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Calcio e omosessualità (e non solo): fare coming out è ancora un tabù 

omosessualità nel calcio

Le persone della comunità LGBTQ+ vengono spesso discriminate e insultate esclusivamente per il loro orientamento sessuale o per la loro identità di genere. Purtroppo, anche nel calcio è così. Le federazioni stanno promuovendo varie iniziative per sensibilizzare il tema, ma non è sufficiente. Società, tifosi e calciatori non sembrano essere pronti ad abbracciare l’inclusività


L’omosessualità non è più considerata una malattia mentale dal 1990, eppure fare coming out risulta ancora oggi un tabù. Nonostante la società si stia evolvendo, rivelare il proprio orientamento sessuale è considerato un ‘atto di coraggio’ – anche per coloro che vivono sotto i riflettori – a causa delle discriminazioni a cui si potrebbe essere sottoposti. 

Perché è difficile fare coming out

Il coming out  [uscita (coming) allo scoperto (out)] è la dichiarazione pubblica della propria omosessualità o della propria identità sessuale. Farlo non è semplice: da un lato, infatti, è la fine di un lento e complesso processo interiore, fatto di scoperte, sperimentazioni e non di rado di conflittualità; dall’altro, in una società in cui non essere eterosessuali è ancora motivo di vergogna, il pregiudizio rende spesso doloroso il momento in cui rivelarsi.

Ci sono diversi fattori che lo possono rendere più o meno complesso, senz’altro influiscono l’età, il genere di appartenenza, il luogo di nascita e l’educazione religiosa ricevuta. Tuttavia, ciò che di solito costituisce la preoccupazione maggiore è il destinatario e la reazione che si pensa possa avere, a partire dalle sue opinioni in merito.

Al contrario di quanto si possa pensare, anche per le celebrità fare coming out non è facile. Infatti, la loro visibilità e notorietà li espone notevolmente al giudizio dell’opinione pubblica. Se da una parte è facile che questi personaggi ottengano ampio supporto da parte della comunità LGBTQ+ e dei suoi sostenitori, è altrettanto probabile che siano i bersagli prediletti di insulti e attacchi omofobi da parte dei cosiddetti ‘leoni da tastiera’. 

Il coming out dei calciatori: omosessualità nel calcio

Come dicevamo, non esiste un tempo o un modo giusto per fare coming out. A tal proposito, il mondo dello sport è emblematico: c’è chi ha deciso di esporsi sui social e chi non lo ha ritenuto necessario e ne ha parlato liberamente; c’è chi sceglie di rivelarsi nel pieno della sua carriera sportiva e chi ha preferito farlo dopo il ritiro. 

jankto
Jankto e il compagno su Instagram (Screenshot: msn, da Ansa).

Uno dei casi più conosciuti è quello di Jakub Jankto, attualmente in forza al Cagliari, che è diventato il primo e, ad oggi, anche l’unico calciatore dichiaratamente omosessuale in Serie A. Il suo è stato un vero e proprio atto di coraggio, in uno sport in cui l’omosessualità è ancora oggi denigrata e considerata un tabù.

A tal proposito Jankto ha dichiarato: “Non ho pensato per tutta la vita a fare coming out. Ho giocato normalmente per otto anni. Non so cosa sia successo, ma ci sono alcune cose che ad un certo punto vuoi dire. Vuoi vivere come vuoi vivere. L’ho detto nel momento in cui più di ogni altra volta mi sono sentito di farlo”. 

Un altro esempio noto è il caso di Justin Fashanu, il primo calciatore di fama mondiale a dichiarare pubblicamente la sua omosessualità, nel lontano 1990. La sua storia ha un tragico epilogo, infatti, nel 1998, in seguito a un’accusa di violenza sessuale su un minore, il calciatore si suicidò. Fashanu temeva di non esser giudicato in maniera equa a causa del suo orientamento sessuale.

fashanu
Copertina The Sun (Foto: Gay).

Un ‘calcio’ all’omofobia 

Nel calcio – come in altri sport – il movimento ‘arcobaleno’, insieme alle singole federazioni, si sta impegnando nella promozione di numerose iniziative volte a sensibilizzare e a prevenire atteggiamenti omofobi dall’ambiente sportivo.

