
Un tentato golpe, due procedure di impeachment e persino un attentato. Ma oggi, il presidente degli Stati Uniti d’America è ancora una volta lui: Donald Trump. Seguiamo la sua nuova presidenza tra ordini esecutivi surreali, dichiarazioni esplosive e colpi di scena degni di un reality show. Perché capire Trump significa capire il presente – o almeno provarci, una sTrumpalata alla volta.

Una politica da serie Netflix
Sei stata tu a volerlo, America, hai votato per me. Siete confusi? Siete spaventati? perché ciò che pensavate di volere ora è qui. E voi siete lì a fissarmi, a bocca aperta, sconcertati, mentre vi chiedete se è davvero quello che chiedevate. Questa democrazia, la vostra democrazia, ha eletto me.
Potente, vero? È un estratto della serie House of Cards, precisamente il momento in cui Frank Underwood, dopo aver manipolato in maniera illegale il risultato delle elezioni, diventa presidente degli USA.

In uno dei numerosi istanti della serie in cui viene infranta la quarta parete, un immenso Kevin Spacey si beffa del pubblico e, più nello specifico, del popolo americano. Il caso ha voluto che il sottoscritto sia arrivato al suddetto episodio proprio il 20 gennaio scorso, poche ore prima che un altro presidente – uno vero – giurasse al Campidoglio. Dopo queste parole Spacey continua:
Se credete che sia stata dura arrivare qui state capendo cosa sono disposto a fare per restarci.
Il mondo ha già appurato cosa sia disposto a fare Donald Trump per rimanere al potere… tutto il mondo, tranne lo stesso presidente Trump e i suoi supporter, la cui fede nella propria versione dei fatti è tanto incrollabile che neppure centinaia di pagine di documenti, analisi, inchieste e anni di lavoro – raccolti recentemente in una pubblicazione del Department of Justice – sono riusciti a scalfirla.
America first, take two
Donald Trump ha dunque giurato come quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti, in una cerimonia singolare per molte ragioni: dallo svolgimento al chiuso per le temperature gelide registrate a Washington DC (non accadeva dai tempi di Ronald Reagan), alla simbolica disposizione degli ospiti, con i giganti del big tech davanti a tutti, ma proprio tutti – persino davanti ai politici.
E, fatto ancora più incredibile, un presidente uscente sconfitto che applaude il proprio successore e, prima della cerimonia, lo invita a prendere un tè alla Casa Bianca (quando invece il protocollo avrebbe chiaramente previsto di tentare una rivolta armata e provare a instaurare la legge marziale).
Insomma, un’inaugurazione fuori dall’ordinario per un’amministrazione fuori dall’ordinario. Bisogna ammettere che le prime settimane della nuova presidenza Trump hanno già riservato parecchie sorprese. Così tante da dover scegliere quali riportare e perché.
Nella sTrumpalata di oggi sorvoleremo le storie più discusse e già affrontate dai media (le pretese territoriali avanzate nei confronti dei Paesi vicini), che hanno già ricevuto una copertura adeguata. Dedichiamoci invece ai provvedimenti e agli aspetti meno chiacchierati, che rischiano di avere effetti anche superiori, sia dentro che fuori questi confusi USA.
Dazi, minacce e tanta confusione
Partiamo da dove ci eravamo lasciati, in un Campidoglio gremito di ospiti, politici, tecnocrati, avversari e aspiranti alleati. Dopo il suo giuramento e un discorso discutibile (in tutti i sensi del termine), il presidente Trump si è subito recato alla Casa Bianca, ansioso di firmare un numero impressionante di ordini esecutivi.
L’obiettivo? Non perdere nemmeno un istante nello smantellamento di un’America che, con tutte le sue contraddizioni e difficoltà, stava comunque provando a rafforzare politiche multipolari. Trump ha dunque bruscamente riorientato il Paese verso una postura protezionista, aggressiva, populista e improntata al dogma dell’America First, già centrale nella sua prima amministrazione.

Le prove di questi termini oggettivamente molto forti si trovano nel contenuto degli stessi documenti che il Presidente non vedeva l’ora di firmare.
La politica della nuova amministrazione Trump è protezionista dal momento che ha vagliato l’imposizione di dazi nei confronti di molti Paesi, rivali e alleati senza distinzione, per (a suo dire) proteggere l’economia e la produttività statunitense.
È una politica aggressiva, se si considera che molte di queste misure violano apertamente le regole dettate dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), di cui gli Stati Uniti sono membri fondatori, e se ci si rende conto che la loro applicazione è finalizzata apertamente ad ottenere vantaggi economici e politici da altri Stati sovrani tramite coercizione e, molto banalmente, ricatto.
Ed è soprattutto populista nella misura in cui questi temi, così complessi e dalle ricadute così pesanti, vengono presentati al grande pubblico in maniera semplice e molto spesso fuorviante.

