Scienza e tecnologia

De-estinzione – La scienza che vuole far rinascere il passato

de-estinzione

Far rivivere specie estinte non è più solo fantascienza. Di fronte alla sesta estinzione di massa, il progresso genetico ha permesso alla comunità scientifica di lavorare per riportare in vita specie estinte da secoli. Ma la de-estinzione è davvero la soluzione per salvare il pianeta? Un dilemma etico che fa da guida alla scoperta di uno dei progetti scientifici più affascinanti e controversi del nostro tempo.


Il sogno della fantascienza: cos’è la resurrezione biologica? 

La de-estinzione è la creazione artificiale di una specie estinta, elaborata attraverso specifiche tecniche di ingegneria genetica capaci di modificare il DNA. La ricerca sta facendo sempre più progressi in questo campo e molti traguardi sono stati già raggiunti.

Al giorno d’oggi le biotecnologie stanno riscrivendo le regole della natura, al punto che la resurrezione biologica potrebbe rivelarsi la soluzione per evitare una catastrofe di enorme portata: la sesta estinzione di massa – in gran parte causata dall’uomo – sta mettendo in pericolo più di un milione di specie. Ma se da un lato la de-estinzione potrebbe rappresentare una soluzione, dall’altro è ulteriore motivo di minaccia.

I primi tentativi di de-estinzione

Negli anni Trenta del XX secolo, in Germania, è nata l’idea di ricreare l’Uro – l’antenato del bue domestico attuale – il cui ultimo esemplare risale al 1627.

I fratelli Lutz e Heinz Heck, entrambi biologi, hanno tentato di intraprendere questo ambizioso progetto. Convinti che i geni dell’Uro fossero ancora parzialmente inseriti nel DNA delle razze bovine a loro contemporanee, hanno provato a ricostruire l’animale attraverso la tecnica del back breeding, una forma di selezione artificiale data da allevamento selettivo di animali domestici. L’esperimento dei due fratelli si è tuttavia rivelato un fallimento: il risultato fenotipico era molto simile a quello dell’Uro, ma dal punto di vista genetico le differenze erano numerose.

Due ulteriori tentativi di de-estinzione riguardano la clonazione: il primo risale al 1996 ed è stato sperimentato sulla celebre pecora Dolly, poi vissuta per ben sette anni – il che ha contribuito la diffusione del processo stesso; il secondo risale al 2003, quando un gruppo di scienziati ha provato a clonare lo stambecco dei Pirenei, una specie estinta nel 2000 a causa della caccia. Dalla clonazione di quasi cinquecento embrioni è nato soltanto un cucciolo, morto dopo poco più di sette minuti. Ciononostante, è stata dimostrata la possibilità di clonare e riprodurre specie estinte.

La pecora Dolly. Foto: The Roslin Institute.

La paleogenomica: la chiave per la de-estinzione

Nei primi anni Ottanta, l’obiettivo di alcuni ricercatori era quello di recuperare il DNA di alcuni insetti risalenti al Mesozoico rimasti incastrati dentro le gocce d’ambra. Tuttavia, nelle resine il materiale genetico non resiste per più di un secolo: il DNA del Giurassico è dunque perso per sempre.

Nonostante questo limite, ricavare e utilizzare l’acido nucleico contenente le informazioni genetiche di specie antiche è davvero possibile, attraverso una disciplina nata recentemente: la paleogenomica. Questa scienza, ideata dal biologo svedese Svante Pääbo – che attraverso i suoi studi ha vinto il premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 2022 – rappresenta una nuova branca degli studi di Biodiversità ed Evoluzione che si occupa dell’identificazione genetica di materiali antichi. 

Riportare in vita una specie estinta: come si fa?

I metodi per rendere possibile la resurrezione biologica sono molteplici. Il più esemplificativo è quello della clonazione, un processo divenuto famoso nel 1996 quando è stato sperimentato sulla celebre pecora Dolly, poi vissuta per ben sette anni. Prendendo del DNA integro da un esemplare ben conservato – per esempio congelato nel permafrost – lo si inserisce nel nucleo di una cellula uovo poi impiantata nell’utero di una madre surrogata appartenente a una specie affine rispetto quella che si vuole de-estinguere. Questa tecnica tende a funzionare solo per estinzioni recenti e può portare ad aborti o malformazioni del feto.

