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Supercoppa a Riyadh: le ambizioni del calcio arabo e i casi precedenti 


Anche quest’anno Riyadh ha ospitato la Supercoppa Italiana: l’evento è ormai diventato un appuntamento di grande prestigio per il calcio arabo, che punta a espandersi nel prossimo decennio. Non è la prima volta che Paesi al di fuori del Vecchio Continente investono in questo sport, Cina e Usa in particolare, ma non sempre con il successo sperato. Il progetto saudita, però, appare promettente.


Si è da poco conclusa la 37esima edizione della Supercoppa Italiana, la quinta in terra araba, che ha visto laurearsi campione il Milan, dopo una mirabolante finale contro i cugini interisti terminata 3-2. 

Nonostante il grande spettacolo offerto dalle contendenti, la decisione di disputare il torneo in Medio Oriente ha suscitato dibattiti e polemiche: stadi semivuoti e l’obbligo di giocare la competizione in pieno inverno, con conseguente posticipo di partite di Serie A, fanno discutere. A questo punto è legittimo chiedersi: perché giocare in Arabia Saudita

Calcio arabo
Il Milan vince la Supercoppa a Riyadh (Foto: TuttoPalermo).

Quindi… perché giocare in Arabia Saudita? 

Il rapporto con il mondo arabo è iniziato nel 2018: la Lega Serie A, in cerca di nuove fonti di investimento e con la volontà di espandersi in nuovi mercati, ha individuato l’Arabia Saudita come ‘Terra promessa’.

Calcio arabo
Luigi De Siervo (Foto: Corriere).

La ragione pare essere dunque puramente economica: Riyadh ha investito 21 milioni di euro nel giugno 2018 per ottenere tre edizioni della Supercoppa italiana (la terza giocata solo nel 2023 causa pandemia) e in seguito un rinnovo del valore di 100 milioni di euro per altre quattro annate

Questo accordo è piaciuto a tutti nel calcio italiano. L’ attuale A.D. della Lega Calcio, Luigi De Siervo, si è così espresso a riguardo:  

Noi abbiamo disputato qui la prima finale nel gennaio 2019 e siamo stati i primi a scegliere questo Paese quando l’Arabia non era ancora come adesso […]. Abbiamo colto prima degli altri l’occasione di lavorare su un mondo che è in via d’espansione.

Calcio arabo: un mondo in via d’espansione

Il calcio italiano non è l’unico ad aver messo mano sui soldi arabi: anche la Liga spagnola ha scelto il ‘Paese dell’oro nero’ come location per la Supercoppa nazionale. Gli iberici hanno varcato i confini nazionali solo dal 2020, ma sono stati i primi a introdurre il nuovo format a quattro squadre (intrapreso per la competizione italiana solo nel 2023).  

Cosa ne guadagna l’Arabia? Visibilità. La volontà è chiara: diventare uno dei Paesi più importanti al mondo nell’ambiente calcistico. Questo obiettivo è parte di un programma strategico chiamato Saudi Vision 2030, un progetto “trasformativo e ambizioso per sbloccare il potenziale del suo popolo e creare una nazione diversificata, innovativa e leader a livello mondiale”. Significa promuovere una maggiore varietà nell’economia nazionale, riducendo il dominio del petrolio e incentivando la crescita di settori chiave come sanità, istruzione, turismo e intrattenimento.

La Saudi Pro League, il massimo torneo saudita, è stata la protagonista delle ultime finestre di mercato. Tutto è iniziato nel gennaio 2023 con il trasferimento all’Al-Nassr di Cristiano Ronaldo, seguito in estate da altri campioni: NeymarBenzema, Mahrez, Kanté, Firmino e Koulibaly. 

Nel calcio arabo ci sono tutti i presupposti per il successo: soldi, l’assegnazione del Mondiale 2034 e un campionato pieno di stelle. Eppure, si fa fatica a decollare

Calcio arabo
Cristiano Ronaldo all’Al-Nassr (Foto: Threads).

Cosa manca al calcio arabo? 