Prendiamo ad esempio le ultime misure riguardanti i dazi o, come ama chiamarle il presidente Trump, tariffs:
Per me ‘tariff ’ è la parola più bella nel dizionario. Per questo sono stato rimproverato dalle fake news […]. Le tariffs ci renderanno ricchi, è come riporteremo gli affari nel nostro Paese.
L’Unione Europea ci ha trattato così terribilmente…
Perché (non) mettere in atto queste tariffs
Queste dichiarazioni, rilasciate durante eventi pubblici e comizi, hanno fatto da preludio alla guerra commerciale su più fronti che il Tycoon si prepara a scatenare. In questo caso, però, la questione fondamentale non è tanto la legittimità di queste misure, quanto la loro presentazione come un ‘pedaggio’ che le merci straniere dovrebbero pagare per entrare negli Stati Uniti, il cui ricavato arricchirebbe i contribuenti e rilancerebbe l’economia nazionale.
Ma questa strategia, oltre che estremamente semplicistica, è pure sbagliata, e ha solo contribuito ad alimentare la confusione su un tema che gli americani evidentemente conoscono già poco.
Un sondaggio realizzato da Ipsos lo scorso dicembre evidenzia come solo il 45% degli Americani abbia idea di come funzionino le tariffs.

Cogliamo quindi l’occasione per fare un po’ di chiarezza, soprattutto per chi – anche in Europa – plaude alle iniziative di Trump senza sapere di cosa si stia realmente parlando.
I dazi imposti da Trump su Canada, Messico e Cina (i principali partner commerciali degli USA) sono una tassa sull’import che grava sull’importatore. Chi sarebbe l’importatore? Le aziende americane. Aziende che inevitabilmente si ritrovano a dover rispondere a questo ulteriore costo scaricando la tassa sui consumatori. In parole povere, prezzi più alti per gli americani.

Il quadro diventa ancora più complesso quando la natura politica di queste misure viene a galla: la temporanea sospensione dei dazi verso Canada e Messico, ad esempio, è stata concessa dopo accordi bilaterali pretesi da Trump su questioni come il contrasto all’immigrazione clandestina e al flusso di fentanyl verso gli USA.
Se queste sono le misure prese nei confronti dei Paesi geograficamente e storicamente più vicini agli USA (come ha ricordato il primo ministro canadese Justin Trudeau), desta curiosità quale sarà invece l’approccio con altri Stati e, in generale, alla politica estera.
“Tutti i Patrioti del Presidente”
Una politica estera sicuramente incentrata sul bilateralismo, le cui ripercussioni si stanno già facendo sentire su un’America inserita in scenari globali fondamentali, come quello umanitario e quello sanitario: l’amministrazione Trump si è subito mossa in tal senso ratificando, rispettivamente, lo smantellamento dell’agenzia USAID (su cui ritorneremo più avanti) e l’uscita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il Presidente ha firmato quest’ultimo ordine esecutivo, molto coerentemente, subito dopo aver annunciato la reinstallazione sulla scrivania dell’ufficio ovale del “diet-coke button”; è infatti documentato come il commander in chief consumi dodici diet-coke ogni giorno.

Il ritiro dall’OMS ha immediatamente scatenato il plauso dei fan del Tycoon in giro per il mondo: il presidente argentino Milei ha già annunciato il ritiro del suo Paese (che in ogni caso partecipava alle spese dell’organizzazione in maniera irrisoria), ed anche il nostro ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini ha raccolto con entusiasmo questa linea, presentando una proposta in Parlamento per uscire dall’OMS.
L’idea di Salvini
L’obiettivo? Seguire la linea di Trump, che parla di un esborso eccessivo ed inutile (il contributo statunitense consisteva in un miliardo di dollari, a fronte di un PIL che si aggira intorno ai ventisettemila miliardi di dollari; per quanto riguarda l’Italia le cifre sarebbero, rispettivamente, cento milioni per duemila miliardi di PIL), e recuperare la tanto agognata ‘sovranità nazionale’…
Peccato che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti dimentichi che l’uscita dall’Organizzazione comporterebbe la perdita dell’accesso a dati sanitari globali, alla sorveglianza delle malattie e soprattutto alle risorse condivise per sviluppare vaccini e terapie: come accaduto durante la pandemia di Covid-19, quando solo lo sforzo congiunto di ricercatori provenienti da più Paesi ha reso possibile la realizzazione di un vaccino efficace in tempo record.

