
Lo scorso 12 febbraio la Commissione Europea ha emesso una procedura d’infrazione contro l’Italia a causa dell’abuso di contratti a tempo determinato per i docenti delle scuole di ogni ordine e grado. In seguito al provvedimento, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha ora due mesi di tempo per riallinearsi alla normativa europea.
In Italia la tremenda piaga dei docenti precari sembra non avere mai una fine. Negli ultimi 10 anni il numero dei professionisti della scuola con contratto a tempo determinato è cresciuto vertiginosamente. L’Unione Europea ha finalmente deciso di alzare la voce e di puntare il dito contro il nostro Paese.
Non è più accettabile proseguire su questa strada; è ora di stabilizzare una volta per tutte i centinaia di migliaia di lavoratori che, nonostante anni di sacrifici, non riescono ancora ad avere riconosciuta una stabilità economica e sociale.
L’Italia richiamata dall’UE
La Commissione Europea ha deciso di avviare una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia, facendo leva sul fatto che gli insegnanti con contratti a tempo determinato siano vittima di condizioni discriminatorie. Il problema sta nel fatto che chi ha un contratto a termine in Italia non ha diritto agli scatti stipendiali basati sull’anzianità del servizio prestato, a differenza, naturalmente, di coloro che hanno un contratto a tempo indeterminato. Questo fatto quindi è un’inevitabile fonte di divario tra supplenti e docenti di ruolo.
La Commissione ha denunciato la violazione della direttiva 1999/70 del Consiglio Europeo, emanata con l’obiettivo di
dare attuazione all’accordo quadro sui contratti a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999 tra le organizzazioni generali interprofessionali.
Secondo l’UE l’Italia sta violando la clausola 4 della direttiva, relativa al principio di non discriminazione sul luogo di lavoro, che, nel primo punto, sancisce che i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato ad esclusione di motivi validi. Nel caso dei docenti precari quindi non sussiste nessuna motivazione in grado di giustificare tale disparità di trattamento.
Il Governo deve agire in fretta dal momento che, in mancanza di un’adeguata e motivata risposta, tra due mesi potrebbero scattare delle pesanti sanzioni. Il rischio più probabile è che la questione possa passare tra le mani della Corte di Giustizia Europea, fatto che potrebbe portare a spiacevoli ripercussioni per l’Italia.

Docenti precari in costante aumento
Seguendo i dati forniti dal MIM attualmente, nel nostro Paese, ci sono più di 230.000 docenti precari su un totale di circa 930.000 insegnati in servizio. In termini percentuali siamo praticamente a un docente precario su quattro. Andando indietro all’anno scolastico 2015-2016 si nota che l’esercito dei precari è letteralmente raddoppiato in dieci anni.
I concorsi PNRR 1 (svolto lo scorso anno) e PNRR 2 (in corso di svolgimento) dovrebbero, almeno in linea teorica, garantire un numero maggiore di assunzioni ma non basta. Sommando i posti messi a bando nella prima edizione del concorso PNRR e quelli inseriti quest’anno si arriva a circa 60.000 unità, cifra molto lontana dal reale fabbisogno di docenti.
In tutta Italia le scuole continuano ad avvalersi di supplenti per coprire tutti i posti vacanti non assicurando continuità didattica agli studenti. A causa di questa continua rotazione di docenti precari si assiste spesso a situazioni in cui, anche più volte all’anno, la stessa cattedra è ricoperta da più di un insegnante.
La scuola italiana rischia seriamente di soccombere di fronte a tale emorragia di docenti. La qualità della didattica è la prima a risentire pesantemente di tutto ciò. Per non parlare della figura del docente che, di fronte a questo panorama desolante, risulta degradata e poco attraente da un punto di vista professionale.
Gli insegnanti sono sempre più anziani
I dati relativi all’età media degli inseganti sono ulteriormente allarmanti. Nell’ultimo periodo, dei poco più di 700.000 docenti di ruolo in servizio, solo 29.000 hanno meno di 34 anni mentre sono oltre 300.000 quelli con più di 54 anni.
Stando ai dati dell’OCSE in Italia il 60% dei docenti di scuola superiore hanno più di 50 anni; la media europea invece si attesta intorno ad un 40% di docenti over 50. Inoltre, più di un terzo dei docenti precari, ha più di 44 anni; l’età media infatti per essere assunti di ruolo si attesta tra i 40 e i 50 anni.
Questo sistema è evidentemente insostenibile ed è necessaria un’inversione di rotta. Risulta inammissibile che gran parte dei giovani che vogliono avvicinarsi alla professione di docente debbano andare incontro ad una media di 10/15 anni di precariato, per altro privi dei diritti spettanti ai docenti di ruolo. Se non si inverte velocemente la rotta questa tendenza non farà altro che salire e le nostre aule saranno sempre più spesso occupate da docenti stanchi, demotivati e troppo anziani per poter dare il meglio di sé.
Una soluzione sarebbe quella di agire sugli stipendi in modo tale da rendere più attrattiva l’attività di docenza e da garantire un’adeguamento del salario ai ritmi dell’inflazione. Purtroppo però tutte le azioni promosse dal Governo in tema aumenti salariali arrivano sempre fuori tempo limite.
Negli ultimi giorni, infatti, è circolata la notizia secondo cui l’ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) ha convocato i sindacati il prossimo 27 febbraio per discutere del rinnovo del Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) del comparto Istruzione e Ricerca per il triennio 2022-24. Peccato che la trattativa inizierà a contratto scaduto.
Il mondo della scuola in fermento
Sicuramente l’anno scolastico in corso è uno dei più movimentati degli ultimi anni. Tra i concorsi PNRR, le assunzioni in ruolo ad anno iniziato, l’epopea dei percorsi abilitanti e quant’altro non resta che godersi lo spettacolo. Il terribile spettro di possibili sanzioni comminate dalla Commissione UE non può far altro che inasprire una situazione già molto delicata.
Tuttavia emerge un fatto forse ancora più desolante.
Poche settimane fa, infatti, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha firmato ben due decreti con cui il Governo ha stanziato 750 milioni di euro da dedicare alle scuole paritarie nell’anno scolastico in corso, segnando un aumento di 50 milioni rispetto allo scorso anno.
Questa è solo l’ultima delle ormai tante stangate subite dalla scuola pubblica a vantaggio delle istituzioni private. Perché sì, è vero che gli istituti paritari sono ufficialmente riconosciuti dallo Stato e garantiscono, in molti casi, l’inclusione di alunni che nella scuola pubblica farebbero fatica a tirare avanti per vari motivi.

Ma si tratta pur sempre di scuole gestite da privati per le quali si paga una retta. Dunque dare così tanti fondi a dei potenziali “diplomifici“, come lo stesso Valditara ha più di una volta affermato riferendosi agli istituti scolastici privati, è alquanto contraddittorio.
Diego Bottoni
(In copertina le proteste al Liceo Machiavelli-Capponi di Firenze; foto: La Nazione)