Andrea Pennacchi, lo scorso 19 novembre, ha presentato il suo nuovo libro “Se la rosa non avesse il suo nome” (Marsilio, 2024) presso il LabOratorio San Filippo Neri di Bologna. A margine dell’evento, Chiara Celeste Nardoianni ha avuto l’occasione di intervistarlo.
Andrea Pennacchi tra scrittura, teatro, cinema e televisione
Andrea Pennacchi, classe ’69, è un attore, drammaturgo, regista e scrittore. Dopo la laurea in Lingue e Letterature straniere presso l’Università degli Studi di Padova, ha inizio la sua carriera in ambito teatrale presso il Teatro popolare di ricerca – Centro universitario teatrale di Padova.
È diventato famoso dopo la sua partecipazione al programma televisivo Propaganda Live condotto da Diego Bianchi dove interpreta il suo personaggio più famoso, il Pojana, sul quale ha pubblicato anche un libro Il Pojana e i suoi fratelli (People, 2020).
Il suo primo successo teatrale è nel 2011, con lo spettacolo Eroi che ottiene il Premio Off del Teatro Stabile del Veneto. Contemporaneamente ha iniziato anche a lavorare al cinema e in televisione, partecipando rispettivamente nel cast di Io sono Li, La prima neve (2013), La sedia della felicità. Per quanto riguarda la televisione invece ha lavorato nel cast de L’oriana, sulla figura di Oriana Fallaci, in serie come Non uccidere, Don Matteo e 1994.
Ultimamente ha preso parte al cast di Berlinguer – La grande ambizione (2024), La rosa dell’Istria (2024), Vita da Carlo – Stagione 3 (2024).
Pennacchi si approccia anche al mondo della scrittura. Infatti ha pubblicato La guerra dei Bepi (People, 2020), La storia infinita del Pojanistan (People, 2021), Shakespeare and me (People, 2022) e Eroi (People, 2023). Quest’anno ha pubblicato Se la rosa non avesse il suo nome (Marsilio, 2024).
Chiara Celeste Nardoianni: Il suo interesse per Shakespeare si deduce, oltre che dal suo nuovo libro Se la rosa non avesse il suo nome che presenterà oggi, anche da altre opere che lei ha scritto come Shakespeare and me o dalla riformulazione in dialetto veneto de Le Allegre comari di Windsor. Perché questo interesse per Shakespeare e perché crede che sia importante continuare a leggerlo?
Andrea Pennacchi: Ho imparato facendo teatro che Shakespeare è un classico perché resiste al tempo.
Lui ha indagato la natura umana e l’ha messa in scena, pochi altri sono stati in grado di farlo. Per questo è il padre del teatro contemporaneo: ancora lo studio sulla sua opera non si è esaurito e ne è la prova che si possa prendere, tirare, andargli contro, spezzettarlo.
Moltissimi dei grandi autori della mia generazione non lo mettevano in scena così com’era, lo sbriciolavano, lo scomponevano e funzionava lo stesso; come Marwitz e Stoppard, che ha vinto un Oscar per Shakespeare in love (1998), tutti i grandi scrittori.
Cioè, tutti artisti che vedevano in Shakespeare quello che nella box si chiama sparring partner, cioè qualcuno con cui lottare per accrescere la propria forza, ma anche per imparare qualcosa di nuovo.
La natura umana che racconta Shakespeare ancora non si è esaurita, non siamo ancora abbastanza cambiati come umanità da non avere Shakespeare come punto di riferimento.
In questa epoca caratterizzata dai dibattiti sulla schwa è molto interessante notare come alcuni sostengano che Shakespeare rappresenti il patriarcato, infatti i critici che ritengono che metta in scena degli archetipi immutabili sono considerati sacerdoti del patriarcato.
Però non è vero che il poeta porta degli archetipi, rappresenta esseri umani a cui succedono delle cose. Anche le nuove generazioni, che stanno facendo giustamente sentire la propria voce, si scontrano con il poeta come con uno sparring partner e io sono sicuro che i ragazzi, quelli che veramente hanno voglia di imparare, non quelli a cui interessa solo diventare più forti, riconosceranno in Shakespeare un nobile sparring partner.
C.C.N.: Considerando anche i temi sociali a cui stava alludendo e anche il suo lavoro sempre molto in ottica sociale ed etica, in che modo è presente, se è presente, una denuncia sociale all’interno di questo libro?
Andrea Pennacchi: Allora principalmente è un romanzo di intrattenimento. Ma ci hanno abituato a considerare l’intrattenimento come una forma di cultura bassa, per cui si può ridere o piangere, perché come diceva Brecht esiste l’intrattenimento gastronomico, quello per la pancia, che è contenta anche quando piange.
Per questo a moltissimi artisti che si esprimono su argomenti politici viene detto “ma tu occupati di cantare canzoni o di fare film”. Anche Shakespeare racconta storie sperando che vengano più persone possibili a vederlo, però dentro quelle storie, da maestro qual è, mette tutte le istanze sociali, i movimenti terribili, la paura che aveva il suo stesso pubblico.
Lo fa da un lato per furbizia, perché i contenuti in cui tutto va bene, sono tutti belli funzionano solamente per i drammi di Natale di Netflix, ma lo fa anche perché è molto sensibile verso questi argomenti.
