
La Francia si trova in una crisi politica e istituzionale senza precedenti: il Presidente della Repubblica Emmanuel Macron ha recentemente fatto mea culpa con un discorso alla nazione in cui ha riconosciuto che la situazione attuale sia stata causata dalla sua scelta di sciogliere l’Assemblea nazionale e indire nuove elezioni parlamentari in seguito ai risultati delle Europee di giugno. La soluzione sembra lontana, e c’è chi pensa addirittura che serva una nuova Costituzione.
Sei mesi ‘all’italiana’
È iniziato tutto la sera del 9 giugno 2024, quando Emmanuel Macron decide di chiamare i francesi alle urne, perché si possano esprimere sul futuro del proprio Paese. Alle elezioni europee, infatti, il partito di estrema destra di Marine le Pen, il Rassemblement National, ha stravinto: il risultato non può essere ignorato e bisogna cercare una “chiarificazione”.
I risultati sono estremamente ambigui: il Rassemblement ottiene un grande risultato, ma perde a causa del barrage elettorale di tutti gli altri partiti. Buona parte del Paese, in quel momento, festeggia vittoria. Poco dopo, però, ci si inizia a rendere conto che, all’interno del Parlamento, nessuna coalizione ha la maggioranza: nessuno è disposto a fare alleanze e compromessi, un dispositivo politico che, seppur così comune in altri Paesi (leggasi: Italia), non fanno parte della cultura politica francese.
All’indomani delle elezioni, l’8 luglio 2024, il primo ministro Gabriel Attal presenta le sue dimissioni, dando luogo al più grande vuoto politico in Francia dalla Seconda guerra mondiale: dopo quasi due mesi dominati dai ‘toto-governo’ di tutti i media francesi, Macron nomina, il 5 settembre, un altro Primo ministro. È stato scelto Michel Barnier, rappresentante dell’area di destra moderata dei repubblicani.

Ultimo atto: da Barnier a Bayrou
Nessuno è contento e il Nouveau Front Populaire, la coalizione di sinistra che detiene il maggior numero di seggi in Parlamento, chiede a gran voce la destituzione del Presidente della Repubblica, colpevole di non aver nominato primo ministro un rappresentante delle loro fila.
Il governo Barnier è quindi destinato sin dall’inizio ad avere una breve durata: sostenuto soltanto dalla destra moderata e dai macronisti, raggiunge un totale di 220 voti, non sufficienti per raggiungere la maggioranza assoluta di 289.
Le previsioni si dimostrano veritiere e, dopo appena 9 giorni, una mozione di censura viene votata congiuntamente dal NFP e dal RN: in Francia, è la seconda volta nella storia della Quinta repubblica che un governo cade per mozione di censura.
Al momento il primo ministro è Francois Bayrou, leader di un piccolo partito di centro. È probabile che anche quest’ultimo governo duri poco, dato che il supporto parlamentare è lo stesso di Barnier.

Alla ricerca della Sesta repubblica
L’instabilità politica che al momento domina la Francia è il sintomo più apparente di un sistema costituzionale che non funziona più: la Quinta repubblica.
Adottata il 4 ottobre del 1958, fu la soluzione che Charles de Gaulle, celebre generale che guidò la Francia libera durante la Seconda guerra mondiale, pose a un altro periodo di crisi che la Francia stava vivendo: un cocktail letale composto dalla guerra d’Algeria e dall’instabilità chiave caratteristica del parlamentarismo della Costituzione allora vigente.
La nuova Costituzione di De Gaulle creò un sistema spesso definito come ‘semipresidenziale’, caratterizzato da un Presidente eletto direttamente e con un grande potere, e un Parlamento perlopiù debole e soggetto al potere dell’esecutivo, nominato dal Presidente della Repubblica. Questo meccanismo ha funzionato a lungo per via della sua forte stabilità; ma ora sembra che il dispositivo si sia rotto.
Secondo un sondaggio del 17 dicembre 2024, il 56% dei francesi è favorevole alla creazione di una Sesta repubblica. L’insoddisfazione colpisce soprattutto il ruolo del Presidente della repubblica, ritenuto troppo potente e slegato dall’approvazione del paese.
‘Effigie’ di questo potere mal sopportabile è l’articolo 49.3 della Costituzione, che permette all’esecutivo di passare delle leggi senza l’approvazione del parlamento, strumento spesso utilizzato dal Presidente della Repubblica tramite il Primo ministro da lui nominato.
Ad oggi, per alcuni Quinta repubblica vuol dire negazione del Parlamento, e quindi della democrazia stessa: il cuore della repubblica francese è sempre stato il Parlamento prima della Costituzione del ‘58, ed è probabilmente questa la svolta che si cercherebbe di trovare in una nuova Sesta repubblica.
Ritratto della Francia d’oggi
La riluttanza dei partiti d’opposizione a creare un governo tecnico è anche legata al fatto che Marine le Pen e Jean-luc Mélenchon, leader del partito di estrema sinistra La France Insoumise, puntano a erodere sempre di più il supporto macronista per spingere Macron alle dimissioni.
La partita che si sta giocando non è più quella di vincere le prossime presidenziali, al momento previste nel 2027, ma di fondare le basi della Sesta repubblica per creare un sistema favorevole al proprio partito. Sinistra ed estrema destra sono sempre stati i grandi esclusi della Quinta repubblica, e vedono ora la possibilità di creare una democrazia che li veda protagonisti attivi invece che eterni esclusi.
Il ritratto della Francia e del suo governo oggi è a dir poco desolante: un Presidente ai minimi storici, una politica dominata dagli interessi personali e il sentimento di dover mettere tutto in discussione. La partita è ancora lunga, e Macron sembra determinato a non mollare il suo posto.
Nel suo recente discorso alla nazione, il Presidente ha accennato alla possibilità di tenere nel 2025 dei referenda sul futuro della Francia. O l’uomo al centro della tempesta riuscirà a tirar fuori il proverbiale asso dalla manica e salvarsi, oppure dovrà accettare di essere stato il responsabile della fine della Quinta repubblica.
Gabriele Cavalleri
(In copertina Emmanuel Macron, per il Governo in Francia, foto di Christophe Petit Tesson/POOL/AFP)