Un altro metodo è quello del CRISPR-Cas9 (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats), tecnica di editing genetico all’avanguardia. Funziona grazie all’utilizzo di una proteina capace di sezionare il DNA, contenente al suo interno un filamento di RNA che funge da guida alla proteina stessa. Le sequenze risultanti, prese dai resti dell’animale estinto, vengono utilizzate per modificare i geni, che daranno poi origine ad un embrione ibrido geneticamente molto simile alla specie originale, che potrà poi essere inserito nell’utero di una madre surrogata compatibile.

Infine, la tecnica del back breeding (retro-incrocio) permette di incrociare animali viventi che conservano caratteristiche affini a quelle della specie estinta. È  un processo che non fa un uso diretto del DNA dell’animale estinto, ma richiede tempi piuttosto lunghi, in quanto i suoi risultati si misurano con l’analisi di generazioni successive; questo metodo agisce attraverso molteplici incroci fino a ottenere, con il tempo, caratteristiche sempre più simili a quelle della specie originale.

Svante Pääbo, fondatore della paleogenomica. Foto: Repubblica.

Il ruolo della resurrezione biologica

Le finalità che guidano questa tipologia di ricerca, che non solo richiede un grande impegno e una preparazione scientifica piuttosto puntuale ma anche un importante investimento
economico
, sono molteplici. Tra le più significative c’è la volontà di riportare in vita specie estinte che un tempo hanno svolto un ruolo cruciale all’interno dei loro ambienti naturali.

Emblematico è il caso del mammut lanoso, la cui de-estinzione è volta a ristabilire la cosiddetta ‘steppa del mammut’, un vasto ecosistema di praterie fredde situate in Nord America e in Eurasia, scomparso dopo l’estinzione dei grandi erbivori.

In ogni caso, il ripristino del vasto bioma non è l’unico scopo: anche dal punto di vista scientifico, la de-estinzione rappresenta un ottimo elemento per comprendere l’evoluzione e la genetica, e per sviluppare nuove tecnologie applicabili alla conservazione di alcune specie attuali. 

L’etica della de-estinzione

Anche la dimensione etica riveste un ruolo centrale nel dibattito sulla resurrezione biologica. In questo periodo storico, l’uomo è gravato da una responsabilità morale: molte specie si sono estinte a causa delle sue azioni e de-estinguere potrebbe essere interpretato come un tentativo di giustizia ecologica. Tuttavia, l’etica di questa azione è piuttosto complessa: quale sarebbe la vita di un animale de-estinto? Probabilmente un’agonia.

Nella maggior parte dei casi, gli ecosistemi complessi in cui vivevano un tempo non esistono più, dunque queste specie sarebbero quasi certamente costrette a vivere in laboratori o in recinti, limitate nell’espressione dei loro istinti naturali. Inoltre, gran parte dei fondi che verrebbero stanziati per questa tecnica innovativa, potrebbero essere utilizzati per la difesa di specie a rischio di estinzione.

Il grande progetto della resurrezione biologica sta diventando sempre più concreto: l’ingegneria genetica ha raggiunto un livello tale da rendere possibile ciò che, fino a pochi decenni fa, sembrava irrealizzabile, riscrivendo le regole che governano l’azione della natura. Tuttavia, oggi gli ecosistemi e le specie che li abitano versano in uno stato molto precario.

A questo punto, viene da chiedersi se de-estinguere sia così prioritario. Forse, prima di riportare in vita specie estinte, il nostro obiettivo dovrebbe essere salvaguardare e proteggere quelle presenti.

(In copertina, foto da Fanpage.it)

Ti potrebbero interessare
Scienza e tecnologia

Breve introduzione al trasferimento di energia senza fili a corto raggio

CulturaScienza e tecnologia

L’eco-ansia: il cambiamento climatico incontra il cervello umano

PoliticaScienza e tecnologia

Legge sul nucleare Made in Italy: si può (ri)fare?

CulturaScienza e tecnologia

Il Voyager-Golden Record: un messaggio per gli alieni?