
Nominata tra le 100 donne più influenti del 2024 dalla BBC, Gisèle Pelicot ha inaugurato una rivoluzione culturale di cui avevamo bisogno. Il suo coraggio è già passato alla storia, assieme alla sua determinazione nel farsi forza per aiutare a sua volta tutte le donne vittime di abusi.
È il 2 novembre 2020 quando Dominique Pelicot viene fermato da un agente per essere stato sorpreso a fotografare sotto le gonne di tre donne. Dopo aver esaminato attentamente il suo hard disk, le Forze dell’ordine risalgono ad una chat room su COCO, una piattaforma che permette di chattare online con gente sconosciuta.
“A son insu”, ovvero ‘a sua insaputa’: così si intitola lo scambio di messaggi con cui Monsieur Pelicot recluta uomini per abusare di sua moglie priva di sensi. È lui stesso che si occupa di stordirla, inserendo del Tavor (un forte ansiolitico), nel gelato al lampone che le prepara ogni sera prima di andare a letto. Un gesto apparentemente affettuoso, per cui Madame Pelicot si riteneva grata di avere un uomo così premuroso al suo fianco.
Sono le stesse forze dell’ordine a rendere partecipe Gisèle Pelicot del calvario che si consuma sulla sua pelle ogni notte, da ben dieci anni.
Dal 23 ottobre 2011 al novembre 2020, la donna è stata infatti drogata, spogliata e stuprata da ben 51 uomini diversi.
Ed il suo carnefice principale risulta essere proprio colui con cui ha condiviso un matrimonio di cinquant’anni: Monsieur Pelicot ha filmato le scene degli abusi e le ha collezionate su una cartella del suo pc, che conta circa 20.000 elementi tra video e foto.

Il processo
Il processo in cui Dominique Pelicot è stato condannato a 20 anni di carcere per aver drogato e stuprato sua moglie si è concluso il 14 dicembre 2024, circa tre mesi dopo il suo inizio. Madame Pelicot ha assistito a tutte le sentenze e ascoltato tutto ciò che suo marito aveva da dire, impassibile.
È stato un processo che ha riscontrato un significativo successo mediatico, soprattutto grazie alla scelta di Gisèle di renderlo pubblico. La vittima ha infatti preferito accantonare l’opzione dell’anonimato, messa a disposizione dalla giurisprudenza francese nei casi di violenza sessuale. La sua è stata una coraggiosa battaglia a volto scoperto, nella quale ha dovuto affrontare tutti i suoi aggressori nella stessa stanza e nello stesso momento.
Sono 51 gli uomini condannati durante il processo, sebbene con pene differenti: dai 3 ai 5 anni di prigione. Padri di famiglia, mariti, giornalisti, infermieri e vicini di casa. Uomini dalle vite e passioni diverse, accomunati da una sola cosa: la violenza commessa nei confronti di Gisèle Pelicot. 46 di loro sono stati accusati di violenza aggravata, 2 di tentata violenza, altri 2 di aggressione sessuale. Tutti sulla stessa donna. L’ultimo è stato perfino accusato e punito per aver utilizzato la stessa sottomissione chimica sulla propria moglie, così da violentarla assieme a Dominique Pelicot.
In pochi ammettono la loro colpa. C’è chi sostiene di non essersi accorto dello stato di incoscienza in cui si trovava la signora Gisèle, chi invece ribadisce di essere stato manipolato da Monsieur Pelicot. Solo uno tra i cinquantuno imputati ha ammesso lo stupro:
Sono uno stupratore […]. Lo sono come loro. Tutti conoscevano lo stato di mia moglie prima di venire, sapevano tutto, non possono negare.
Dominique Pelicot
È proprio Dominique Pelicot a confessare apertamente tutti i suoi crimini durante la funzione, rivolgendosi a coloro che continuano a negare le proprie colpe. Sostiene poi di essersi pentito e di vergognarsi delle sue stesse azioni.
Sarà ricordato come un processo che la storia non dimenticherà, senza precedenti. “Quello che mi premeva mostrare è il numero degli imputati presenti in aula: un miscuglio di persone di ogni ceto sociale, uno spaccato della società”. Parla Benoit Peyroue, artista di tribunale anch’egli allibito dal caso.