Megan Rapinoe, vincitrice del Pallone d’Oro nel 2019, è sicuramente l’atleta più attiva all’interno della comunità LGBTQ+. Per questa ragione è stata inserita nella lista delle 100 persone più influenti al mondo dalla rivista Time nel 2020. Inoltre, ha ricevuto la medaglia presidenziale della libertà dal presidente degli USA Joe Biden nel 2022. Rapinoe è una sostenitrice di numerose organizzazioni, tra cui spiccano la Gay, Lesbian & Straight Education Network (GLSEN) e la Athlete Ally. Il sostegno per le cause sociali, la spiccata sensibilità per tematiche come l’equità e la sostenibilità, sono le linee guida su cui si fonda il suo brand di vestiti Rɘ-inc, che infatti propone collezioni gender inclusive ed eco-friendly

omosessualità nel calcio
Foto della campagna (Immagine: Lega Nazionale Dilettanti).

Sono numerose le federazioni impegnate attivamente a contrastare il fenomeno dell’omofobia. A tal proposito, la Lega Nazionale Dilettanti, nello scorso 17 maggio, in occasione della giornata internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia (IDAHOBIT), ha lanciato la campagna #StopOmofobia insieme ad Arcigay e Gaynet

Un’altra iniziativa arriva dalla Federcalcio belga, che ormai da sei anni, in corrispondenza con il giorno del Gay Pride in Belgio, si impegna per la tutela della diversità e dell’inclusione. Su tutti i campi professionistici vengono utilizzate delle bandierine arcobaleno. Inoltre, quel giorno i calciatori indossano dei nastri con gli stessi colori.

Rainbow Laces

Anche in Premier League, il massimo campionato di calcio inglese, c’è un’attenzione e una sensibilità maggiore rispetto a questo tema. Ad esempio, dal 2013 viene portata avanti la campagna Rainbow Laces. Il nome dell’iniziativa deriva dal gesto dei calcatori di indossare i lacci degli scarpini e le fasce da capitano color arcobaleno per esprimere la loro solidarietà.

omosessualità nel calcio
Rainbow Laces (Foto: Sportellate).

Attualmente la campagna si è estesa a numerose attività di sensibilizzazione a sostengo della causa. Tuttavia, nell’ultimo periodo molti calciatori si sono rifiutati di partecipare all’iniziativa, le ragioni fanno spesso riferimento alla religione o alle leggi dei Paesi di provenienza. 

A tal proposito, nel 2022 Idrissa Gueye è stato protagonista di un’accesa polemica. Infatti, il giocatore si è rifiutato di giocare contro il Montpellier, in quanto la sua squadra, il PSG, avrebbe dovuto indossare delle patch arcobaleno. Il calciatore aveva saltato l’incontro anche l’anno precedente, per questo si pensa che non sia a favore della comunità LGBTQ+. Gueye non ha mai esternato la ragione del suo comportamento, ma in molti credono che non possa esporsi in quanto in Senegal, il suo paese di provenienza, l’omosessualità è un reato

Un caso simile è accaduto durante l’ultimo evento Rainbow Laces che si è svolto a inizio dicembre. Per l’occasione il capitano dell’Ipswich Town, Sam Morsy, si è rifiutato di vestire la fascia arcobaleno. Come si era già visto l’anno precedente, nel caso di Anel Ahmedhodzic dello Sheffield United, le ragioni sono puramente religiose: entrambi i giocatori sono musulmani

Oltre la libertà di pensiero

Se da un lato è legittimo per ogni calciatore scegliere di non aderire alle iniziative ‘arcobaleno’ come espressione del proprio diritto alla libertà di pensiero, dall’altro lato non sono tollerabili i comportamenti che sfociano in offese o attacchi fisici nei confronti dei membri della comunità LGBTQ+.

Un esempio arriva dalla Svezia, dove esiste un club di calcio dilettantistico costituito da diversi componenti omosessuali e transgender, lo Stockholm Snipers. In un match contro il Sörskogens, i calciatori sono stati vittime di parole orribili come “Avete tutti l’Aids” e “Ci infetteremo tutti”. Fortunatamente, nonostante l’intervento della federazione, la sanzione più dura è arrivata dal presidente Ketil Torp, che ha deciso di licenziare tutti i suoi atleti. 

Un altro caso è quello relativo a Joshua Cavallo, uno dei calciatori omosessuali più noti a livello mondiale, che, in una partita di campionato australiano tra la sua squadra, l’Adelaide United, e il Melbourne Victory, è stato vittima di insulti omofobi. In seguito, il giocatore ha raccontato la vicenda su un post Instagram, esternando la sua frustrazione e amarezza. 

Il calcio è uno sport omofobo?

Lo stereotipo dello sportivo, virile e desiderato dalle donne, costituisce la matrice culturale che spesso ostacola gli atleti nel sentirsi liberi di fare coming out senza paura di subire alcuna conseguenza. Nel Vecchio Continente è un problema legato soprattutto al calcio, ovvero lo sport ‘da maschi’ per eccellenza.