L’ottenimento di una competizione internazionale come il Mondiale sembrava la ‘ciliegina sulla torta’ per il boom del calcio arabo e invece qualcosa non funziona

Il livello medio delle squadre è ancora basso; la presenza di grandi campioni ostacola la crescita di calciatori arabi; i settori giovanili sono inesistenti; la competenza e conoscenza calcistica degli sceicchi è esigue e le infrastrutture sportive invece sono di ottima qualità, ma numericamente limitate

Infine, il flop più importante riguarda l’audience: le partite sono poco seguite oltre i confini nazionali e l’interesse generale per questo campionato è minimo

Spesso anche i calciatori stessi ammettono che le cause del loro trasferimento in Arabia non sono professionali: Ruben Neves, centrocampista dell’Al Hilal, ha confessato che “naturalmente i soldi sono stati una delle ragioni, è inutile nasconderlo”; per Karim Benzema la motivazione è riconducibile alla religione: “È anche un Paese musulmano […]. Dentro e fuori dal campo mi sento bene. Questo è quello che sento”. 

Pare dunque che appassionati e calciatori considerino l’Arabia Saudita una meta per giocatori a fine carriera, una sorta di destinazione di lusso per una ‘pensione d’oro’, nulla che abbia a che fare con il vero calcio.

Terra promessa… ma non per i diritti

Tutti questi contratti faraonici hanno spaventato i tifosi, i principali fautori del calcio romantico: un mondo fatto di sogni, il cui ideale è l’amore per la maglia e non il denaro, che ad oggi appare come un’utopia.  

Non sono però solo i soldi a preoccupare i fan. In particolare, il trasferimento del centrocampista del Liverpool, Jordan Henderson, ha fatto discutere. Il calciatore, a lungo capitano dei Reds, era diventato una bandiera della comunità arcobaleno e si era esposto spesso a difesa dei diritti LGBTQ+. Il suo approdo in terra araba è stato considerato un vero e proprio tradimento. D’altronde, è risaputo che in Arabia i diritti delle minoranze non vengano rispettati.

Calcio arabo
Berlusconi e Gheddafi (Foto: Il Giornale).

Aspre critiche, per lo stesso motivo, ci sono state in occasione dell’assegnazione del Mondiale 2034 e nell’ultima edizione giocata in Qatar. Discorso simile è riconducibile alla scelta della Serie A di giocare la Supercoppa del 2002 a Tripoli, in Libia, per esigenze commerciali e per l’amicizia tra Gheddafi e Berlusconi.

Non è dunque la prima volta che il mondo del calcio è disposto a sacrificare i giusti valori di fronte agli interessi economici

Nel calcio arabo domina il Dio Denaro 

Il denaro che si possiede è strumento di libertà; quello che si insegue è strumento di schiavitù

Jean-Jacques Rousseau, Le confessioni, prefazione di Olindo Guerrini, Sonzogno, Milano, s.d.

Dunque, è l’intero panorama calcistico che si piega al ‘Dio denaro’. Così come la Supercoppa italiana, anche quella spagnola (per non parlare di quella francese) ormai da anni predilige mete orientali. La Serie A, però, non si è sottomessa solo ai soldi arabi. In passato, infatti, è capitato spesso di giocare questo trofeo altrove

Nell’agosto del ’93 il Milan alzò la coppa, mentre dieci anni dopo dovette arrendersi alla Juventus in terra statunitense. Oltre al già citato evento in Libia nel 2002, la competizione si svolse ben quattro volte in Cina tra il 2009 e il 2015 e, infine, in Qatar nell’edizione del 2014 e del 2016. 

Le ragioni? Sempre le stesse: la ricerca di nuovi mercati per il calcio italiano, con conseguenti scelte ricadute ogni volta su Paesi con forti investimenti sul sistema calcistico nazionale. Finora però, i risultati sono stati deludenti

La trappola del denaro è che può comprare qualsiasi sensazione, ma mai un sentimento autentico

Joël Dicker, Il caso Alaska Sanders, La Nave di Teseo, 2022 (trad. Milena Zemira Ciccimarra)

I fantasmi del passato: il calcio cinese

L’Arabia non è il primo Paese che prova ad investire nel calcio: in passato anche la Cina ha percorso la medesima strada, con l’obiettivo di diventare una potenza asiatica entro il 2030, e addirittura un leader globale entro il 2050. 

