Politica

Make Europe Great – La sTrumpalata di marzo 2025

sTrumpalata marzo 2025 GR Minafra

Un tentato golpe, due procedure di impeachment e persino un attentato. Ma oggi, il presidente degli Stati Uniti d’America è ancora una volta lui: Donald Trump. Seguiamo la sua nuova presidenza tra ordini esecutivi surreali, dichiarazioni esplosive e colpi di scena degni di un reality show. Perché capire Trump significa capire il presente – o almeno provarci, una sTrumpalata alla volta.

strumpalata febbraio 2025

Una dovuta correzione

Trump is Making Europe Great Again”: così titolava un articolo del Financial Times del 10 marzo scorso. E, in tutta onestà, se lo avessimo letto nei primissimi, convulsi giorni della seconda amministrazione Trump, sono piuttosto sicuro che il titolo in questione sarebbe stato interpretato in tutt’altra maniera.

E invece, a quanto sembra, l’Europa non sta piano piano assumendo le fattezze di una colonia allo stampo dell’America di Donald Trump, per cui Elon Musk aveva pure confezionato un acronimo nuovo di zecca, per la gioia e tripudio dei cosiddetti sovranisti del Vecchio Continente.

Al contrario di quanto si potesse immaginare, le azioni sempre più dirette e spesso senza precedenti intraprese dal presidente USA e dai suoi collaboratori sembrano aver risvegliato un sentimento di comunione e intesa che in Europa non sembra avere precedenti… tanto che ci sentiamo di poter correggere gli autori del Financial Times rimuovendo l’avverbio “again.

La Conferenza di Monaco (versione 2025)

Come è ormai nostra consuetudine fare, tuttavia, non ci concentreremo sugli eventi più chiacchierati, già passati a sufficienza sotto il rullo compressore mediatico: dunque no, non ci dedicheremo specificamente all’incredibile scambio avvenuto tra Zelensky e i vertici USA nello Studio Ovale, né al – per certi versi storico – primo discorso al Congresso del suo secondo insediamento. 

Analizzeremo invece la direzione che l’insieme degli eventi recenti detterà per la politica USA e, di conseguenza, per gli equilibri globali sempre più fragili, provando a portare alla luce altre vicende che la grande confusione MAGA ha forse contribuito a far passare in secondo piano.

Dove e quando è nata, quindi, la scintilla di orgoglio europeista che sembrerebbe aver illuminato Bruxelles e dintorni? Esattamente a Monaco, il 14 febbraio, all’annuale conferenza sulla sicurezza fondata dall’editore tedesco Ewald-Heinrich von Kleist-Schmenzin, quando a prendere la parola è stato il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance.

Il suo intervento era sicuramente tra i più attesi, in quanto avrebbe costituito una delle prime prese di posizione ufficiali di fronte agli storici alleati europei sulla postura che gli USA intendevano assumere in materia di politica estera e conflitti in corso (Ucraina su tutti). Il giovane vicepresidente è comunque riuscito ad andare abbondantemente oltre le aspettative:

La minaccia che mi preoccupa di più nei confronti dell’Europa non è la Russia, non è la Cina, non è nessun altro attore esterno. È la ritirata dell’Europa da alcuni dei suoi valori fondamentali, valori condivisi con gli Stati Uniti.

JD Vance

Vance ha poi proseguito, tra l’incredulità generale, criticando aspramente le politiche di contrasto alla disinformazione messe in atto dall’Unione Europea (critiche pienamente comprensibili, da parte del vice di chi sostiene ancora di aver vinto le elezioni presidenziali del 2020).

JD Vance sTrumpalata marzo 2025.
JD Vance (fonte: Matthias Schrader/AP).

L’ex senatore dell’Ohio si è infine scagliato contro l’annullamento delle elezioni in Romania, in seguito alle controversie legate alle interferenze russe nel voto di novembre, e contro la ritirata della libertà di parola che, a suo dire, starebbe avvenendo nel Regno Unito.

Romania, UK e diritti: America, tu quoque?

L’ex Paese del blocco sovietico sta attraversando una situazione estremamente delicata, con grandi manifestazioni, spesso sfociate in scontri, a favore del candidato dell’estrema destra Călin Georgescu, escluso dopo il pronunciamento della Corte costituzionale rumena.

Si tratta di un caso complesso, dalla cui risoluzione dipenderanno molti dei valori su cui oggi si fonda l’Europa. Quel che è certo è che né l’Europa né la Romania avranno bisogno di aiuto nel proteggere i valori democratici, non dagli Stati Uniti – il cui presidente ha ormai quattro anni fa fallito un colpo di Stato –  né tantomeno dall’altro grande critico dell’esclusione di Georgescu, la Russia, il cui Presidente dimora al Cremlino da ormai più di vent’anni.

