Si parla molto delle problematiche legate ai giovani, provando ad azzardare soluzioni spesso approssimative. Il problema? Si tralasciano le cause profonde. Il filosofo Umberto Galimberti, nel suo libro “L’ospite inquietante” (Feltrinelli, 2007), identifica la radice del malessere giovanile nel nichilismo.
Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al “perché?”. Che cosa significa nichilismo? – che i valori supremi perdono ogni valore.
F. Nietzsche, Frammenti postumi, 1887-1888
Giovani che stanno male
Non sorprendono i dati sull’aumento delle malattie mentali in età giovanile, i suicidi, le droghe e tutti quegli episodi di violenza che ascoltiamo nei notiziari. La normalità è quella di una generazione con un malessere, difficile da comprendere e quindi da aiutare. Queste problematiche non riguardano solo il singolo individuo, ma rappresentano una piaga sociale che va oltre il disagio psicologico.
Le istituzioni, come la famiglia e la scuola, che dovrebbero offrire supporto e sicurezza, appaiono distanti dalle dinamiche giovanili. I tempi sono cambiati: con le tecnologie, Internet, i social media, il mondo si è trasformato, cambiando le regole e i valori a cui eravamo abituati. Sta proprio in questo il primo vero disagio, il più difficile da comprendere, la radice del mostro che è il nichilismo: il cambiamento con conseguente svalutazione di tutti i valori, tanto che viene definito da F. Volpi come una “calotta d’acciaio” dove “non v’è più virtù o morale possibile”.
La perdita di senso
Galimberti definisce questo fenomeno “il disincanto del mondo”, mentre Nietzsche ne parla come della “morte di Dio”. Nell’era della tecnica, la scienza prende il sopravvento: decreta la fine dei valori religiosi e svuota il mondo di significato. Le cose del mondo si ammalano sotto l’occhio scientifico, tutto diventa misurabile e fine a sé stesso: il cielo, la luce, il tempo, il luogo, la vita. Ci troviamo di fronte a un nuovo universo, materiale, corruttibile e caotico.
La defunta religione propone un fine e uno scopo da realizzare e genera fede e speranza; al contrario, la tecnica propone dei risultati da raggiungere utili soltanto ad alimentare sé stessa . L’uomo è nullo, semplice servo di questo sistema. L’umanità soffre e non trova appigli. Il mondo vecchio muore per lasciar spazio all’inquietudine.
Che fine ha fatto il nostro futuro?
Spinoza definiva già il Seicento come l’epoca delle “passioni tristi” dominata da impotenza, disgregazione e perdita di senso.
Nulla è migliorato, anzi con il passare del tempo la tecnica ha iniziato a invadere ogni aspetto del quotidiano. La conseguenza più drammatica di questa condizione è la perdita del futuro.
La religione promette un destino certo: ci sarà un aldilà in cui tutto sarà migliore. Tuttavia, nel nuovo mondo il futuro non è più una promessa, bensì una minaccia perché incerto. Incerto e oscuro, esso non offre prospettive, solo ansie.
Di fronte a questa prospettiva, nei giovani scattano due meccanismi principali. Il primo è cercare gratificazioni immediate. L’assenza di prospettive spinge i giovani a vivere nel presente spesso attraverso eccessi. Diventa più semplice adesso spiegarsi l’abuso di droghe caratteristico di questa generazione, che preferisce assuefarsi per sfuggire all’angoscia. Drogarsi diventa una cura al male di vivere, addirittura un metodo per sfuggire all’apatia nichilista.
Nel secondo caso, invece, i giovani affrontano l’educazione, lo studio e gli impegni in modo utilitaristico, cercando di combattere da soli contro tutti nel tentativo di riuscire a realizzarsi. Nasce così una società paranoica volta alla sopravvivenza che potrebbe essere vinta grazie alla costruzione di rapporti, suggerisce Galimberti. Combattere l’individualismo distruttivo per sentirsi di nuovo parte di qualcosa di più grande.
Ma come possiamo insegnare ai giovani a combattere questo individualismo? Come possiamo aiutarli a sentirsi parte di qualcosa di più grande?
Scuola e famiglia, luoghi aridi di emotività
La scuola gioca un ruolo cruciale nella crescita ed affermazione dell’identità dello studente. Si tratta di una fase della vita delicata, in cui l’adolescente sperimenta il divario drammatico di “non sapere chi si è e la paura di non riuscire ad essere ciò che si sogna” (p. 31) .
