CronacaCultura

Fratelli (e sorelle) d’Italia – L’Inno italiano è davvero poco inclusivo? 

Inno Mameli Italia

In questi giorni, tra una notizia del Festival di Sanremo e una di cronaca, si inserisce un acceso dibattito sull’Inno d’Italia circa la sua non inclusività nei confronti della comunità queer. Vorrei premettere che sostengo il linguaggio inclusivo e credo sia una delle chiavi per aprire le porte del cambiamento sociale; tuttavia, questa tematica rimane aperta e con un grande punto di domanda, a cui non riesce a dare una risposta né chi ritiene l’Inno sacro e intoccabile, né chi vorrebbe sentirsi partecipe di questo coro.


Il dibattito è partito dalla cantante Francesca Siano, in arte Francamente, un’artista che ha partecipato all’ultima edizione di X-Factor 2024 e che è stata invitata a cantare l’Inno all’apertura della finale di Coppa Italia di volley femminile. La cantante ha dichiarato, in un primo momento, di aver pensato di cambiare il testo dell’Inno, ma di essere poi stata frenata dal reato di vilipendio.

Ha quindi scelto di vestire “determinati colori” per far emergere l’esistenza di persone escluse dal testo, aggiungendo che “le persone queer esistono, le persone transessuali esistono, le persone non binarie esistono, e tutte queste persone non sono cittadini, cittadine, cittadinu di serie B, ma hanno pari doveri e soprattutto diritti di ogni italiano o italiana”, comprendendo nel suo discorso anche le persone nere o di altre origini. 

Prima di riflettere sull’inclusività (o non) dell’Inno di Mameli, potrebbe rivelarsi interessante conoscere la storia dietro questo urlo patriottico, così da poterne parlare con più consapevolezza e magari vederlo in un’altra ottica. 

Foto 2, Francamente
Francesca Siano, in arte Francamente. Foto: Zerouno Tv Music.

Chi è Goffredo Mameli… 

Per parlare di come nasce l’Inno d’Italia è necessario partire proprio da chi l’ha scritto, Goffredo Mameli, nato a Genova nel 1827 da una famiglia aristocratica. La personalità di Mameli era notevole: amava la letteratura, la musica e si dilettava nella scrittura. 

Immaginatevi di avere vent’anni, possedere già una forte passione e trovarne un’altra ancora più potente: Mameli era un ragazzo giovanissimo e in Italia prosperavano le idee risorgimentali di Mazzini. Così, il giovane abbandonò gli studi alla Facoltà di Lettere per inseguire la politica, in un gesto che a me piace pensare, in modo un po’ romanzato, sia stato una di quelle scelte che si compiono con il cuore in mano e pieni di coraggio. 

Foto tre, Mameli Inno d'Italia
Goffredo Mameli, opera di Domenico Induno, 1849 ca. (Foto da Wikimedia).

… e come mai scrive l’inno italiano, Il Canto degli Italiani? 

L’Inno d’Italia ha come titolo Il Canto degli Italiani e venne composto in un momento unico della Storia: era l’anno 1847 e l’Italia era frammentata, con l’Impero austriaco nel nord, lo Stato Pontificio al centro e i Borboni nel sud con il Regno delle due Sicilie nel raggio del proprio potere.

In un momento di differenze, di divisioni, Mameli aveva l’obiettivo di riunire ed è straordinario pensare a quanta voglia di unione ci fosse tra zone, culture e tradizioni che ancora oggi si diversificano e rimangono molto variegate

Mameli morirà poco tempo dopo, nel 1849, a causa di una ferita negli scontri tra l’esercito di Garibaldi e i francesi, ma prima di morire si premurò di chiedere al musicista Michele Novaro di comporre una melodia che potesse accompagnare le parole da lui composte. 

Ma quando si utilizzò l’inno? 

L’inno si utilizzò quasi fin da subito, ma gli austriaci lo vietarono e i Savoia lo frenarono; infatti, non bisogna dimenticare che Mameli aveva idee repubblicane che fecero passare in secondo piano l’Inno, oscurato dalla Marcia Reale scelta proprio dalla famiglia regnante. 

Ma le parole di Mameli non rimasero taciute a lungo: con la Canzone del Piave divennero un motto per i giovani in guerra, in seguito rimesse in secondo piano dal fascismo, fin quando nel 1946 divennero l’Inno provvisorio della neo Repubblica italiana. Lo status di incertezza rimase tuttavia fino al 2017, anno in cui il Canto degli Italiani divenne ufficialmente l’Inno italiano

Ritornando al presente 

Penso sia complicato entrare nei meriti delle comunità che hanno sempre faticato ad essere riconosciute e per questo sostengo sia necessario individuarle, nominarle, includerle, ma da studiosa di letteratura so che è stato difficile nel corso dei secoli rendere giustizia a tutte le persone. 

Credo fermamente che ogni evento necessiti contestualizzazione e questo è proprio l’obiettivo delle riflessioni qui presenti: mostrare che l’Inno di Mameli è nato come qualcosa di inclusivo e comprovare che l’intento profondo dell’autore fosse unire e non dividere, anche se non nominava esplicitamente donne, persone non binarie e tutti i membri della comunità queer. 

Contestualizzare significa comprendere che un inno dell’Ottocento non può riflettere l’inclusività che consideriamo fondamentale oggi, né nei confronti delle persone non binarie né esplicitamente verso le donne: infatti, la sensibilità sociale si è evoluta notevolmente, soprattutto negli ultimi decenni. Quindi non è possibile giudicare certi prodotti culturali, letterari o politici con gli stessi criteri di oggi, ma bisogna comprenderli in relazione al contesto storico e culturale di nascita. 

Ritengo che sia bene studiare gli intenti nel corso della Storia e non solo la loro esecuzione, sebbene mi piaccia pensare che, se componessero oggi l’Inno, includerebbero i fratelli, le sorelle e tutte le persone d’Italia.

Gaia Sacchetti 

(In copertina foto di Mauricio Artieda da Unsplash)


Per approfondire il tema del linguaggio inclusivo, guarda la presentazione del libro Grammamanti di Vera Gheno, a cura di Vittoria Ronchi e Davide Lamandini; sulle proposte per il linguaggio inclusivo, leggi Schwasimanti VS Riluttanti, a cura di Beatrice Russo.

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