Sulla questione inglese è invece intervenuto lo stesso primo ministro britannico, Keir Starmer, pochi giorni dopo la conferenza di Monaco, quando in visita ufficiale alla Casa Bianca ha ribadito con garbo e allo stesso tempo con fermezza a Trump e al suo giovane vicepresidente che il Regno Unito ha una lunga tradizione di difesa della libertà di parola. Tradizione che ha intenzione di preservare ancora per molto tempo.

“Good Morning, Europe”

Come promesso, ci asterremo dal soffermarci ulteriormente sullo Studio Ovale, evitando di commentare lo sconfortante incontro-scontro con il presidente ucraino Zelensky, per concentrarci invece sulle immediate conseguenze: Donald Trump è riuscito dove persino Vladimir Putin aveva fallito. Non è bastata una guerra di aggressione nel cuore dell’Europa per farle sentire l’urgenza di unirsi.

Un’Europa che per ottant’anni si era cullata nell’illusione di vivere in un contesto di pace perpetua e sviluppo, protetta dal confortevole ombrello militare (e nucleare) a stelle e strisce. Ma è bastata la semplice idea – impensabile fino a poche settimane fa – che quell’ombrello potesse infine chiudersi, per rendere finalmente concreta e tangibile la paura della pioggia.

Se il colpo di reni dell’Europa e del mondo occidentale in risposta alle bordate sempre più lapidarie di Donald Trump avrà successo, sia esso nella forma del piano Rearm Europe promosso dalla Commissione Von Der Leyen o in quella della cosiddetta Coalizione dei Volenterosi proposta da Keir Starmer, non è ancora dato saperlo.

Entrambe le proposte, per quanto audaci e francamente difficili da immaginare fino a poco tempo fa, presentano alcune criticità sia di ambito economico – sorgono infatti dubbi sulle modalità con cui prelevare le risorse necessarie ad un riarmo (a questo punto necessario) – sia dal punto di vista politico: non è ancora del tutto chiaro quanti Paesi sarebbero disposti a far parte di questa nuova Coalizione, né il grado di coinvolgimento che gli Stati membri sarebbero pronti a garantire.

E l’Italia dov’è?

Basti pensare che la premier Giorgia Meloni ha deciso solo all’ultimo di partecipare alla conferenza indetta da Starmer, dopo lunghe riflessioni che hanno coinvolto anche gli equilibri della maggioranza di governo, scossa soprattutto dagli entusiasmi leghisti nei confronti del tanto discusso accerchiamento di Zelensky nello Studio Ovale a fine febbraio, delle sanzioni contro le aziende europee (e dunque italiane) e della tanto agognata quanto poco definita “pace giusta” in Ucraina, quasi come possa esserci qualcos’altro di giusto che non comprenda restituire dei territori occupati militarmente.

La Presidente del Consiglio ha però escluso l’invio di truppe italiane in un’eventuale futura missione di peacekeeping, la cui attuazione sarà oggetto di discussione tra i Paesi disponibili (con Francia e Regno Unito in testa) nel corso della settimana.

Macron Starmer Zelensky sTrumpalata marzo 2025.
Emmanuel Macron, Keir Starmer e Volodymyr Zelensky (foto: Christophe Ena/AP).

È sicuramente degno di menzione come la questione del riarmo (o, più correttamente, del potenziamento delle difese) dell’Europa sia riuscita a mettere d’accordo le frange politiche italiane più disparate, per cui al coro del pacifismo retorico (attenzione, non alla retorica pacifista), oltre alla già citata Lega si sono unite anche diverse forze di opposizione.

Lega, Movimento Cinque Stelle, Alleanza Verdi-Sinistra e una buona parte del Partito Democratico (tra cui la segretaria Schlein) hanno dunque provvidenzialmente ribadito l’ovvio, ovvero che sarebbe preferibile investire nel sociale piuttosto che nel militare, dimostrando di essere coperti, oltre che dall’ombrello americano, allo stesso tempo anche da un impermeabile di qualunquismo.

Non si capisce più un… dazio

Se comunque  l’improvvisa spinta verso una maggiore unità e indipendenza politica e militare dei Paesi europei non dovessero concretizzarsi, l’amministrazione Trump si è provvidenzialmente mossa per garantire almeno il coordinamento della politica economica tra i Paesi europei e gli alleati in generale.

Perché, per quanto alcuni esponenti politici europei sembrino rifiutarlo, i dazi imposti da Trump non sono normali, né tantomeno legittimi. Si tratta invece di uno strumento prepotente e ingiustificato per estorcere condizioni economiche e politiche più favorevoli,  a dispetto dei trattati internazionali siglati dagli stessi Stati Uniti. Ed è per questo che né l’Europa né il Canada hanno perso tempo a reagire sull’argomento.

[scil. L’Unione Europea] è stata formata per fregarci e hanno fatto un buon lavoro in questo, ma ora ci sono io alla presidenza.

Donald Trump

È con queste parole che Donald Trump, a margine della sua prima riunione di gabinetto, ha annunciato l’introduzione di tariffs del 25% su acciaio e alluminio nei confronti dei Paesi europei.

