
Il 5 novembre 2024 si sono tenute le 60° elezioni presidenziali della storia degli Stati Uniti d’America. Dopo la vittoria di Donald Trump, il mondo si interroga sulle conseguenze che il suo mandato avrà sull’ambiente.
Con chi abbiamo a che fare?
La rielezione di Donald Trump alla presidenza americana ha suscitato una grande preoccupazione riguardo al futuro del nostro pianeta: gli Stati Uniti sono la maggiore economia del mondo e il secondo Stato (preceduto solo dalla Cina) che rilascia nell’atmosfera più anidride carbonica.
Quello che è certo è che con il tycoon tornerà sicuramente anche il negazionismo climatico alla Casa Bianca: una convinzione già confermata nel 2020, durante il suo primo mandato.
La politica trumpiana, infatti, favorisce l’industria dei combustibili fossili e rallenta la transizione energetica verso fonti rinnovabili, privilegiando così uno sviluppo economico che ignora completamente la questione della salvaguardia ambientale.

Il rapporto con gli Accordi di Parigi
Una delle prime conseguenze del ritorno di Trump alla Casa Bianca è l’uscita definitiva degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, una decisione già presa durante la sua amministrazione precedente, annullata poi da Joe Biden e riconfermata da Trump nel primo giorno del suo secondo mandato.
Tale accordo è un patto internazionale stipulato tra gli Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) il 12 dicembre 2015, che mira a rafforzare l’impegno mondiale nel contrasto al riscaldamento globale. Il trattato, firmato da 194 nazioni, mira a contenere l’aumento della temperatura media globale sotto i 2°C, con un traguardo fissato a 1,5°C, e di contenere le emissioni dell’UE di almeno il 55% entro il 2030.
La decisione di uscire dall’Accordo di Parigi era stata presa da Trump nel 2017, perché riteneva che questo avrebbe comportato costi troppo elevati per l’industria americana e un conseguente vantaggio per altre nazioni, come la Cina e l’India.
Questi aspetti sono stati trattati durante la Cop 29 che si è tenuta a Baku dall’11 al 22 novembre 2024 (con “Cop” si intende letteralmente “Conference of the Parties”, la conferenza che si tiene annualmente in diverse parti del mondo per discutere della questione del cambiamento climatico, a cui partecipano i 198 rappresentanti dei governi coinvolti).
Durante la conferenza sono emerse diverse lacune rispetto all’impegno assunto con l’Accordo di Parigi: la temperatura media globale dell’aria in superficie, infatti, è stata di 1,54°C nel periodo gennaio-settembre del 2024.
Alla ricerca dell’oro liquido
Durante il suo primo mandato, Trump ha posto molta enfasi sullo sfruttamento delle risorse fossili tra cui il petrolio, attraverso politiche che incoraggiavano la trivellazione e la successiva estrazione. L’obiettivo di Trump era garantire l’indipendenza energetica degli Stati Uniti, seguendo il tanto amato principio di “America First”.
Ciò ha comportato un tentativo di ampliamento delle aree destinate all’estrazione di petrolio e gas, incluse quelle protette (come l’Arctic National Wildlife Refuge, una grande riserva naturale situata in Alaska).
Per facilitare queste attività sono state ridotte, se non eliminate, molte restrizioni: i limiti sulle emissioni di metano sono diminuiti, molte normative che proteggevano l’acqua e la fauna selvatica sono state ridimensionate.
Già nel 2019 Tump ha abolito il Clean Water Act, una legge sull’acqua potabile che elimina dalle aree protette le zone fluviali effimere, dando così la possibilità di inquinare i corsi d’acqua non permanenti creati per l’industria o per gli allevamenti. Insomma, pare proprio che il famoso slogan Trumpiano “Drill baby, drill!” (“Trivella baby, trivella!”) sia diventato un perfetto sinonimo che esemplifica la sua (inesistente) politica ambientale.

A rischio l’Inflation Reduction Act: ma di cosa si tratta?
Nel 2022 è stata approvata una legge federale degli Stati Uniti per tentare di affrontare problemi come l’inflazione e il debito pubblico, l’inquinamento e il riscaldamento globale. Secondo Trump, le 700 pagine del nuovo documento, l’Inflation Reduction Act, non rappresentano altro che una nuova truffa verde, che lui ha intenzione di demolire.
L’eliminazione totale della legge è improbabile; tuttavia, alcune parti (soprattutto quelle riguardanti le innovazioni ambientali) sono sicuramente destinate alla cancellazione: i fondi per un’energia verde non sembrano rientrare negli interessi del presidente, allettato invece da nuove esplorazioni petrolifere.
SOS: Terra chiama Trump
Il secondo mandato di Trump rappresenta una sfida significativa per la lotta mondiale contro il cambiamento climatico. Le sue convinzioni contro l’inesistenza del riscaldamento globale minacciano di rallentare i progressi fatti negli ultimi anni.
La politica ambientale di Trump è sempre stata caratterizzata dalla predilezione per i combustibili fossili e dall’eliminazione di leggi e regolamenti riguardo le normative ambientali; tuttavia il panorama globale è assai cambiato e la consapevolezza della problematica sembra essere cresciuta, ed è quindi necessaria una revisione di questo approccio.
Gli Stati Uniti sono i principali emettitori di gas e dunque non hanno più la possibilità di ignorare gli impegni presi con l’Accordo di Parigi. La Cop 29 ha evidenziato l’inadeguatezza dei progressi globali e mostrarsi disinteressati al problema potrebbe comportare un isolamento internazionale, perché il mondo si sta muovendo verso un’economia verde, basata sulle energie rinnovabili.
Durante la conferenza è stata inoltre sottolineata l’importanza del rafforzamento dell’impegno globale, che non può più essere trascurato.
La politica di Trump rappresenta un intralcio significativo per risolvere il grande problema del riscaldamento globale, ma non deve essere visto come un ostacolo insuperabile. L’esito delle elezioni non può e non deve definire inevitabilmente il destino del pianeta che, ora più che mai, ha bisogno del nostro aiuto.
Carlotta Bertinelli
(In copertina, immagine da WUNC)