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La nostra Europa – Siamo pronti alla nuova sfida?

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La crescente consapevolezza della necessità di un’Europa più coesa si riflette nelle piazze, dove cittadini di ogni colore politico si riuniscono sotto il cielo blu dalle stelle gialle della bandiera europea. Ma l’UE può davvero trasformarsi in una federazione di Stati con una strategia condivisa, o rimarrà vincolata alle differenze nazionali?


La reazione popolare e condivisa degli europei

Di fronte agli attacchi espliciti, e per nulla diplomatici, di Trump all’Europa – “è stata creata per fotterci” –, l’Unione europea ha reagito compattandosi. L’esigenza è di far fronte ad uno spostamento politico degli USA nei confronti degli alleati europei come mai si era visto fino ad oggi. Sembra che, in questo momento, le differenze interne all’Unione appaiano ridimensionate e (forse) anche superabili di fronte a questo nuovo equilibrio mondiale che si sta delineando.

Oggi più che mai, infatti, si parla della necessità di un’Europa unita. Durante il solo mese di marzo, sono state centinaia le manifestazioni in piazza in tante città d’Italia e d’Europa. Sotto le bandiere blu a stelle gialle dell’Unione si sono riunite migliaia di persone, di idee e appartenenze politiche diversissime tra loro.

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Manifestazione a Roma per l’Europa. Foto: Ansa.it.

A questo proposito, il motto dell’Unione Europea In varietate concordia è quanto mai calzante. L’aforisma latino rappresenta al meglio il clima di questo nuovo, grande movimento che sta attraversando le piazze del continente. Dall’insediamento di Trump, i cittadini europei e le loro istituzioni sembrano essersi accorti dell’urgenza di rafforzare e difendere l’indipendenza e l’unità dell’Europa. 

Eppure, l’unificazione federale sembra essere ancora oggi lontanissima. La critica che si leva da più parti è che non esiste un unico soggetto politico europeo, senza cui appaiono irraggiungibili altri fondamentali obiettivi.

Tra gli effetti più evidenti di questa frammentazione interna figura senz’altro la gestione del debito pubblico comune. La questione non è ancora stata presa in considerazione, anche se sarebbe di grande utilità per l’Europa. Inoltre, proprio in queste ultime settimane si è ripresentato il tema della creazione di un esercito europeo che faccia seguito a una politica estera comune ai 27 Stati. 

Troppe voci nel coro dell’UE?

Benché siano più di tre quarti (77%) gli europei favorevoli a una politica di difesa comune tra i paesi dell’UE, realisticamente questa operazione non sembra raggiungibile nel breve termine.

Nonostante quello dell’esercito europeo sembri un tema relativamente recente, in realtà ha una risonanza storica ben più remota. La questione si potrebbe far risalire addirittura al 1860, nel pieno della Spedizione dei mille. In quel contesto Garibaldi, scrisse una lettera rivolta ai capi di Stato europei chiedendogli di mettere fine alle guerre per dedicarsi al benessere dei propri sudditi.

Giuseppe Garibaldi. Foto: ilmonocolo.it.

Nel Memorandum alle potenze d’Europa dell’ottobre 1860, Garibaldi parlò, ipoteticamente, dell’unificazione politica del continente in un unico grande stato federale. A tal proposito l’ufficiale scrisse: “Per esempio, supponiamo una cosa: Supponiamo che l’Europa formasse un solo Stato”. 

Ma nell’epoca moderna, ogni esercito è chiamato a difendere degli ideali condivisi. Viene allora da chiedersi se i 27 Paesi membri condividano questi ideali. Gli spagnoli di Sánchez e gli ungheresi di Orbán hanno interessi, valori e ideali se non uguali almeno conciliabili? 

Non è facile dare una risposta. Tuttavia, di sicuro una delle virtù dell’Europa è proprio la capacità di riunire a sé visioni e caratteri nazionali eterogenei, mantenendo il dialogo sempre aperto nonostante queste differenze.

Bisogna assicurarsi che queste divergenze non diventino una debolezza in grado di minare l’unità europea. Dunque, è essenziale che si rafforzino le istituzioni comunitarie e gli spazi politici dove i vari Stati possano dialogare. Solo così si potrà garantire un’unità e una fermezza nei processi decisionali all’interno dell’Unione stessa.

Il senso di identità (su cui bisogna ancora lavorare)

La cosiddetta ‘cultura comune europea’ e il senso di appartenenza all’UE e alle sue istituzioni sono ancora lontani da un capillare radicamento nei cittadini e nelle cittadine. Il rischio è che questa cultura comune appartenga solo alla fascia più abbiente ed istruita della popolazione.

Le classi più agiate tendono a vedere l’UE come un’opportunità economica, un mercato comune che facilita il commercio, gli investimenti e la mobilità di capitale e lavoro.

Per loro, l’UE rappresenta stabilità e crescita economica, con politiche che agevolano le imprese e le opportunità internazionali.

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Banca centrale europea. Foto: ilSole24ore.