La reazione dell’UE, come accennato, non si è fatta attendere, con contro-dazi per 26 miliardi di euro in un’operazione in due fasi che dovrebbe avere inizio il 1° aprile.

Ed è qui che ha inizio un pericoloso gioco al rialzo, con Trump che ha minacciato risposte sproporzionate nei confronti dei singoli prodotti presi di mira dalle misure di ritorsione europea.

Ecco il post in cui Trump, sul suo social media Truth – lo spazio in cui ha finalmente modo di fabbricare, per l’appunto, le sue verità – paventa dazi del 200% su tutti i vini prodotti in Europa, in risposta ai dazi europei del 50% sul whiskey americano.

Inutile sottolineare i danni che una misura del genere (o, come direbbe qualcuno, “un’opportunità” del genere) avrebbe su alcuni dei prodotti più pregiati del nostro Paese.

Donald Trump sTrumpalata marzo 2025.

“Oh, Canada…”

Oltreoceano, anche il governo canadese ha reagito con fermezza. Dopo le provocazioni in cui il presidente Trump ha più volte definito l’altro gigante del Nord America “il cinquantunesimo Stato americano”, il Canada ha dovuto affrontare l’improvvisa imposizione di pesanti dazi in un frangente politico estremamente delicato.

Mark Carney, il nuovo leader del Partito Liberale, che ha sostituito Justin Trudeau dopo nove anni alla guida del Paese, non ha usato mezzi termini per commentare le velleità espansionistiche di Donald Trump:

Gli Americani vogliono le nostre risorse, la nostra acqua, la nostra terra, il nostro Paese… se avranno successo, distruggeranno il nostro stile di vita.

Mark Carney

Ci ha pensato poi il governatore della provincia dell’Ontario, la più popolosa del Paese, a passare rapidamente ai fatti, imponendo un sovraccosto del 25% sulle esportazioni di energia elettrica dirette agli Stati di New York, Michigan e Minnesota.

Insomma, quali sono i primi risultati della politica delle tariffs, uno dei cavalli di battaglia che hanno assicurato a Donald Trump la presidenza per la seconda volta? L’efficienza della politica economica dell’entità più confusa e litigiosa del mondo occidentale, l’ostilità di uno dei Paesi notoriamente più pacifici del mondo intero… e dulcis in fundo una collaborazione tra questi due attori dal vigore rinnovato.

L’Unione Europea e il Canada hanno infatti avviato una nuova, inedita fase di cooperazione, sia in ambito economico (per aggirare le sanzioni statunitensi) che in ambito militare (nelle operazioni di sostegno all’Ucraina).

L’intesa tra i due attori è cresciuta al punto che un sondaggio realizzato da Abacus Data poche settimane fa suggeriva che la maggior parte dei canadesi intervistati fosse favorevole all’ingresso del proprio Paese nell’Unione Europea.

Effettivamente, può darsi che abbiamo sottovalutato il potere della diplomazia di Donald Trump. Forse, però, non nella maniera in cui sperava.  

Mark Carney sTrumpalata marzo 2025.
Mark Carney (Sean Kilpatrick/The Canadian Press via AP).

Troppo mondo per un’America sola

Provare a basarsi sulle mosse della seconda amministrazione Trump per interpretare il futuro è, come abbiamo già detto, una strategia meno affidabile del meteo: imprevedibile, sorprendente e instabile. Si tratta, tuttavia, di un fattore troppo rilevante per gli equilibri globali per essere tenuto fuori dall’equazione. E questo vale per tutti gli scenari più più critici: dal Medio Oriente all’Indo-Pacifico, fino alla vecchia Europa.

Ciò che rimane altrettanto fondamentale, tuttavia, è il resto di questa equazione: il livello di iniziativa e le potenzialità degli attori regionali, i loro obiettivi e, inevitabilmente, la loro reazione alle politiche aggressive e alla post-verità di Donald Trump. È questa la chiave che definirà il futuro degli equilibri mondiali.

Ed è anche di questo che parleremo con Emilio Mola, nel discutere il suo libro Dentro il Grande Gioco, martedì 18 marzo, ore 18:00, alla Libreria Coop Ambasciatori di Bologna.

Perché ogni quadrante chiave del pianeta è costituito da culture, equilibri politici e contesti sociali completamente diversi tra loro. E non comprendere questo concetto costituisce uno degli elementi più gravi della miopia dell’America First di Donald Trump.

L’Europa ha l’occasione di tornare grande. L’America, invece, deve capire che forse, in un mondo profondamente cambiato, tornare “di nuovo” grande – almeno nei termini espressi dal Tycoon e dal suo vice JD Vance – potrebbe non essere più una strada percorribile.

Dentro il Grande Gioco Emilio Mola Bologna

Matteo Minafra

(In copertina, immagine del Fatto Quotidiano)


Make Europe Great – La sTrumpalata di marzo 2025 è il nuovo articolo di Matteo Minafra della rubrica sTrumpalate.

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