Lui viveva in un periodo di grandissimi sommovimenti, anche questo me lo fa sentire vicino perché anche io vivo in un’epoca simile, tra l’altro, senza neanche la consolazione di poter lottare perché ormai rappresento la generazione che ha sbagliato. Però come romanziere posso raccontare le cose sbagliate che vedo e sono convinto che l’intrattenimento è ancora più potente se non gira la testa dall’altra parte di fronte ai problemi.
Il romanzo ha una cornice storica ben definita, perché io mi sono laureato con una tesi storica. Infatti, è presente uno sguardo sulla povertà, sullo sviluppo della miseria, sul ruolo della donna, sul ruolo del potere, sullo sviluppo capitalistico che ha inizio proprio in quel periodo. Però non ne faccio un sermone, ne faccio uno sfondo in cui ambientare la storia che racconto.
Se poi dopo aver letto il romanzo una persona si rende conto che avevano questi problemi anche allora e va a leggersi un libro di storia, io sono felicissimo perché come spettatore sono molto soddisfatto quando esco da un film, da uno spettacolo e dico porca miseria ne voglio sapere di più di questa roba, che epoca incredibile che è.
Quindi non c’è una denuncia in quanto tale, non c’è la satira come quando faccio il Pojana, perché volevo fare una cosa diversa.
Ho provato anche a mettermi nei panni femminili, io sono stato e tuttora sono in terapia junghiana e sono convinto che ci sia un principio maschile e un principio femminile dentro tutti noi; quindi, ho provato a dare ascolto a tutte le voci che ho dentro.
Il racconto si sviluppa come un’avventura di alcune persone che si trovano di fronte a delle sfide che cercano di superare. Questa è proprio la base del racconto da quando ci si radunava attorno al fuoco a raccontare la caccia.
Leggendo il romanzo si possono notare, anche in toni piuttosto virulenti, le lotte sociali, i problemi, le malattie, insomma tutto ciò che a quell’epoca rendevano la vita un inferno e questo rendeva ancora più prezioso il momento in cui, ad esempio, due giovani si innamorano.
C.C.N.: Invece per quanto riguarda l’ambientazione, il Veneto e in particolare Padova, che ritorna spesso anche come provenienza geografica dei personaggi che lei rappresenta, cosa le interessa rappresentare di questa regione?
Andrea Pennacchi: È presto detto, ho seguito il consiglio di due persone, una che adesso ha grossi problemi perché ha compiuto atti molto spregevoli, Neil Gaiman, che è un grandissimo scrittore, per quanto moralmente discutibile.
L’altra invece è di una persona moralmente non discutibile, che ho conosciuto perché ha il mio stesso cognome, Antonio Pennacchi, che è, anche se è morto, un grandissimo romanziere.
Tutti e due mi hanno detto la stessa cosa, ovvero che quando si comincia a raccontare, bisogna partire da una base solida, da quello che si conosce, ad esempio la terra che conosci, oppure una scuola o una città. Io conosco molto bene la mia città, quindi ho parlato di quella.
Antonio mi ha fatto anche molto ridere perché lui ha scritto un romanzo ambientato nello spazio, però mi ha detto: “Comunque ho parlato di gente che faceva la bonifica, per cui alla fine ho sempre parlato di casa mia, di Latina.”
Quando insegnavo a teatro dicevo sempre che, quando parli di cose che conosci, rendi una cosa familiare anche se apparentemente è distante, perché porti vicino a casa tua un autore che tecnicamente è distantissimo da te nel tempo, invece così lo avvicini.
L’altro motivo è meramente tecnico, poiché tutto il romanzo è incentrato sulla magia, ma la magia rinascimentale era frutto di una sapienza enorme che ha poi generato la scienza come la conosciamo oggi. Quindi non la magia della fattucchiera che al telefono ti legge le carte, anche se narrativamente anche questo è interessante. Per questo avevo bisogno del centro culturale del Veneto, volendolo ambientare in Veneto, che è comunque una serenissima di Venezia, e il centro culturale era l’università di Padova.
C.C.N.: A proposito del genere che ha scelto per questo romanzo, il giallo, il noir, con cui lei non si era mai confrontato, è stato difficile conciliarlo con Shakespeare?
Andrea Pennacchi: Dunque prima io non ero un grande appassionato di gialli, di noir, finché non ho cominciato a recitare nella serie Petra, in cui il noir è il nucleo centrale, come investigatore. Allora mi sono letto tutti i romanzi di Alicia Giménez-Bartlett, e ci ho preso gusto, anche perché nella scrittrice spagnola l’interesse non è rivolto tanto verso chi ha compiuto il crimine, ma verso l’ambiente umano in cui si è sviluppato.
E Petra, la protagonista, scopre il colpevole, perché è una donna estremamente acuta, ma anche perché ha un’umanità molto forte. Dopo aver recitato questo ruolo è stato molto più facile, perché puoi leggere altri bravissimi romanzieri, tra cui Camilleri, che fanno più o meno la stessa cosa. Allora dici, porca miseria, il giallo e il noir sono un modo straordinario per indagare l’umano.
Quando fai l’ultima connessione è fatta, come nell’Edipo, che è comunque un’indagine in cui il protagonista sta cercando un colpevole, e nel miglior plot twist scopre che è lui. Ma non voglio fare spoiler. Quando tutto questo si è chiarito, non è stato difficile.
Intervista a cura di Chiara Celeste Nardoianni, in collaborazione con Davide Lamandini.
In copertina Andrea Pennacchi (Foto: Eco di Bergamo)
L’intervista ad Andrea Pennacchi è stata realizzata in collaborazione con l’Oratorio San Filippo Neri e Mismaonda.