
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale la scorsa settimana e in vigore dal 12 aprile, il decreto legge 11 aprile 2025 n. 48 (ex Ddl Sicurezza) introduce venti nuovi reati, inasprisce pene esistenti e colpisce in particolare migranti, attivisti e detenuti, segnando una svolta securitaria che solleva interrogativi sull’uso della decretazione d’urgenza e sulla deriva punitiva adottate dall’attuale Governo.
Che cos’è e cosa prevede il Ddl Sicurezza
Era diventato noto come Ddl sicurezza 1660; invece, da qualche giorno, ha cambiato veste trasformandosi in un decreto-legge. Il testo originario era stato approvato alla Camera lo scorso 18 settembre; mentre era in esame al Senato è stato riscritto dal Governo, con qualche modifica, e trasformato in un decreto legge.
Il Ddl prevedeva diverse modifiche al Codice penale, formulando venti nuovi reati, estendendo sanzioni e aggravanti, e inasprendo le pene previste per reati già esistenti. Nel mirino del disegno di legge c’erano gli attivisti per il clima che bloccano le strade, coloro che sono rinchiusi nei cpr, le persone in regime di restrizione della libertà personale e le persone migranti.
Il testo del decreto legge ricalca quello del Ddl, salvo qualche piccola modifica in forza delle obiezioni sollevate dal Quirinale. Tra le altre cose, si prevede l’introduzione del reato di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui – si è parlato di norma anti-Salis.
L’illecito amministrativo di blocco stradale o ferroviario, attuato mediante ostruzione fatta col proprio corpo, diventa reato, con la previsione di una circostanza aggravante nel caso in cui il fatto sia commesso da più persone riunite.
Inoltre, diventa facoltativo, e non più obbligatorio, il rinvio dell’esecuzione della pena per le condannate incinte o madri di figli di età inferiore a un anno; si prevede, ulteriormente, che l’esecuzione non sia rinviabile ove sussista il rischio, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti. Si tratta, chiaramente, di una norma che vuole colpire le donne di etnia Rom.
Si introduce una circostanza aggravante dei delitti di violenza o minaccia e di resistenza a pubblico ufficiale; si prevedeva, inoltre, il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla predetta aggravante, che è stato poi rimosso in virtù delle obiezioni del Quirinale. Un’altra aggravante è prevista nell’ipotesi in cui il reato sia commesso al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica – si pensi ai movimenti no Tav.
È prevista la nuova fattispecie di lesioni personali a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni. E ancora, è introdotto un inasprimento sanzionatorio nei casi di inosservanza di prescrizioni o dell’obbligo di fermarsi intimati dalla polizia stradale.
Per quanto riguarda gli istituti penitenziari e i cpr: è prevista una circostanza aggravante per il reato di istigazione a disobbedire alle leggi, quando commesso all’interno di un istituto penitenziario o a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute; ulteriormente, è introdotto il delitto di rivolta all’interno di un istituto penitenziario; è, inoltre, enucleato un nuovo reato finalizzato a reprimere gli episodi di proteste violente da parte di gruppi di stranieri irregolari trattenuti nei cpr.
Compare anche una norma che autorizza gli agenti di pubblica sicurezza a portare, senza licenza, alcune tipologie di armi quando non sono in servizio.
Inoltre, il Ddl prevedeva il divieto di vendere sim telefoniche a persone migranti che non esibissero un titolo di soggiorno valido; il decreto legge prevede, invece, che sia sufficiente un documento di identità.
Qual è la differenza tra un Ddl e un Dl?
Il disegno di legge è un testo, in questo caso di iniziativa governativa, che deve seguire l’iter legislativo ordinario: l’approvazione da parte di entrambe le camere. Questo implica che il testo debba essere ampiamente discusso ed, eventualmente, emendato nell’ambito della navette parlamentare.
La ratio è quella di garantire un processo democratico di produzione legislativa, dal momento che il Parlamento è l’unico organo direttamente eletto nel nostro ordinamento.
La disciplina dei decreti legge è prevista all’art. 77 della Costituzione, definita come decretazione d’urgenza. La norma fa divieto al Governo di emettere decreti che abbiano valore di legge ordinaria senza una delega da parte del Parlamento, salvo che non si tratti di straordinari casi di necessità e urgenza.
I decreti legge, quindi, emessi a seguito di una delibera da parte del Consiglio dei Ministri, devono essere convertiti in legge dal Parlamento entro sessanta giorni. Per quanto esista un coinvolgimento, seppur minimo, delle Camere, è evidente che la discussione, in questo modo, sia silenziata. In sede di conversione, infatti, il Parlamento ha un margine di modifica del testo molto limitato.
Al di là dell’abuso della decretazione d’urgenza, di cui questo Governo – ma anche i precedenti – si è fatto portatore, qui la stortura sta nel fatto che il disegno di legge è stato riscritto dal Governo sotto forma di decreto legge mentre il testo era già in discussione alle Camere.
L’abuso dei decreti legge
Nel periodo che va dal 13 ottobre 2022 al 13 febbraio 2025 sono stati emanati 86 decreti legge, di cui uno deliberato dal governo Draghi e i restanti dal governo Meloni; di questi, 70 sono stati convertiti in legge. Il ritmo di produzione della decretazione d’urgenza è rimasto pressoché costante dall’emergenza Covid.
Da questo punto di vista, si può osservare che il governo Meloni vanta una media di 3 decreti legge al mese, contro la media di 3,07 dei governi Conte II e Draghi, che hanno però dovuto fronteggiare l’emergenza pandemica. Lo sconfinamento del dettato costituzionale in materia di decreti legge è una prassi che ha caratterizzato anche gli esecutivi precedenti; vero è, però, che con il concludersi dell’emergenza pandemica gli standard non sono tornati a quelli pre-Covid.
Il Governo ha dichiarato che la trasformazione in decreto legge del Ddl è motivata dalla volontà di voler dare tempi certi all’approvazione del provvedimento, che era in discussione da molto tempo; non è, però, questa la ratio dello strumento, che qui invece è utilizzato per piegare il processo democratico e silenziare la discussione parlamentare.
La svolta securitaria
Ci troviamo di fronte all’ennesimo provvedimento che promette sicurezza in cambio di libertà, che maschera la repressione del dissenso con la garanzia di protezione. Si tratta di misure che tolgono a chi già non ha nulla, con la continua illusione che il diritto penale possa estirpare fenomeni che si radicano nella marginalizzazione sociale ed economica.
Di fronte ad un’emergenza carceri che non accenna ad arrestarsi, la risposta è l’introduzione di venti nuovi reati; laddove si auspicherebbe un ripensamento della giustizia punitiva, si trovano saturazione degli istituti penitenziari e repressione. D’altronde, le leggi penali sono quelle misure a costo zero che puoi rivendicare nei comizi per parlare alla pancia dell’elettorato.
E oltre al danno pure la beffa: un disegno di legge sottratto alla discussione parlamentare, e in cambio un decreto legge estratto dal cilindro.
Gli straordinari motivi di necessità e urgenza devono essere Salvini che batte i piedi perché con il nuovo decreto deve darsi lustro al Congresso della Lega, per elemosinare un po’ di popolarità.

Con questo Dl sicurezza, ancora una volta, puniamo tutto in modo che nulla cambi, con l’illusione che la repressione del dissenso ci renda più sicuri.
Sara Nizza
(In copertina manifestazione contro il decreto sicurezza a Roma, 4 aprile 2025; foto: Francesco Fotia/Agf)