L’evoluzione del calcio cinese inizia nel 2011. Il Guangzhou Evergrande, squadra di Canton appena ‘salita’ dalla Serie B, opera sul mercato in maniera considerevole e vince la Super League da neopromossa. Questo successo genera una rivoluzione.

Negli anni successivi lo Guangzhou continua ad investire: nel 2012 arriva sulla panchina Marcello Lippi, la mente dell’Italia vincitrice del Mondiale, che convince gli azzurri Diamanti e Gilardino a raggiungerlo nel 2014. Grazie a questi importanti acquisti lo Guangzhou trionfa ben otto volte in nove stagioni

Calcio cinese
Marcello Lippi festeggia lo scudetto con il Guangzhou (Foto: BleacherReport).

Anche gli altri club intraprendono la via del denaro per contrastare lo strapotere della squadra di Canton: nel 2012 lo Shanghai Shenhua acquista Anelka e Drogba, che avevano scritto la storia recente del Chelsea vincendo la Champions League, mentre il Dalian Aerbin compra Seydou Keita, calciatore maliano ex Barcellona.

L’ascesa fulminante del 2015

La vera rivoluzione, però, inizia nel 2015. Si trasferiscono nella ‘terra del dragone’ importanti stelle del panorama europeo: RobinhoLavezzi, Paulinho, Gervinho e Jackson Martinez. L’anno successivo la Chinese Super League diventa la lega più attiva sul calciomercato – spendendo circa 400 milioni di euro – assicurandosi le prestazioni di Oscar, Hulk, Tevez e Pellé, il protagonista italiano degli Europei del 2016.  

Calcio cinese
Xi Jinping (Foto: Eastwest)-

Come abbiamo già visto per il calcio arabo, il movimento sportivo si lega sempre a interessi più grandi di se stesso. Il cambiamento, infatti, non inizia nel 2015 per caso: in quell’anno, il Presidente Xi Jinping si dice particolarmente interessato al futbol e annuncia di voler trasformare la Nazionale in una delle migliori al mondo.

Inizia una vera e propria propaganda: vengono diffuse immagini del Presidente che calcia dei palloni e si discute dei “tre sogni della Coppa del Mondo”: ritornarci il prima possibile, ospitarne una e vincerla entro i successivi trent’anni. Persino Nike pubblica uno spot pubblicitario che mostra il soccer cinese del futuro

Le somiglianze con il calcio arabo sembrano davvero tante, anche se questo processo di propaganda ricorda più un personaggio italiano del secolo scorso.   

Il fallimento cinese

Se il sogno di un futuro prosperoso era iniziato grazie a Xi Jinping, è anche a causa sua se è terminato.  

Il calcio cinese, dopo tre anni di spese folli, non stava raggiungendo gli obiettivi sperati: la Nazionale aveva mancato la qualificazione ai Mondiali del 2018 e il campionato non stava crescendo a livello mediatico. Inoltre, i grandi investimenti degli imprenditori si concentravano sempre più su squadre europee – Steven Zhang (gruppo Suning) acquista l’Inter, Li Yonghong punta sul Milan – che sulle locali. 

Così, nel tentativo di promuovere i talenti locali, il Presidente Xi Jinping inserì importanti tasse sull’acquisto di giocatori all’estero e tetti agli stipendi. Questa mossa finì per distruggere il calcio cinese: i club non avevano abbastanza denaro per pagare le superstar europee, che pian piano fuggirono dal Paese, e di conseguenza il campionato perse d’interesse

La pandemia, poi, ha finito per peggiorare una situazione già disastrosa: almeno dieci squadre sono fallite, tra cui il Guangzhou Evergrande – la squadra più titolata del campionato – e altre sono in una gravissima posizione finanziaria. In definitiva, è evidente che il progetto cinese sia naufragato.  

