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Emergenza femminicidi – Perché non smetteremo di combattere

emergenza femminicidi

Michela Murgia sosteneva che il termine ‘femminicidio’ non indica il sesso della vittima, ma il motivo per cui viene uccisa. Il presente articolo si colloca su questa scia: si tratta di un atto di denuncia e un gesto di memoria per due giovani donne, Sara Campanella e Ilaria Sula, uccise per mano di uomini incapaci di accettare un rifiuto. Due delle troppe vite spezzate da una violenza che colpisce quando una donna decide di non piegarsi al controllo o alla pretesa di possesso maschile.


Chi era Sara

Sara Campanella era una studentessa universitaria che frequentava il corso di Tecniche di laboratorio biomedico di Messina. Originaria di un paese vicino a Palermo, si era trasferita per via degli studi. È stata uccisa da un compagno di corso ventisettenne, Stefano Argentino, durante un litigio alla fermata dell’autobus. L’uomo l’ha accoltellata più volte per poi scappare a piedi e fuggire nella casa di vacanza a Noto.

La vicenda, straziante di per sé, è ulteriormente aggravata dalle narrazioni fuorvianti che stanno circolando. A tal proposito, l’avvocato di Stefano Argentino ha dichiarato che l’uomo nutriva un interesse per Sara Campanella, apparentemente ricambiato, ma che non è mai evoluto in una relazione. Una precisazione che non aggiunge niente, se non l’ennesimo tentativo di colpevolizzare la vittima.

Anche se Sara gli avesse parlato, lui non aveva il diritto di toglierle la vita, di seguirla o rivolgerle “attenzioni in maniera insistente e reiterata”, come hanno affermato alcuni amici della giovane donna. A ciò si aggiunge un ultimo messaggio che era stato inviato da Sara alle sue amiche: “il malato mi segue”.

emergenza femminicidi- foto Sara Campanella
Sara Campanella, foto da La Repubblica.

Chi era Ilaria

Ilaria Sula era una studentessa originaria di Terni, ma che viveva da fuorisede a Roma per studiare statistica alla Sapienza. Ha conosciuto il suo assassino nel fast food in cui lavorava. L’aguzzino è l’ex fidanzato, Mark Antony Samson: ha ucciso Ilaria a coltellate, per poi nascondere il corpo in una valigia e gettarlo in un dirupo. Inoltre, l’omicida, con una freddezza calcolatrice che fa orrore, ha usato il telefono della ragazza per mandare messaggi e postare stories su Instagram dopo la sua morte.

Quando la sera del 25 marzo è scattato l’allarme per la scomparsa della ragazza, l’uomo ha persino iniziato a rispondere alle amiche e ai conoscenti, fingendosi coinvolto nelle ricerche. Tutto questo mentre sapeva di aver già tolto la vita a Ilaria e di essersi disfatto del corpo come fosse un oggetto qualsiasi in suo possesso.

emergenza femminicidi- foto Ilaria Sula
Ilaria Sula, foto da La Stampa.

Siamo stanche

Tutto questo è il segno di una tragedia sistemica che subisce costante svalutazione da parte dei media e delle istituzioni. Quasi quotidianamente, la società e i media colpevolizzano la vittima e mettono in risalto quanto l’aguzzino fosse un abile padre, un fidanzato affettuoso o semplicemente un così “bravo ragazzo”.

Ci vogliono giornalisti competenti capaci di parlare di questo dramma sociale che cresce in modo esponenziale: nel 2024 si è commesso un femminicidio quasi una volta ogni tre giorni.

Siamo stanche. Parliamo tra di noi, manifestiamo, lottiamo nella nostra quotidianità per cambiare qualcosa. Cerchiamo di far comprendere ai nostri amici, ai nostri padri, ai nostri fratelli ciò che spesso non vedono. Ci informiamo, restiamo aggiornate su ogni battaglia e, purtroppo, anche su tutte le sconfitte che siamo costrette a incassare.

Per denunciare i femminicidi si devono usare termini crudi, perché è crudo quello che subiscono le vittime. In questo caso si parla due giovani studentesse che avevano semplicemente detto un “no” a uomini che non hanno saputo accettarlo.

Elena Cecchettin, sorella di Giulia Cecchettin, continua a lottare per demistificare la narrazione uomo-mostro che spopola nei giornali. Il nostro bravo ragazzo, protagonista indiscusso del resoconto mediatico, è frutto di una società patriarcale che risponde con la violenza all’autodeterminazione femminile.

Elena, come tante altre attiviste, porta avanti una lotta indispensabile (leggi anche i nostri articoli sul femminicidio di Giulia Cecchettin e sulla famiglia Turetta).

