CronacaPolitica

Al-Masri, pasticcio all’italiana – Il caso del generale libico 


Scarcerato e rimpatriato su un volo di Stato, il generale libico Al-Masri – accusato di crimini contro l’umanità – diventa il fulcro di uno scontro politico e giudiziario. Le opposizioni attaccano il governo, mentre la Corte penale internazionale chiede spiegazioni. Il caso riaccende il dibattito sul ruolo dell’Italia nei centri di detenzione libici.


Tra politica internazionale e interna

Il 18 gennaio scorso è stato arrestato a Torino il generale della polizia libica Njeem Osama Al-Masri, che si trovava in Italia per assistere alla partita di campionato Juventus-Milan.

L’arresto è avvenuto a seguito del mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale emesso il 15 febbraio 2011 per crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nella prigione di Mitiga, nei pressi di Tripoli. Dopo solo due notti passate al carcere delle Vallette, però, Al-Masri viene rimpatriato in tutta fretta con un volo di Stato verso Tripoli.

Il fatto, com’è logico, ha scatenato un caso politico sia in Italia che a livello internazionale, come dimostra il titolo fin troppo eloquente di un articolo del New York TimesGiorgia Meloni investigated for Italy’s release of libyan war crimes suspect. Le opposizioni hanno chiesto una spiegazione in Aula che ad oggi non è ancora stata data, sostituita invece da un video di Meloni sui social . 

Il video di Meloni mostra la nuova tendenza dei politici di comunicare solo attraverso video preconfezionati sui social per evitare possibili contraddittori o domande scomode da parte di giornalisti ha creato il pericoloso precedente per cui è lecito non riferire in Parlamento ma è sufficiente registrare un videomessaggio per il proprio elettorato.

La reazione delle opposizioni

A complicare le cose, l’avvocato Luigi Li Gotti ha inviato un esposto di denuncia alla premier Meloni, ai ministri Piantedosi e Nordio e al sottosegretario di Stato Mantovano. Meloni ha trattato questo esposto come fosse un avviso di garanzia, nel video postato sul suo account X, gettando ancor più benzina sul fuoco. Le accuse per la Premier e i Ministri sono di favoreggiamento e peculato per il rimpatrio di Al-Masri.

Meloni e Nordio
Premier Meloni e ministro Nordio. Foto: La Stampa.

Il 30 gennaio, le opposizioni hanno paralizzato i lavori di Camera e Senato fino a martedì 4 febbraio, protestando per la mancata informativa in Aula. L’attrito tra Governo e magistratura è un tema che l’Italia si trascina da decenni e, di recente, ha riguardato la gestione dei centri di permanenza per i rimpatri in Albania.

Anche la riforma della magistratura voluta dal governo Meloni ha causato forti polemiche, al punto che molti magistrati, durante l’inaugurazione a Napoli del nuovo anno giudiziario, hanno deciso di abbandonare l’aula per protesta. Ma il caso Al-Masri sembra essere riuscito ad acuire una tensione già da tempo altissima, che ha raggiunto in questi ultimi giorni un’intensità allarmante.

Caso Al-Masri
La protesta delle toghe. Foto: ilSole24ore.

lager libici 

Il generale Al-Masri è capo della polizia giudiziaria libica che opera a Tripoli dalla caduta di Gheddafi, avvenuta nel 2011. Da allora, ha ricoperto ruoli apicali nella gestione delle prigioni libiche, tra cui la famigerata prigione di Mitiga, al centro di diverse denunce per torture, stupri e violenze da parte delle milizie libiche. In ragione di questi crimini, alcuni dei quali ha commesso in prima persona, Al-Masri è stato condannato all’ergastolo dalla Corte penale internazionale.

Le prigioni libiche sono strutture detentive che, per le condizioni in cui si trovano, sarebbe più corretto chiamare lager, come testimoniano i molti giovani migranti che vi sono passati.

“È inimmaginabile l’inferno vissuto nei campi di detenzione dei migranti” ha detto nel 2020 Papa Francesco, in occasione del settimo anniversario della sua visita a Lampedusa; ha poi aggiunto: “sento le loro grida. Lì ci sono dei veri lager”. 

Foto: Unigre.

Dal 2017 ad oggi, almeno 100mila migranti sarebbero stati intercettati dalla guardia costiera libica e riportati nelle carceri libiche, veri e propri luoghi teatro di torture inumane.

