
Un grande terremoto politico e sociale sta legando tra loro i destini di Grecia e Serbia: qui, intere città si sono riversate in strada per organizzare delle proteste contro la corruzione dilagante in un governo colpevole di molti crimini. Ma per i giovani che si battono in prima linea potrebbe essere ancora troppo presto per immaginare un nuovo orizzonte di speranza.
Una “patologia endemica”
In entrambi i Paesi le proteste sono nate a seguito di incidenti ferroviari frutto di negligenze e difetti strutturali sui quali si intravede l’ombra di una profonda corruzione.
È il 1° novembre 2024 quando una pensilina della stazione di Novi Sad (Serbia) crolla, causando la morte di 15 persone e ferendone due. Eppure, l’opera di restauro compiuta appena due anni prima era stata presentata come il fiore all’occhiello della seconda città del Paese. Per l’occasione, erano stati inaugurati i primi treni ad alta velocità della Serbia, in grado di raggiungere un massimo di 200 km/h lungo la tratta Belgrado – Novi Sad.
I treni “Сокo” (“falchi” in serbo) rappresentano per il Paese balcanico un investimento fondamentale in una regione strategica come la Vojvodina – di cui la città di Novi Sad è capoluogo –, in grado di collegare in modo sempre più efficiente le due principali città dello Stato.

A seguito dell’incidente, molti dubbi sono sorti intorno alla qualità dei lavori e alla trasparenza delle manovre finanziarie in atto. I manifestanti pretendono chiarezza sulla gestione dei fondi e la garanzia che i responsabili affrontino un iter giuridico a norma. In questo clima si inseriscono anche le richieste per un maggiore finanziamento alle università che porti a un miglioramento qualitativo dei servizi accademici.
È un entusiasmo che è mutato in rabbia, paura e coraggio quello che sta spingendo centinaia di migliaia di persone a marciare in protesta contro la corruzione di una classe politica che ha tutte le fattezze di una “patologia endemica” finora incurabile.
Sono soprattutto i giovani serbi, non più figli della ex Yugoslavia, a entrare in rotta di collisione con i valori “tradizionali” di una realtà che guardano con sospetto.
Se Belgrado piange, Atene non ride. Anzi…
Un tragico anniversario per la Grecia
Il 28 febbraio scorso ha segnato per la Grecia l’anniversario del più tragico incidente ferroviario della sua storia. La notte di due anni prima, in una località della Tessaglia, un treno passeggeri della linea Atene – Salonicco e un treno merci si scontrarono, trovandosi per errore sullo stesso binario.
Tra le persone coinvolte, molti giovani studenti di ritorno dopo le feste di Carnevale.
La gravità dell’incidente fu tale che per diverse vittime l’identificazione fu possibile solo tramite DNA, in quanto le alte temperature raggiunte (intorno ai 1000°C) hanno, di fatto, carbonizzato i resti.

L’alto bilancio di 57 vittime e 180 feriti ha palesato le difficoltà strutturali del sistema ferroviario nazionale.
L’arresto del capostazione di Larissa, accusato di omicidio colposo, non ha affatto reso giustizia di fronte a una situazione ben più complessa. Le indagini successive hanno messo in evidenza l’arretratezza tecnologica di un sistema ferroviario non ancora del tutto automatizzato.
È emerso, infatti, che i sistemi di controllo non ricevevano la manutenzione necessaria e che la gestione del traffico si basava esclusivamente sulla comunicazione telefonica tra capistazione. Si indaga perciò anche sugli appalti per l’ammodernamento dei sistemi di sicurezza.
Dalla crisi alla privatizzazione: il caso delle ferrovie greche
Nel 2017 la compagnia statale greca OSE (Organismos Sidirodromon Ellados), incaricata della gestione ferroviaria, è stata privatizzata e ha ridotto le sue mansioni come conseguenza delle manovre economiche adottate dopo la profonda crisi che ha colpito il Paese.