Il Ministro Salvini è poi corso in Spagna, più precisamente a Madrid, in compagnia di Santiago Abascal, Geert Wilders, Marine Le Pen, Viktor Orbán, insomma tutto il gotha dei sovranisti europei, quei difensori dei popoli del Vecchio Continente sempre pronti a denunciare — giustamente — le influenze dei magnati senza scrupoli.
Gli stessi ‘Patrioti per l’Europa‘ che sono corsi al richiamo di Elon Musk, il plurimiliardario che li ha raccolti sotto uno slogan che scimmiotta quello dell’attuale presidente americano.
Una grande, anzi, una MEGA lezione di patriottismo e indipendenza che farà scuola in tutto il mondo.
Sotto la Muskera, tra tagli e rinvii a giudizio
Sull’operato di Elon Musk è il caso di dedicarsi con maggiore attenzione: il principale sponsor della campagna presidenziale di Donald Trump sembrava infatti essersi silenziosamente eclissato, tanto che qualcuno già ha ipotizzato pesanti screzi tra i due uomini più potenti d’America.
Nulla di più lontano dalla verità: in queste prime settimane Musk ha infatti lavorato su più fronti, da un lato, come già detto, chiamando a raccolta i sovranisti delle destre d’Europa lanciando il movimento Make Europe Great Again, dall’altro attraverso il ‘suo’ nuovo Department Of Government Efficiency, fin da subito entrato in forte contrasto con il sistema giudiziario.
Un giudice federale statunitense ha infatti, tramite un’ordinanza d’urgenza, bloccato l’accesso DOGE di Musk ai documenti del Dipartimento del Tesoro, che contengono dati sensibili e informazioni riservate di natura finanziaria su milioni di utenti. Sul caso si è espresso l’ufficio del procuratore generale di New York Letitia James, che ha presentato la causa:
Questo team, che non è stato eletto, guidato dall’uomo più ricco del mondo, non è autorizzato ad avere queste informazioni e ha esplicitamente cercato di accedere, senza alcuna autorizzazione, per bloccare illegalmente i pagamenti su cui milioni di americani fanno affidamento, come quelli per assistenza sanitaria, assistenza all’infanzia e altri programmi essenziali.
Letitia James
Un’altra azione temporaneamente bloccata dagli organi giudiziari è lo smantellamento di USAID, l’agenzia governativa che si occupa di fornire aiuti umanitari e assistenza per lo sviluppo in decine di Paesi in tutto il mondo.
Smantellamento che farebbe parte del piano di tagli fondi progettato da Musk e fortemente voluto dal presidente Trump, ma che all’atto pratico, oltre a ritirare gli USA da molteplici piani di sviluppo, ha gettato nel caos migliaia di operatori messi da un giorno all’altro in congedo forzato, e che, se il progetto di chiusura dell’agenzia venisse portato avanti, vedrebbero le proprie vite, ormai radicate da anni nei Paesi in cui svolgono la loro professione, abbandonate alla più totale insicurezza.

Ciò che volete veramente, o ciò che siete disposti ad accettare
Insomma, non sono mancate sorprese, perfino da parte di un’amministrazione che prometteva di essere esplosiva fin dal principio. Il tutto, tra l’altro, cercando di non soffermarsi troppo sugli avvenimenti più mainstream delle ultime settimane, sebbene alcuni abbiano avuto un peso politico estremamente rilevante.
Ma non è con le tensioni con la Danimarca, o con i tentativi di dialogo con la Russia che vogliamo concludere, né con le disgustose dichiarazioni sulla Striscia di Gaza in compagnia di Benjamin Netanyahu, o con le proposte di deportazione della popolazione palestinese.
C’è un elemento che accomuna praticamente ogni azione, dichiarazione e progetto portato avanti da Trump nelle ultime settimane, ed è quello che deve destare maggior preoccupazione: l’accettazione. L’accettazione dell’idea che tutte le regole possano essere infrante, se in ballo c’è il proprio benessere. Ma credetemi, sono diverse le cose che il mondo non si può proprio permettere di accettare.
Non si può accettare che il suddetto Premier israeliano, in visita ufficiale alla Casa Bianca, regali al presidente Trump un cercapersone d’oro, richiamando l’operazione del Mossad in Libano dello scorso settembre in cui furono ferite più di tremilacinquecento persone e quarantadue (tra cui dei bambini) furono uccise.
Non si può accettare che il leader della più grande democrazia del mondo occidentale ricorra a veri e propri atti di bullismo economico e politico per imporre condizioni vantaggiose per sé, stracciando trattati internazionali che lui stesso aveva siglato.
E non si può accettare che a dettare la strada per un’Europa più grande sia una personalità che con l’Europa, la sua cultura e la sua storia non ha nulla a che fare.
Quando si è bombardati da tanti eventi così destabilizzanti, il più grande pericolo che si possa correre è l’assuefazione, la convinzione che accettare tutte queste situazioni sia normale e forse persino necessario.
La scelta è nostra
Ciò che bisogna tenere a mente è che il fenomeno della democrazia liberale è più giovane e fragile di quanto si possa credere. Sta ai cittadini, e per loro estensione alle istituzioni, salvaguardare quanto diamo troppo spesso per scontato. Oppure ci si può piegare e si possono accogliere dei cambiamenti, spalancando le porte al bilateralismo aggressivo, a interminabili guerre commerciali, a MAGA, MEGA e via dicendo.
La scelta è soltanto nostra, per adesso.
Matteo Minafra
(In copertina, Trump sorseggia una Coca Cola, AFP/Getty Images via Eater)
“Ciò che pensavate di volere” – la sTrumpalata di febbraio 2025 è il nuovo articolo di Matteo Minafra della rubrica sTrumpalate.