La nostra parte di responsabilità

Ma cosa c’entra l’Italia in tutto questo? Molti di questi centri sono stati finanziati con fondi italiani ed europei, e negli anni il nostro Paese ha siglato diversi accordi con la Libia per fermare i migranti prima che attraversassero il Mediterraneo. 

Dalla caduta di Gheddafi, nell’ottobre 2011, ad oggi, in Italia si sono succeduti otto governi di ogni orientamento politico, ciascuno con strategie profondamente diverse. Eppure, il fil rouge che li accomuna sembra essere proprio il rapporto con le milizie e le forze militari della Libia post-Gheddafi.

Nel 2017, il Ministro dell’Interno Marco Minniti(PD) firmò un memorandum d’intesa con la Libia, poi rinnovato nel 2022 per altri cinque anni, che sanciva la collaborazione tra l’Italia e la guardia costiera libica con l’obiettivo ufficiale di contrastare il traffico di migranti e la rete degli scafisti.

Caso Al-Masri
Foto: Oxfamitalia.

In concreto, l’Italia fornisce fondi, mezzi e addestramento, mentre i libici si occupano del controllo dei flussi migratori. Tuttavia, il memorandum ha di fatto contribuito all’arresto e alla detenzione dei migranti in condizioni disumane. La stessa Unione Europea, tra il 2014 e il 2020, ha destinato oltre mezzo miliardo di euro alle milizie di Tripoli, mentre l’Italia ha fornito motovedette e navi alla guardia costiera libica.

Il cavillo giudiziario

La spiegazione ufficiale della Corte d’appello di Roma sulla frettolosa scarcerazione di Al-Masri parla di un presunto cavillo giudiziario. Per i giudici non è stata rispettata la corretta procedura per l’arresto del generale: secondo la legge, i mandati internazionali possono essere eseguiti dietro decisione del Ministero di Giustizia, ma in questo caso il Ministro è stato informato del fatto solo dopo il fermo.

L’esposto di cui Meloni ha parlato come di un avviso di garanzia è in verità un atto dovuto da parte della procura quando riceve una denuncia nei confronti di un Ministro. La procura, dunque, trasmette la denuncia al Tribunale dei Ministri, senza procedere con le indagini.

Secondo le opposizioni, la scarcerazione di Al-Masri, e il suo rientro in Libia con un volo militare italiano, si spiegherebbe proprio nell’ottica del potere ricattatorio che la Libia ha verso l’Italia grazie alla regolazione dei flussi migratori. Anche la Corte penale internazionale non si è accontentata della motivazione ufficiale fornita dal Governo, e ha chiesto ulteriori spiegazioni all’Italia.

Una promessa disattesa

Resta da chiarire come sia stato possibile, per Al-Masri, viaggiare liberamente in Europa per due settimane prima di essere arrestato in Italia. Fare luce su questa vicenda è imprescindibile. Ciò detto, la responsabilità di questo esecutivo nel rimpatriare un soggetto accusato di crimini così efferati, e con un ruolo di potere ai massimi vertici, resta, a mio avviso, inaccettabile.

Le responsabilità dei due ministri invece sono legate alla corretta gestione delle procedure legali per il Ministro della Giustizia, in particolare per quanto riguarda le tempistiche delle decisioni prese, e alla strategia diplomatica e politica adottata dal Ministro degli Interni al momento del rilascio.

Il potere ricattatorio della Libia di cui abbiamo parlato in precedenza risiede nella sua capacità di modulare la frequenza e l’intensità degli sbarchi di migranti sulle coste italiane.

A tal proposito il giornalista Bruno Vespa, durante la puntata di Cinque Minuti del 30 gennaio, ha rilasciato una dichiarazione molto discussa: “In ogni Stato si fanno cose sporchissime, anche trattando con i torturatori, per la sicurezza nazionale”, giustificando così il rilascio di Al-Masri in nome della ‘ragione di Stato’.

Ma fino a che punto la Realpolitik può prevalere sul diritto internazionale? La ragion di Stato può forse legittimare l’impunità per i crimini più atroci?

Foto: Ansa.

Meloni prometteva di inseguire gli scafisti per tutto il “globo terracqueo”, ma, nel momento in cui si è trovata a decidere il destino di un generale libico al vertice di un sistema basato su abusi e detenzioni illegali, ha scelto di rimpatriarlo su un volo di Stato.

Un atto che non può che suscitare indignazione.

Alessandro Donati

(In copertina immagine di Today)

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