
Il giornalismo internazionale espone i professionisti a numerosi pericoli, soprattutto se in contesti di guerra. Dalle minacce fisiche alle pressioni psicologiche, fino ad arresti arbitrari e soppressione delle informazioni in uscita. Cosa può fare la diplomazia al riguardo?
La guerra contro i giornalisti
L’informazione al giorno d’oggi viaggia con velocità di Paese in Paese, ed è strettamente connessa alla guerra, che spesso influenza la diffusione e la qualità delle notizie. Nel 2024, il numero di giornalisti uccisi ha raggiunto numeri allarmanti: secondo Reporter Sans Frontières il numero di morti arriva a 54 giornalisti e 550 collaboratori dei media.
La metà di questi omicidi avviene in zone di guerra come a Gaza, che da sola ha rappresentato circa un terzo delle vittime. La pericolosità della Striscia di Gaza supera addirittura i numeri del Messico, che invece riporta 37 morti di giornalisti all’anno. Nell’ultimo anno in Ucraina, invece, si contano 32 morti tra giornalisti internazionali e locali.
Oltre alle minacce fisiche in prima linea e psicologiche nelle prigioni, i giornalisti devono confrontarsi con l’avvento dell’AI e delle fake news, che tendono a diffondersi velocemente e inasprire sempre di più il conflitto, come nel caso di Hamas e Israele. La massa ha sempre più difficoltà a distinguere tra propaganda e informazione, e questo porta a vistose conseguenze sul piano politico.
Oggi è più che mai cruciale tutelare l’incolumità dei giornalisti: da loro dipende la possibilità di riportare notizie verificate e imparziali anche in tempo di guerra, e di fare informazione raccontando le storie sul campo. Ma come si può raggiungere un simile obiettivo? La risposta sta nel rafforzamento della diplomazia e dei contatti internazionali.
I processi diplomatici e il Caso Cecilia Sala
Cecilia Sala è una giornalista che tratta di tematiche internazionali a stretto contatto con le persone tramite il suo podcast Stories. La storia di questa giornalista italiana liberata l’11 gennaio scorso è la prova che riportare la verità può avere gravi conseguenze.

Cecilia Sala viene arrestata il 19 dicembre 2024, con l’accusa di aver violato delle leggi sulla privacy dello Stato iraniano. Cecilia, infatti, si trovava in Iran per raccogliere testimonianze per il suo podcast, i cui ultimi tre episodi prima del suo arresto trattano, rispettivamente, della nuova legge su hijab e castità (episodio 683), della crisi degli alleati iraniani e della Resistenza contro Israele (episodio 684), e infine dell’ostilità dell’Iran verso le app di Meta (episodio 685). Dopo l’arresto di Sala, il podcast rimarrà ‘in silenzio’ fino al 30 dicembre, quando una nuova voce presenta un nuovo format: il suo nome è Aspettando Cecilia.
I processi diplomatici tramite cui un Paese si mobilita per liberare i propri giornalisti, come nel caso Sala, possono essere diversi: le ambasciate e i consolati si assicurano che i diritti dei prigionieri vengano rispettati e forniscono assistenza consolare, mentre a livello internazionale il Parlamento Europeo sottolinea l’importanza della protezione delle informazioni e degli informatori e promuove politiche di dialogo nei Paesi interessati da conflitti.
Gli Stati hanno l’obbligo di salvaguardare i diritti fondamentali associati al giornalismo e alla libertà dei media, quali il diritto alla libertà di espressione e di opinione.
Parlamento Europeo, Relazione sulla protezione dei giornalisti nel mondo e la politica dell’Unione Europea
Per quanto riguarda il caso Sala, come se non bastasse, il fermo della giornalista era collegato all’arresto e alla successiva detenzione in Italia di Mohammad Abedini Najafabadi, su cui pende un mandato d’arresto internazionale degli USA per trasporto di tecnologie sensibili.
Generalmente, la diplomazia internazionale cerca di prevenire situazioni simili attraverso protocolli di sicurezza e diffondendo informazioni sui possibili rischi, insieme alla collaborazione con organizzazioni internazionali come l’OSCE per garantire standard comuni nella sicurezza dei giornalisti.
I giornalisti sono oppositori politici?
Cecilia Sala è stata detenuta nel carcere di Eviv a Teheran, tristemente conosciuto per le torture e per essere un centro di detenzione per gli oppositori politici. Ma perché i giornalisti esteri vengono considerati, una volta imprigionati, oppositori politici?
Per lo stesso motivo per cui il giornalismo viene definito anche ‘quarto potere’: esso è capace di influenzare l’informazione di massa, tanto da determinare i futuri di molti Paesi democratici e minacciare l’esistenza di altrettanti Paesi autoritari.

Per questo motivo, nei regimi, il controllo dell’informazione è necessario per mantenere il potere. In Paesi come Eritrea, Corea del Nord e Turkmenistan, i media sono strettamente controllati dal governo; i giornalisti rischiano di essere incarcerati per aver pubblicato notizie non in linea con la propaganda del regime, o possono essere accusati di sedizione e diffusione di false informazioni.
In ogni parte del mondo, giornalisti vengono arrestati arbitrariamente, imprigionati, torturati e sottoposti a ulteriori violazioni dei diritti umani. Vengono incarcerati o persino uccisi per aver rivolto domande che mettono in imbarazzo chi è al potere, o per aver assunto una posizione che non coincide con quella ufficiale.
Anna Neistat, Alta direttrice per la ricerca di Amnesty International.
Arrestare giornalisti serve anche come deterrente per i professionisti dell’informazione, creando un clima di paura che porta inevitabilmente all’autocensura e alla violazione della libertà di espressione.
La necessità di una tutela globale
I giornalisti che operano in contesti di conflitto non sono solo narratori, ma veri e propri custodi della verità, capaci di raccontare ciò che spesso viene nascosto. Tuttavia, il loro lavoro rimane una professione ad alto rischio, soprattutto in un’epoca in cui la disinformazione e i regimi autoritari cercano di manipolare o sopprimere la realtà.
La diplomazia e le organizzazioni internazionali giocano un ruolo cruciale nel proteggere chi, con coraggio, sceglie di informare il mondo. Per questo, è necessario che la comunità globale unisca le forze per garantire il rispetto dei diritti fondamentali e promuovere meccanismi di protezione efficaci, non solo per i giornalisti, ma per la libertà di stampa in generale.
Perché, come ricordano le parole di Anna Neistat, continuare a fare domande scomode non è solo un diritto, ma anche un dovere verso la società.
Ludovica Maria Accardi
(In copertina foto da Ansa via Virgilio Notizie)
Non è solo Cecilia Sala – La guerra dei regimi (e non solo) ai giornalisti è un articolo di Ludovica Maria Accardi. Clicca qui per altri articoli dell’autrice!