Già nel 2010, a causa di debiti e pressioni fiscali, l’OSE venne ristrutturata e il governo greco decise di affidare il trasporto passeggeri e merci a una società separata, la TrainOSE, che di lì a poco sarebbe stata venduta per 45 milioni di euro al gruppo italiano Ferrovie dello Stato.
Questo, a onor del vero, ha introdotto dei miglioramenti nei servizi, anche nell’alta velocità.
Attualmente, l’OSE gestisce la manutenzione e l’infrastruttura ferroviaria, mentre Ferrovie dello Stato (FS) si occupa esclusivamente dei servizi.
A seguito dell’incidente, la già discussa privatizzazione di qualche anno prima ha riacceso gli animi e i dubbi sull’efficienza di un sistema bipartito, che ha privato il Paese di una compagnia ferroviaria nazionale.
Oltre la giustizia: una protesta totale contro il sistema
Negli ultimi giorni, ciò che ha portato milioni di greci a occupare le strade di molte città non è stato solo il desiderio di giustizia per le vittime, ma piuttosto la volontà di svincolarsi da dinamiche di potere politico intrise di corruzione su vari livelli.
Infatti, rimangono forti dubbi sulla trasparenza delle indagini in corso, assieme alle accuse di insabbiamento volte a evitare conseguenze per gli alti vertici dello Stato.
A due anni di distanza, nessun processo è stato ancora avviato e i timori di indagini manomesse si fanno sempre più presenti nel dibattito pubblico.
Ufficialmente, la Grecia è uscita dalla ben nota crisi di qualche anno fa ma, al di là di mere statistiche, il clima che si respira, in primis tra i giovani, è di duro pessimismo.
Per la prima volta in decenni si assiste a un movimento in grado di spingere verso l’ultima, vera, possibilità di cambiamento. L’alternativa sarebbe dirigersi altrove per non fare più ritorno o affidarsi a lavori estivi nel settore turistico, ma – come in ogni economia poco diversificata – l’impianto economico-sociale della Grecia oscilla pericolosamente.
“Non ho ossigeno”
La situazione generale, valida per entrambi i Paesi, si può riassumere nello slogan che echeggia per le strade greche: “Non ho ossigeno”.
A Belgrado si chiede la caduta del governo di Vučić, Presidente della Repubblica dal 2017 la cui posizione pare farsi sempre più critica, minata dalla spinta innovatrice dei giovani. Non sono bastate le dimissioni del premier Vučević il 28 gennaio scorso a calmare animi che aspirano a un degno risarcimento per gli anni vissuti soggiogati dalla corruzione e dal crimine organizzato sempre più di casa in Parlamento.

È indice di una situazione ormai compromessa il fatto che il 24 febbraio, nonostante le dimissioni di Vučević, il Parlamento abbia deciso di non indire nuove elezioni.
Gli scontri e le proteste proseguono, in Grecia come in Serbia, incalzati dalla volontà della popolazione di rendersi protagonista di un cambiamento radicale che rompa i legami con un passato ormai insostenibile.
I mesi decisivi: speranze e timori
Le immagini che arrivano sono da pelle d’oca. Negli ultimi anni non si erano mai viste folle di tali dimensioni e così eterogenee per età e classe sociale.
Come spesso è accaduto nella storia comune di Serbia e Grecia, le vicende dei due Paesi si intrecciano, amplificate ora più che mai dai social, mentre sono legate a doppio filo da una sfida epocale con cui si decide il futuro delle prossime generazioni.
Non è da escludere, poi, che il sentimento di rivolta si estenda, coinvolgendo altri Paesi, ma è troppo presto – e ottimistico – per azzardare certe affermazioni. Soprattutto quando persiste il timore che il governo instauratosi negli anni sia troppo potente per poter essere abbattuto in maniera pacifica e democratica.
Il tempo saprà dirci se stiamo assistendo alla nascita di una nuova consapevolezza sociale, una nuova lotta di Resistenza, in grado di spezzare le catene che tolgono il respiro a milioni di persone.
Jon Mucogllava
(In copertina immagine delle proteste in Grecia e in Serbia, foto: Reuters)
Prossima stazione: speranza – Grecia e Serbia, proteste contro la corruzione è un articolo di Jon Mucogllava. Clicca qui per altri articoli dell’autore.