Tuttavia, il nostro sistema non si cura di questo aspetto, imponendo una maturazione accelerata senza offrire alcuna certezza di un futuro lavorativo. Ne conseguono giovani demotivati che ricercano la propria realizzazione personale altrove, spesso in ambienti deleteri.
Galimberti ì chiama questo fenomeno “demotivazione scolastica”, causata dalla tendenza a oggettivare gli studenti. Giudicare gli alunni in base al profitto, attraverso voti e numeri significa escludere tutte quelle caratteristiche che sfuggono alla calcolabilità, come la creatività e le emozioni.
L’apprendimento, invece, funziona solo se accompagnato da gratificazione emotiva. Continuando a seguire questo sistema, si rischia di trasformare gli insegnamenti scolastici in qualcosa di sterile, incapace di generare una crescita emozionale. Così i giovani, che sono un turbine di sensazioni ed emozioni, si trovano costretti a dover reprimere la loro forza emotiva, vagando in un vuoto privo di senso o prospettive.
Laddove il sapere diventa lo scopo e il profitto il metro per misurarlo …, la scuola fallisce, perché livella, quando non mortifica, soggettività nascenti in nome di un presunto sapere oggettivo che serve a dare identità più ai professori che agli studenti in affannosa ricerca.
U. Galimberti, L’ospite inquietante (pp. 38-39).
E se anche la famiglia non riesce a trasmettere l’importanza dell’identità e della propria sfera emozionale, sostituendo a questi valori quelli della performance, promettendo un futuro che continua a sgretolarsi, allora avremo ucciso un’intera generazione. E le conseguenze di questa crisi sono già sotto i nostri occhi.
Chi si cura del cuore?
Un altro fenomeno preoccupante è la crescente incapacità dei giovani di comunicare. La “generazione x” viene spesso definita indecifrabile, fredda e distante, incapace di esprimere le proprie emozioni. E sono freddi non solo con chi li circonda, ma soprattutto con sé stessi.
Ed è proprio qui che “fa la sua comparsa il gesto, soprattutto quello violento, che prende il posto di tutte quelle parole che non abbiamo scambiato né con gli altri per istintiva diffidenza, né con noi stessi per afasia emotiva” (p. 49).
Accadono tragedie che ci sconvolgono più di altre. Violenze alle quali non riusciamo a trovare un senso perché gli autori sono normali adolescenti provenienti da famiglie per bene. Ne è un esempio la recente strage di Paderno Dugnano , in cui un diciassettenne ha ucciso la sua intera famiglia. Sono gesti imprevedibili che ci costringono ad ammettere che un problema esiste e che non siamo ancora stati in grado di gestirlo o comprenderlo.
In realtà, il movente spesso non esiste, o almeno non è comparabile alla brutalità dell’accaduto. Questo perché è assente anche la risposta emotiva di chi compie questi atti. Il mostro nichilista si fa spazio tra i cuori aridi di sentimento e gli occhi fissi su un futuro inesistente, trovando culla in un Io totalmente sotterrato; e, alla fine, anche la vita di un essere umano perde il suo valore.
Oltre il nichilismo
Il libro di Galimberti parla agli adulti, si rivolge ai genitori e agli insegnanti nella speranza che possano dare un volto al malessere giovanile dei nostri tempi.
Ma l’autore non si limita solo a descrivere il problema e a criticare i loro metodi educativi. Negli ultimi capitoli, infatti, propone una possibile via d’uscita.
Galimberti suggerisce quella che chiama “l’etica del viandante”: un modo di vivere che accetta l’incertezza del mondo senza cercare una meta prestabilita. In questa visione, i giovani diventano nomadi, esploratori dell’esistenza.
Se gli adulti riuscissero a liberarsi dalle loro convinzioni tanto radicate che inevitabilmente li costringono in un mondo chiuso dove uno solo è lo scopo, allora potrebbero insegnare a questi giovani a vivere esplorando l’abisso del tutto. Si realizzerebbe così una cultura dove l’incertezza diventa sprono per scoprire di più.
Noi giovani dobbiamo essere in grado di accogliere questo mondo senza la versione tranquillizzante che i nostri genitori gli avevano costruito attorno, dobbiamo solo dire sì. Dobbiamo essere in grado di salpare, accettando il prospetto di un possibile naufragio, dove l’unico fine è l’esplorare noi, le nostre emozioni e il mondo intero.