Il sogno americano

Abbiamo sofferto con loro e per loro, abbiamo cantato le loro canzoni, abbiamo visto e amato i loro film, abbiamo mangiato i loro panini e indossato i loro jeans, li abbiamo visti volare a canestro e raggiungere la luna. Ma il calcio è un’altra cosa; nel calcio, vogliamo comandare noi. Dallo stadio Fritz Walter di Kaiserslautern, Italia-Stati Uniti!

Fabio Caressa, 17/06/2006.

Questa memorabile introduzione di Fabio Caressa sintetizza la visione che gli europei hanno storicamente avuto del movimento calcistico americano, ritenuto sempre inferiore al proprio. 

Eppure, il soccer negli Usa non è nato recentemente, anzi più di un secolo fa, e sono stati tanti i campioni che hanno calcato i campi americani: Pelé, Beckenbauer, Best e Cruijff. La svolta principale è avvenuta solo nel 1994, con i Mondiali in casa, e la creazione del campionato nazionale, la Major League Soccer. Tuttavia, non bastava. Dopo il naturale entusiasmo dei primissimi tempi, la scelta di ‘americanizzare’ anche il calcio, con tempo effettivo e shootout (rigori in movimento da circa 30 metri, in un 1vs1 contro il portiere, con soli cinque secondi a disposizione), non aveva portato il successo sperato.  

Punto di svolta

Probabilmente la riuscita del progetto americano si racchiude in due parole chiave: pazienza e costanza. Nessun acquisto folle, anzi: anche qui, come in Cina dal 2018, era previsto il salary cap, e assieme alla costruzione di stadi di proprietà per aumentare i guadagni si può dire che sia stato una mossa azzeccata.

L’evento spartiacque avviene nel 2007: nasce la regola del Designated Player o anche Regola Beckham. Infatti, proprio per permettere a David Beckham di aggregarsi ai Los Angeles Galaxy, le squadre hanno votato positivamente alla proposta di ingaggiare massimo tre giocatori con cifre superiori al tetto salariale. Inutile dire come la decisione abbia aumentato l’appeal del campionato.

Beckham
Beckham alla presentazione con i Los Angeles Galaxy (Foto: SouthCoastToday).

Un futuro radioso

Oggi l’intero movimento calcistico statunitense è in continua crescita. La Nazionale è ormai diventata un punto saldo nelle competizioni internazionali; tanti calciatori americani militano nelle migliori squadre europee – PulisicMcKennie e Weah i più importanti in Serie A – e grandi campioni partecipano alla MLS.  

Già poco dopo l’apripista Beckham, anche HenryKakà e David Villa hanno alimentato il successo ‘stelle e strisce’, fino al boom definitivo con i trasferimenti di Lampard, GerrardDrogbaIbrahimovic e Rooney tra il 2015 e il 2018.

Messi
Lionel Messi con l’Inter Miami (Foto: Insajderi).

Molti azzurri hanno scelto il sogno americano: i primi sono stati Di Vaio e Nesta nel 2012, seguiti da Cudicini l’anno successivo e da Pirlo, Giovinco e Nocerino tra il 2015 e il 2016; infine InsigneChiellini e Bernardeschi dopo la vittoria dell’Europeo. La punta di diamante del campionato è Lionel Messi, aggregatosi all’Inter Miami nel 2023. 

Se l’assegnazione del Mondiale 1994 ha costretto gli Usa a ricostruire da zero il proprio sistema calcistico, quella del 2026, in collaborazione con Messico e Canada, segna un riconoscimento e un’ulteriore conferma dell’evoluzione di questo movimento. 

Il successo americano dimostra che ciò che conta non è tanto la quantità di denaro investito in un progetto, quanto il modo in cui viene impiegato, e il calcio arabo deve scegliere quale strada intraprendere. 

Mattia Pallotta

(In copertina foto da Spazio Milan)


Supercoppa a Riyadh: le ambizioni del calcio arabo e i casi precedenti  è un articolo di Mattia PallottaClicca qui per altri articoli dell’autore!

Sull'autore

Sono uno studente di Comunicazione a Bologna, classe 2003, orgogliosamente fuorisede. Vengo da Castel di Sangro, un paesino di montagna in Abruzzo. La mia passione? Sport, sport e.... SPORT
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