Foto fondazione Cecchettin
Logo della Fondazione Giulia Cecchettin, nata dal padre, Gino Cecchettin, la sorella, Elena, e il fratello, Davide.

A tal proposito, figura in prima linea l’associazione Non una di meno che, insieme ad altre organizzazioni transfemministe, è riuscita a radunare migliaia di donne in Italia per dare voce alle storie di Sara, Ilaria e tutte le altre vittime.

L’attivista italo-iraniana Marina Misaghinejad e NUDM Bologna hanno organizzato nel capoluogo emiliano-romagnolo una fiaccolata per condividere la loro rabbia e il loro dolore: un momento di rumore, di memoria e di sorellanza.

Proposta di cambiamento

I femminicidi ricevono maggiore attenzione mediatica solo quando si consumano in forme particolarmente atroci, come nei casi di Sara e Ilaria, ma anche nel caso di Giulia Cecchettin o Giulia Tramontano. È in questi momenti che la società si scuote, ma non basta più indignarsi. Queste istanze sono rivolte al Governo e al ministro dell’istruzione Valditara: serve un intervento concreto, perché questa è un’emergenza quotidiana.

Il femminicidio è l’aspetto più evidente, la punta di un grande iceberg che affonda le radici in una società in cui le donne vengono molestate, aggredite e controllate dagli uomini. Ci viene detto di denunciare, ma troppo spesso i nostri disagi sono sottovalutati o considerati irrilevanti.

Mancano i fondi per i centri antiviolenza, i consultori sono pochi e spesso presidiati da antiabortisti. Sono insufficienti persino gli studi su malattie femminili invisibili e sottovalutate, come l’endometriosi.

Scuola ed educazione sessuale

Vogliamo attenzione, vogliamo leggi nuove che ci tutelino e una riforma scolastica che possa intervenire sulla prevenzione e sull’educazione. Le scuole sono il luogo in cui bisogna imparare a dire basta. È tempo di scoprire punti di vista alternativi a quello del privilegio occidentale, eurocentrico e patriarcale.

È giunto il momento di introdurre l’ora di educazione sessuale. I ragazzi e le ragazze si approcciano al sesso in un’età sempre più precoce, e di frequente hanno come punto di riferimento principale la pornografia mainstream, che propone una rappresentazione irrealistica e spesso violenta dei rapporti sessuali.

Vogliamo che si parli di piacere femminile e maschile, che si diffonda consapevolezza sui propri corpi e su come ci si dovrebbe relazionare con i partner sessuali. I giovani hanno bisogno di modelli di sessualità alternativi a quelli che vedono sullo schermo di un pc. Vogliamo che nelle scuole si affrontino i temi e le istanze della comunità LGBTQ+, diffondendo consapevolezza e contribuendo ad abbattere gli stereotipi.

È necessario introdurre un percorso di educazione all’affettività con degli specialisti che educhino al rispetto dell’altro e delle sue esigenze, che insegnino come accettare un no, visto che molti uomini non ne sono capaci. Bisogna insegnare che non si può sottomettere l’altro, che il possesso non è sintomo di un amore sano e che non si può togliere la vita a una donna che non accetta di essere controllata.

foto educazione
Foto di Lisa Maree Williams/Getty Images, da Il Post.

Sorellanze e differenze

Le prime femministe hanno avviato un progetto di emancipazione che con il tempo si è evoluto, sono cambiate le istanze e gli obiettivi. Tuttavia, c’è un concetto che continua a sopravvivere: la sorellanza, l’idea di un’unione che lega tutte le donne del mondo, di qualsiasi Paese, etnia o religione. Le donne sono una maggioranza, ma sono anche fra le categorie di persone più discriminate.

Inoltre, è bene ricordare che non tutte le donne vivono la discriminazione allo stesso modo. Dire che siamo tutte sorelle suona bene, ma rischia di diventare uno slogan vuoto se ignoriamo le differenze reali: una donna bianca, cis, etero e benestante non affronta gli stessi ostacoli che deve affrontare una donna nera, lesbica o trans. Senza uno sguardo intersezionale, il femminismo diventa solo un’altra voce del privilegio, invece di uno strumento di liberazione per tutte.

Siamo stanche di venire uccise, ma rimarremo unite perché è ora di porre fine a questo massacro, per Ilaria, per Sara e per tutte noi.

Gaia Sacchetti

(In copertina, foto della manifestazione per Ilaria Sula e Sara Campanella a Roma. Foto: Cecilia Fabiano/LaPresse)

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