D’altra parte, le fasce più povere spesso percepiscono l’UE come un’entità distante ed esageratamente burocratica, attenta più agli interessi delle élite finanziarie che alle esigenze quotidiane dei cittadini comuni. Le politiche economiche di austerità imposte in passato, la perdita del potere d’acquisto e il costo della vita in aumento concorrono ad alimentare questa diffidenza. Da questo punto di vista, le istituzioni europee spesso vengono considerate incapaci o disinteressate a proteggere i lavoratori e il welfare sociale.

 Questa divisione di vedute, che affonda le sue radici nelle disuguaglianze economiche, è troppo spesso ignorata o sminuita dall’opinione pubblica e rischia di diventare un ostacolo per un futuro di maggiore coesione dell’UE.

Ci siamo già passati

Serve dunque creare e nutrire un’idea di Europa al fianco del cittadino, capace di difendere i suoi interessi e in grado di regalare anche un ‘sogno’ che travalichi i meri interessi economici. Servono avvenimenti che ci facciano sentire europei: è difficile, ma non impossibile

È spaventoso dirlo, ma spesso, più di ogni altra esperienza collettiva, la guerra è stata uno dei più potenti catalizzatori di coesione. La terribile ideologia della guerra, in quanto forza coagulante, ha forgiato le identità di molte nazioni contemporanee, immergendola nel sangue degli ‘eroi’ che muoiono al fronte. 

La Prima guerra mondiale, per esempio, ha rappresentato la prima vera esperienza nazionale italiana: è stato l’evento storico in cui dialetti, culture e idee profondamente diverse si sono mescolate insieme, concorrendo a formare un senso di appartenenza nazionale che prima era praticamente assente.

Giovani lombardi, pugliesi, emiliani hanno combattuto fianco a fianco in trincea per tre anni. Questa esperienza devastante e terribile ha contribuito a creare un legame forte, rinvigorito dalla propaganda e dai miti post-bellici, in un periodo in cui le differenze culturali e strutturali che potevano sussistere tra la Sicilia e il Piemonte erano probabilmente maggiori rispetto alle differenze che ad oggi esistono tra Romania e Belgio.

È dunque storicamente innegabile che la Prima guerra mondiale, nella sua tragica atrocità, ha concorso a maturare un’identità nazionale italiana.

Al giorno d’oggi siamo in grado di far sì che una profonda e rinnovata coesione politica possa sorgere non dalle macerie di una guerra sanguinosa, ma da un clima di pace?

Per un’Europa libera e unita

“La federazione europea sarà il più grande atto rivoluzionario dell’epoca moderna”, scrivevano Ernesto Rossi e Altiero Spinelli nel 1941, nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale, il conflitto più distruttivo e mortale che il continente abbia mai vissuto. 

Mentre si trovavano nel carcere a cielo aperto dell’isola di Ventotene, intellettuali e oppositori del fascismo scrissero il Manifesto di Ventotene immaginando un’Europa unita. Recentemente la premier Meloni ha criticato il manifesto alla Camera, citando alcune frasi decontestualizzate e dichiarando che «non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia». La polemica da parte delle opposizioni non si è fatta attendere.

Foto: unita.it.

Per un’Europa libera e unita è trasversalmente riconosciuto come uno dei testi che più ha contribuito alla nascita dell’idea che fonda l’Unione Europea. Nel 2016 infatti, Hollande, Renzi e Merkel andarono appunto a Ventotene per discutere del futuro dell’Europa e deposero dei fiori sulla tomba di Altiero Spinelli in suo omaggio.

Lo stesso Spinelli che Meloni, evidentemente, considera un pericoloso comunista anti-democratico. 

La premier si è soffermata sulle sezioni del documento riguardanti il ‘partito rivoluzionario’ e la dittatura auspicata. La sua narrazione ha omesso però che Spinelli, già nella riunione di fondazione del MFE (Movimento Federalista Europeo) dell’agosto 1943, aveva corretto quell’errore di prospettiva. Il politico aveva indicato la necessità di creare un unico fronte tra le diverse forze antifasciste, capace di riunire tutti coloro che condividevano l’obiettivo di «un’Europa libera e unita».

Meloni sbaglia a non storicizzare un testo scritto da oppositori politici di un regime che governava l’Italia da vent’anni, e che aveva imprigionato gli autori del manifesto su un’isola, Ventotene, per diversi anni.

Ventotene all’Europa serve. Oggi più che mai

Il manifesto di Ventotene dovrebbe essere un patrimonio e un testamento per l’Europa e per gli europei, che supera divisioni politiche faziose e tifi da stadio. Frasi quali “l’unità politica dell’Europa è la condizione necessaria per lo sviluppo di una nuova civiltà” rivelano l’importanza dell’eredità di questo testo eccezionalmente moderno e oggi più attuale che mai. 

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Spinelli, Rossi ed Einaudi. Foto: smbr.it.