Diversi sono i volti che vengono ad assistere alla sentenza conclusiva, perlopiù donne. C’è chi ha fatto molta strada per arrivare ad Avignone per sostenere il caso di Gisèle, chi invece tra i pochi uomini presenti, quasi si vergogna di essere lì.
Quanto si può conoscere davvero la persona che si ha a fianco?
Gisèle Pelicot ha sempre elogiato suo marito, descritto come amabile e presente. Un uomo normale dal quale ha avuto tre figli, anch’essi ignari dell’inferno consumatosi in casa. Il loro non era un matrimonio perfetto: entrambi hanno ammesso di avere avuto relazioni extraconiugali.
Ma, nel tempo, i Pelicot si erano giurati di impegnarsi al massimo per far funzionare davvero la loro unione.
Dominique Pelicot è quindi uno dei tipici ‘buoni padri di famiglia’ che nessuno incolperebbe mai, e che anche di fronte all’evidenza dei fatti ci si rifiuta di ritenere capace di commettere un’oscenità simile. Così come gli altri 50 uomini coinvolti.
Lo dimostrano le domande poste alla vittima durante il processo ed i tentativi degli avvocati di far risultare i loro clienti innocenti, anche di fronte all’evidenza dei video proiettati in aula.

E lo dimostra anche il silenzio dei politici francesi, che non hanno condannato affatto la gravità della vicenda. In pochi si sono espressi: il Presidente della Repubblica francese Macron si è complimentato con Madame Pelicot per il suo coraggio, ma niente di più.
Un silenzio definito “assordante” dal popolo francese, che ha inaugurato una serie di manifestazioni e proteste.
Gisèle alla seconda: due eroine femministe messe a confronto
A distanza di 50 anni dal caso di Marzan, è stata un’altra la Gisèle ad aver fatto la storia in Francia per aver rivoluzionato la concezione di violenza sessuale.
Gisèle Halimi, avvocata ed attivista francese che nel 1978 ha sostenuto il tormentato processo di Aix-en-Provence. In quell’occasione, Halimi si trovò a difendere due turiste belghe, violentate brutalmente da tre ragazzi a Marsiglia.

La tenacia con cui Gisèle ha combattuto, tra insulti pesanti e sputi che l’hanno accolta in tribunale, ha portato ad un risultato prezioso. Grazie a Gisèle Halimi, lo stupro è diventato infatti un reato penale, e la concezione di violenza sessuale in tribunale è stata radicalmente trasformata.
Cinquant’anni dopo, è Gisèle Pelicot a varcare la soglia del tribunale di Avignone e a portare in aula la questione del consenso quando c’è una sottomissione indotta chimicamente. Una battaglia eroica per cui la sua omonima sarebbe profondamente orgogliosa.
La battaglia di Caroline contro la sottomissione chimica
Gli stupri di Mazan, dalla cittadina in cui è avvenuta la vicenda, è un caso ai limiti dell’assurdo che si è consumato sulla pelle della vittima e tra le quattro mura della sua camera da letto. Ma del quale lei non ha alcun ricordo. Si chiama ‘sottomissione chimica’, ed è un problema di cui si parla ancora troppo poco in Italia. Letteralmente si tratta della somministrazione a scopo criminale di sostanze psicoattive alla vittima, così da sedarla per commettere un crimine o un reato.
Caroline Darian, figlia nata dal matrimonio Pelicot, ha deciso di trasformare la tragedia vissuta in famiglia nella sua battaglia. Dopo aver dichiarato di aver subito anche lei abusi da parte di suo padre in passato, nel 2022 fonda M’endors pas, un’associazione che ha il fine di informare sulla sottomissione chimica, oltre che fornire sostegno alle vittime di violenza domestica.
Caroline spiega che la sottomissione chimica è diversa dalla tipica droga dello stupro, dato che non si ha qui la presenza di GHB. Le sostanze utilizzate sono infatti farmaci da banco: sedativi, sonniferi, antistaminici ed ansiolitici. Essi riescono a stordire la vittima per qualche ora, senza lasciare sintomi evidenti al suo risveglio.
