CinemaCronaca

“Adolescence” su Netflix è il presente che non riusciamo a vedere

Adolescence Netflix

La serie TV “Adolescence”, disponibile su Netflix, offre uno sguardo autentico su una realtà spesso sconosciuta, soprattutto alle generazioni più adulte. Per questo, scuote le coscienze degli spettatori e porta alla luce temi attuali: i pericoli del web, la violenza di genere, il divario generazionale. Un crimine scuote una comunità e svela il vuoto educativo in cui vivono i suoi giovani protagonisti…


Crisi generazionali

Adolescence, miniserie britannica articolata in quattro episodi, domina ormai da settimane le classifiche di Netflix e si conferma uno dei titoli più discussi del momento.

Ha conquistato gli spettatori della piattaforma in modo repentino, grazie sì alla cura della sceneggiatura e alla qualità delle interpretazioni, ma in particolare in virtù della capacità di trattare temi urgenti e profondamente attuali: centrale è la violenza di genere e la sua pervasiva diffusione nel mondo digitale.

Ambientata in un tranquillo sobborgo inglese, la serie segue la vicenda della famiglia Miller, la cui quotidianità subisce un radicale cambiamento quando la polizia arresta Jamie – il figlio di non appena tredici anni, interpretato dal brillante Owen Cooper – con l’accusa di aver ucciso Katie, una compagna di scuola. Da quel momento, mentre la comunità cerca risposte, emergono particolari inquietanti della vita online del protagonista e dei suoi coetanei.

La narrazione ruota attorno a due nuclei tematici: da un lato, la mascolinità tossica e i modelli negativi cui i giovani sono esposti, in particolare in rete; dall’altro, l’immaturità emotiva degli adulti e la loro inadeguatezza comunicativa nei confronti delle nuove generazioni.

Adolescence dipinge un panorama sociale caratterizzato da un vuoto relazionale che si traduce in un dramma collettivo: gli adulti messi in scena – specchio di gran parte degli spettatori nella stessa fascia d’età –, nel tentativo di capire cosa abbia spinto il protagonista verso un gesto così estremo, si trovano faccia a faccia con una realtà spiazzante.

Il dramma collettivo

Jack Thorne e Stephen Graham, autori della sceneggiatura, sfruttano la narrazione seriale in modo magistrale e le scelte stilistiche compiute rendono il racconto avvincente e immersivo.

La decisione di girare gli episodi in piano sequenza – un’unica inquadratura senza tagli – trascina lo spettatore nel cuore degli eventi e lo porta a catapultarsi nel Regno Unito, nella piccola città di Sheffield, nel South Yorkshire, l’8 maggio 2024, quando la polizia fa irruzione in casa Miller per arrestare Jamie con l’accusa di aver commesso un omicidio.

Se la prima puntata, ambientata in un commissariato di polizia, potrebbe far pensare che si tratti di un giallo da risolvere, durante i restanti tre episodi capiamo subito che lo scopo della serie è ben altro.

Messa da parte la trama investigativa, l’indagine diventa più che mai sociale: con salti temporali e scenari differenti, emergono punti di vista multipli che svelano le ragioni profonde di un crimine di tale portata.

Il risultato è un’esperienza visiva intensa, che racconta il dramma di un nucleo familiare e insieme lo smarrimento di un’intera comunità sconvolta.  

E bisogna fare i conti anche con la fragilità di un’intera generazione maschile, ben riflessa in Jamie: un adolescente bullizzato, insicuro, incline a rifugiarsi in una dimensione altra, quella online.

L’omicidio stesso ha un profondo radicamento nei processi che dominano nel web. Così, Thorne e Graham portano alla luce l’universo della manosfera e tutte le sue sottoculture, tra cui quella degli incel.

Violenza (in)visibile

“Io non ho fatto niente di male”: queste le parole che definiscono la posizione di Jamie nei confronti del reato di cui è accusato. Nei primi episodi, il fatto che abbia ucciso una donna per lui non sembra essere una possibilità.

In assenza di un dialogo con le generazioni adulte e di spazi sicuri di confronto, giovani come Jamie si rinchiudono in contesti che intensificano insicurezze e ossessioni verso il genere femminile, fino a portarli a deumanizzare quei corpi percepiti come nemici.

Adolescence Netflix

Jamie è l’estremizzazione della cultura della manosfera, ossia quel bacino eterogeneo di comunità online accomunato da una visione misogina del mondo, da ideali di mascolinità tossica, antifemminismo e violenza.

L’ideologia cui fa riferimento gran parte della manosfera, che si ritrova anche in Adolescence, è la red pill theory. Citando metaforicamente il film Matrix (1999), la teoria propone una visione complottista del mondo secondo la quale la società circostante è corrotta e l’autodeterminazione femminile contribuirebbe a eliminare gli ideali tradizionali di maschilità.

La mascolinità rimane al centro della sottocultura incel, e Jamie ne è un esempio emblematico.

Il termine, nato dalla crasi di involuntary e celibates, fa riferimento ai celibi involontari: nella loro percezione, sono le donne a essere attratte unicamente da ciò che sta in superficie, come bellezza e denaro, e dunque da uomini forti, potenti, protettivi, il che le porterebbe a rifiutarli perché non soddisfano questi canoni.

Anche se la loro idea di fondo sarebbe demolire una struttura soffocante che rende tutti vittime, a prescindere dal genere, questi uomini – incapaci di concedersi la libertà di essere fragili – finiscono per riversare la responsabilità del loro malessere sulle donne: le definiscono ‘non persone’, le sfruttano e le manipolano in ogni modo.  

Adolescence Netflix

Due mondi divisi

Anche il divario generazionale trova spazio tra le tematiche affrontate in Adolescence.

La bolla social d’appartenenza dei giovani – un tempo circoscritta a forum e canali privati – si è estesa agli spazi pubblici della rete, e ormai è diventata un fenomeno che riguarda la contemporaneità. Ma, attraverso la distanza tra generazioni messa in scena in quattro episodi, emerge con chiarezza quanto gli adulti siano ancora inconsapevoli della sua reale portata e gravità.

La miniserie Netflix Adolescence offre allora uno sguardo critico sul mondo adulto ritratto in modo grottesco, quasi caricaturale. I personaggi, indipendentemente dal ruolo di genitori o professionisti – poliziotti, insegnanti o psicologi –, sono ingenui, impotenti e insicuri, inadeguati alle tematiche trattate.

Questo emerge, in particolare, nel terzo episodio, incentrato sul dialogo tra Jamie e la sua psicologa, inabile a gestire le richieste e le provocazioni del paziente. Estremizzazione della generazione di cui fa parte, anche questa figura è fragile e poco credibile.

Adolescence Netflix

Dunque, data la rappresentazione senza remore degli adulti nella miniserie – nessuno dei quali viene risparmiato –, possiamo ipotizzare che lo scopo fosse proprio quello di scuotere le coscienze delle generazioni più mature.

Domenica Laurenzano

(In copertina e nell’articolo, immagini tratte dalla serie TV Adolescence, disponibile su Netflix)


Per approfondire: leggi anche Il nichilismo nei giovani: cos’è? come sconfiggerlo? di Valeria Zaffora.

Ti potrebbero interessare
CinemaCultura

Desiderio di fusione, necessità di separazione: il dramma dei rapporti umani in "Queer" di Guadagnino

CronacaPolitica

C'è ancora spazio per la pace? I possibili scenari futuri dello scontro tra Israele e Iran

CronacaPolitica

Chi propone la remigrazione sa di che cosa parla?

CinemaCultura

La crisi dei “Maschi veri” di fronte al declino del modello Alfa