però per me lo è. Cominciare il libro in quel modo è molto forte.

Chiara Celeste Nardoianni


L’intervista a Igiaba Scego è stata realizzata in collaborazione con l’Oratorio di San Filippo Neri, Mismaonda e ScriptaBO. Un ringraziamento particolare ad Alice Rosellino e Francesca Rossini. Leggi tutte le interviste di Giovani Reporter al LabOratorio di San Filippo Neri.

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