È interessante notare che spesso sono gli stessi calciatori che sconsigliano ai propri colleghi di rivelarsi, poiché consapevoli delle spiacevoli conseguenze a cui potrebbero incorrere, a partire dalla marginalizzazione sociale e dalla denigrazione pubblica.

Héctor Bellerín, calciatore spagnolo attualmente in attività, ha denunciato questo problema: “È impossibile essere apertamente gay nel calcio […]. Il problema è che la gente ha un’idea ben precisa di come deve essere un calciatore, di come si deve comportare, di cosa deve parlare”.

Anche l’ex bandiera della nazionale tedesca Philipp Lahm si è espresso su questo tema nella sua autobiografia, sostenendo che “ancora manca la capacità di accettare, nel mondo del calcio e nella società in generale. Se qualcuno avesse in mente di farlo e dovesse chiedermi un consiglio […] non gli consiglierei mai di parlare di questo tema con i compagni di squadra. Non potrebbe contare sulla stessa maturità nei suoi avversari o sui campi, dovrebbe sopportare insulti e diffamazioni.”

Infine anche Patrice Evra, sottolineando la tossicità del calcio, si è esposto dichiarando a Le Parisien

Se da calciatore dici che sei gay, sei morto.

Secondo i tifosi invece… 

Nel 2022 YouGov UK ha fatto uno sondaggio riguardo la percezione dell’omofobia da parte dei tifosi. L’obiettivo dello studio è di capire in quanti vedono l’omosessualità nel calcio professionistico come un problema diffuso e serio del proprio Paese.

Osservando i risultati notiamo che i tifosi inglesi e tedeschi sono i meno propensi a credere che l’omofobia costituisca una criticità nel campionato nazionale (46%); all’opposto i sostenitori francesi (67%). In Italia invece c’è una divisione: il 54% pensa che sia diffusa, mentre il 40% no. 

omosessualità nel calcio
Risultati della ricerca (Immagine: YouGov)

Nonostante queste statistiche il nostro Paese è l’unico in cui ci sono state delle risposte positive concrete da parte dei tifosi: i sostenitori del Cagliari sono stati premiati da Arcigay Sport, per aver accolto e sostenuto Jakub Jankto, in seguito al coming out.

“Sembrano dei piccoli gesti, ma in realtà rappresentano il cambiamento che vogliamo vedere. Finalmente, vediamo tifoserie positive e non negative, che sostengono atleti gay, lesbiche, bi e trans senza alcun problema”.

Un futuro senza omofobia

L’ambiente sportivo, in particolare quello calcistico, sembra essere un terreno ostile per le persone LGBTQ+, a causa degli stereotipi e dei pregiudizi su cui si fonda la nostra società. È necessario promuovere una cultura sportiva che celebri la diversità e favorisca il rispetto reciproco. Un cambiamento culturale è l’unico approccio valido affinché si possano creare ambienti più accoglienti e sicuri dove ognuno possa esprimersi liberamente, senza paura di subire alcun tipo di discriminazione.

Alcuni passi avanti sono stati fatti: basta osservare le ultime Olimpiadi di Parigi 2024, che sono state ufficialmente le più LGBTQ+ di sempre con 199 atleti ‘arcobaleno’. Questo dato è entusiasmante se pensiamo che a Rio 2016 hanno partecipato solamente in 56, e a Londra 2012 addirittura in 23. 

Sebbene possa sembrare che nel calcio non ci siano stati progressi, la realtà è diversa. Il caso di Jankto e la reazione dei tifosi sono un segnale positivo, che lascia ben sperare per il futuro.

Attualmente l’ambiente calcistico è più sensibile a queste tematiche e più intransigente nei confronti di qualsiasi atteggiamento discriminatorio e offensivo. A tal proposito, le dichiarazioni omofobe che Cassano fece in un’intervista nel 2012 ad oggi susciterebbero molta più indignazione, sia nell’ambiente calcistico che, soprattutto, nell’opinione pubblica. Questo cambiamento culturale rende concreta la speranza che in futuro possano esserci ulteriori miglioramenti.

Mattia Pallotta

(In copertina foto da MirrorUK


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Sull'autore

Sono uno studente di Comunicazione a Bologna, classe 2003, orgogliosamente fuorisede. Vengo da Castel di Sangro, un paesino di montagna in Abruzzo. La mia passione? Sport, sport e.... SPORT
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