Gisèle afferma infatti di non aver mai riscontrato problemi allarmanti durante gli anni in cui veniva sedata dal marito. Nulla che l’abbia mai portata a sospettare di lui. Niente di più di qualche giramento di testa e perdita di memoria che hanno portato la settantaduenne a credere di essere affetta da un principio di Alzahimer. Ed è proprio il problema dell’assenza di ricordi vividi dell’aggressione a rendere ancora più difficile la presa di coscienza del proprio status di vittima.
Vogliamo più che mai educare e sensibilizzare il pubblico su questo problema sociale, ma in particolare medici e farmacisti. Queste aggressioni invisibili e altamente sottovalutate in Francia vanno ondannate.
Caroline Darian
Caroline decide inoltre di spezzare ogni filo che la legava ancora a suo padre: dei Pelicot non le resta che il sangue. Caroline Darian, così ha scelto di farsi chiamare d’ora in poi. Un cognome inventato, che fonde insieme i nomi di battesimo dei suoi amati fratelli, David e Florian. Anche Gisèle ha confidato che cambierà cognome non appena chiusa definitivamente tale vicenda, al fine di non avere più nulla a che fare con il suo carnefice.
Nel 2022, la stessa Caroline ha pubblicato anche il libro Et j’ai cessé de t’appeller PAPA, ovvero E ho smesso di chiamarti papà. In esso, l’autrice fornisce la sua testimonianza dal punto di vista forse più sconvolgente, quello di una figlia che vede crollare una figura genitoriale. Parla infatti dello shock provato nello scoprire quello che una persona da lei così amata potesse arrivare a commettere.

La voce coraggiosa di Gisèle Pelicot
Madame Pelicot è già un simbolo: ha cambiato il modo in cui si parla di violenza sessuale. Un urlo di ribellione al sentimento di vergogna che spesso condiziona le vittime nel momento di denunciare.
Una concezione legata ancora al prevalere dell’aspetto sociale dello stupro su quello personale. Gisèle ha deciso di battersi sostenendo: “Sono i carnefici a doversi vergognare, non noi!”
Non sta combattendo solo la sua battaglia, ma quella di chiunque stia affrontando una situazione simile alla sua. … lo conferma l’avvocato della vittima, che denuncia il problema sistematico di fronte al quale ci troviamo. Non si tratta di un caso isolato: “Voleva che fosse la società tutta ad assumersi questa vicenda che non è sua, non è personale. Voleva una presa di coscienza collettiva su quello che non funziona”.
Il fatto che più di cinquanta individui nel raggio di pochi chilometri abbiano acconsentito ad abusare di una donna non cosciente lascia molto a cui pensare. C’è un problema patriarcale alla base, che continua a lasciar credere agli uomini che siano legittimati a passarsi tra loro i corpi delle ‘proprie’ donne. Non c’è nessun rapporto paritario; si tratta di provare piacere nel dominare e nel sentirsi più forti.
Non è che a Mazan l’aria sia infetta. Che circoli un virus che ha trasformato i suoi abitanti in violentatori […]. La cultura dello stupro è il vero tema di oggi.
Blandine Deverlanges (attivista del collettivo femminista di Avignone)
Gisèle Pelicot esce vincente dall’aula di tribunale, ma non sembra comunque abbozzare neanche un sorriso alle telecamere. Il dolore è ancora troppo forte per dimenticare. L’unico elemento che riuscirà ad aiutare Madame Pelicot a guarire è il tempo.
Lo stesso tempo di cui avremo bisogno per modificare davvero le cose. I grandi cambiamenti non avvengono da un giorno all’altro, ma quello compiuto da Gisèle Pelicot è sicuramente un passo fondamentale verso la vera rivoluzione.
Penso innanzitutto ai miei tre figli e allo stesso modo ai miei nipoti. Perché sono il futuro ed è anche per loro che ho combattuto questa battaglia […]. Penso anche a tutte le altre famiglie colpite da questa tragedia e a tutte le vittime non riconosciute, le cui storie rimangono spesso nell’ombra. Voglio che sappiate che condividiamo tutte la stessa battaglia.
Gisèle Pelicot
Elena Menghi
(In copertina, foto di Sarah Meyssonnier/Reuters, da The Telegraph)