Gli autori del manifesto, però, immaginavano un’unione tra gli Stati europei basata su una politica ed un’identità comune, e non limitata al solo aspetto economico. L’Unione Europea dovrebbe prendere il Manifesto di Ventotene a guida e ispirazione per il progetto europeo del prossimo futuro.

Ad oggi l’Unione si trova di fronte a un bivio: continuare a essere esclusivamente un’alleanza economica o trasformarsi in un vero attore politico. Per diventare un’entità politica a tutti gli effetti, Bruxelles dovrebbe rafforzare le proprie istituzioni comuni, promuovere politiche sociali più inclusive e ridurre le disuguaglianze tra i cittadini degli Stati membri.

Solo così l’Unione potrà emanciparsi dall’ottica puramente economica e costruire un’identità politica condivisa, fondata sui diritti, sulla partecipazione civile e sulla giustizia sociale.

Un’unione che non passi per forza dalle armi

Ultimamente ha fatto molto discutere il piano Rearm Europe,  proposto dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Il progetto, recentemente ribattezzato Readiness 2030 dopo le critiche di Meloni e Sanchez, prevede di aumentare le spese militari in Europa fino a 800 miliardi di euro nei prossimi quattro anni.

Questa ingente spesa pubblica usata per armare i singoli Stati, tuttavia, non sembra l’approccio migliore da adottare in questo momento.

Non è questo il percorso che può dar vita a un esercito comune o ad una strategia europea comune: così si investe esclusivamente nel rafforzamento dei singoli eserciti degli Stati membri. Se si vuole investire in armi, sarebbe forse più efficace iniziare con la standardizzazione e l’unificazione delle comunicazioni militari e degli asset energetici.

Lo stesso Mario Draghi, parlando lo scorso 18 marzo al Senato, ha affermato che, per la difesa comune europea, “occorre definire una catena di comando di livello superiore che coordini eserciti eterogenei per lingua, metodi, armamenti e che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema della difesa continentale”.

Foto: open.online.

Inoltre, riguardo al piano RearmEu, Draghi ha dichiarato: “Occorrerebbe che l’attuale procurement europeo per la difesa – pari circa a 110 miliardi di euro nel 2023 – fosse concentrato su poche piattaforme evolute anziché su numerose piattaforme nazionali, nessuna delle quali veramente competitiva”. 

Se la sicurezza dell’Europa intera è l’obiettivo a cui si aspira, è fondamentale che la risposta non sia solo quella di un rafforzamento delle singole capacità nazionali, ma l’integrazione e la creazione di una vera politica di difesa comune

Le priorità dell’Europa

Inoltre, una difesa comune europea comporterebbe una notevole riduzione delle spese militari. Per fornire un esempio concreto: se ci fosse un sistema comune di certificazione delle munizioni, l’Europa risparmierebbe 500 milioni di euro. In totale, se si prendono in considerazione gli investimenti che vengono sprecati a causa di duplicazioni, eccesso di capacità e acquisizione di barriere difensive, essi ammontano a 26,4 miliardi di euro l’anno.

Questo dimostra che è assolutamente possibile rafforzare l’Europa e muoversi verso una graduale unificazione dei sistemi di difesa nazionale senza dover necessariamente spendere di più. Sopratutto se questa spesa ammonta a 800 miliardi di euro che vengono sottratti a investimenti che potrebbero migliorare la vita dei cittadini europei ed essere investiti in welfare, istruzione, sanità.

Le profonde differenze strutturali nei sistemi, nei programmi e nelle tecnologie militari dei vari Stati membri sono il primo ostacolo concreto alla creazione di una strategia comune europea.

La sfida identitaria

L’Europa è a un bivio storico: restare un’unione di convenienza o diventare una potenza politica reale. È necessario superare le divisioni nazionali e creare istituzioni comuni più efficaci, investendo non solo sulla difesa, ma anche sulle politiche sociali, economiche e culturali che avvicinino i cittadini all’idea di un’Europa unita. Cosicché l’UE possa davvero diventare un attore globale coeso.

Dovremmo essere orgogliosi di fronte al resto del mondo del grande progetto politico compiuto dall’Unione europea: una federazione di Stati che ha saputo unificare la propria moneta, aprire le frontiere, far viaggiare un numero incredibile di studenti e persone come mai era accaduto prima. 

È l’esperimento politico più interessante e all’avanguardia che esista: per questo va difeso e protetto da chi prova a metterlo in discussione. Le democrazie non sono deboli, non hanno fatto il loro tempo; al contrario, sono ancora oggi la migliore forma di governo che abbiamo.

Senza istituzioni più forti e una visione comune, l’Unione rischia di sgretolarsi sotto il peso delle sue contraddizioni. La vera sfida non è economica, ma identitaria: vogliamo essere una somma di Stati o una voce univoca e coesa nel mondo?

Alessandro Donati

(In copertina, immagine di Ansa.it)


La nostra Europa – Siamo pronti alla nuova sfida? è un articolo di Alessandro Donati. Clicca qui per altri articoli dell’autore!

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