Dopo la tregua in Libano, in Siria il colpo di Stato. Non sono passate nemmeno ventiquattro ore dall’entrata in vigore del fragile cessate il fuoco siglato tra Israele ed Hezbollah, che un altro dei fronti cronicamente instabili del Medio Oriente si è riacceso violentemente. Giovedì 28 novembre le forze sunnite di Hayat Tahrir al-Sham, gruppo originario da al-Qaeda ma ormai autonomo, hanno lanciato la più grande offensiva contro il regime di Bashar al-Assad, leader appoggiato da Russia e Iran. L’attacco ha travolto le difese governative, portando alla conquista di Aleppo, la seconda città più grande del Paese, in appena 48 ore. Le forze ribelli hanno in pochi giorni preso il controllo di altri importanti centri strategici e appena undici giorni dopo l’inizio dell’avanzata sono entrate nella capitale Damasco. Dopo aver resistito alla ‘primavera araba‘ e alla conseguente guerra civile, il regime del presidente Assad è collassato con una rapidità impressionante. Cerchiamo di capire le cause di questi improvvisi sviluppi, e quali scenari si potrebbero aprire nell’immediato futuro.
1. Qual era la situazione nel Paese finora?
La Siria ha attraversato anni di profonda instabilità politica e sociale, con inevitabili ripercussioni economiche. La ‘primavera araba‘ che ha investito quasi tutti i Paesi dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente, frutto di anni di corruzione, repressione ed esasperazione delle popolazioni locali, ha portato in alcuni casi alla deposizione di leader autoritari e alla creazione di esecutivi più attenti al rispetto dei diritti umani.
È il caso della Tunisia che, prima della recente deriva autoritaria imposta dal presidente Kais Saied, all’indomani della primavera araba poteva vantare di quella che da molti era stata definita la Costituzione più progressista del mondo arabo.
Manifestanti antigovernativi sventolano bandiere a Idlib il 15 marzo 2021 (foto: Omar Haj Kadour/AFP via Getty Images).
In altri casi, invece, le attività dei gruppi ribelli e la sollevazione civile (azioni spesso sostenute da organizzazioni terze) non hanno portato ad un rovesciamento dei leader al potere, ma hanno contribuito a creare situazioni frammentate ed estremamente violente.
Si tratta proprio della Siria, in cui il presidente Bashar al-Assad, seppur più volte vicino alla disfatta totale, è riuscito a mantenere la guida di un Paese che ha visto aprirsi più fronti di guerra, anche grazie al sostegno di potenti alleati internazionali.
Se infatti da un lato le forze governative siriane si scontravano con i ribelli sunniti di Hayat Tahrir Al-Sham, a nord est dovevano fare i conti con le SDF (Syrian Democratic Forces), un’unione di milizie arabo-curde supportata dagli Stati Uniti.
In questo contesto di guerra civile ha trovato terreno fertile l’avanzata dell’ISIS, che ha occupato tra il 2014 ed il 2015 ampie porzioni del territorio Siriano ed Iracheno, proclamando la nascita del Califfato Islamico. Assad si è dunque ritrovato alle prese con ben tre fronti interni, molto diversi tra loro, ma con un obiettivo in comune: rovesciare il suo governo.
Il Presidente è riuscito comunque a mantenere il potere, per due ragioni fondamentali: in primo luogo, ha potuto beneficiare dell’appoggio strategico e militare di Russia ed Iran, assieme ai quali è riuscito ad arginare l’avanzata delle forze ribelli, e allo stesso tempo a lanciare l’offensiva alle roccaforti dello Stato Islamico.
In seconda istanza, l’espansione dell’ISIS, unitamente al moltiplicarsi degli attentati terroristici in Occidente, ha progressivamente impegnato tutti gli attori coinvolti nella neutralizzazione dell’organizzazione terroristica. Ciò ha portato a cruente battaglie, in cui grandi città sono state completamente devastate dai bombardamenti e dalla lotta senza quartiere tra le forze in campo (due su tutte la già menzionata Aleppo e Raqqa, capitale de facto dell’autoproclamato Califfato).
Il 2018 è stato l’anno dell’offensiva contro i gruppi ribelli, in cui l’appoggio russo è stato fondamentale per consolidare il controllo del governo di Damasco sulla maggior parte del territorio nazionale. Nel corso degli ultimi anni si sono susseguite schermaglie e sconfinamenti, ma si è comunque mantenuta una condizione di sostanziale equilibrio: le forze Hayat Tahrir al-Sham a nord ovest mantenevano il controllo di gran parte della regione di Idlib, mentre le unità curde occupavano il nord est.
Lo Stato Islamico, dopo aver perso la quasi totalità del territorio occupato, rimaneva comunque in possesso di alcune aree desertiche nell’area centrale del Paese. Questo fino a poche settimane fa.
2. Siria e colpo di Stato: Perché proprio adesso?
La nuova esplosione delle ostilità tra le forze governative ed i gruppi armati, che ha portato agli sconvolgimenti osservati in questi giorni, non ha una tempistica casuale. Si tratta bensì della culminazione di un processo messo in moto già da prima dell’ultimo cessate il fuoco raggiunto negli anni scorsi, e che gli eventi successivi al 7 ottobre 2023 hanno solo avuto il risultato di catalizzare.
Gli attori internazionali che fungevano da garanti per il regime di Assad erano tre: i già citati Russia ed Iran e la milizia sciita libanese di Hezbollah. Gli ultimi due, uniti alla Siria nel cosiddetto Asse della Resistenza in funzione anti-israeliana, stanno subendo il peso di un sempre maggiore coinvolgimento nella guerra tra Hamas e lo Stato Ebraico (tanto che il conflitto può ormai essere ampliato a comprendere anche lo stesso Hezbollah), mentre la Russia è ormai da due anni economicamente e militarmente assorbita dall’invasione lanciata contro l’Ucraina, ancora ben lontana da una resa che Mosca prevedeva avvenisse nelle prime settimane della ‘Operazione speciale‘.
Tutto ciò ha portato inevitabilmente ad un drastico calo nel supporto e nell’attenzione verso la stabilità del regime di Assad e possibili nuovi fronti di scontro nella regione.
Così, poche ore dopo che il fragile cessate il fuoco siglato tra Israele ed Hezbollah è entrato in vigore, le forze ribelli hanno realizzato l’unicità di un momento tanto propizio (la sospensione delle ostilità avrebbe consentito ad Iran ed Hezbollah di riorganizzarsi), e hanno preso l’iniziativa attaccando le postazioni governative inizialmente nel nord ovest del Paese, riuscendo a penetrare per diversi chilometri.
Dopo aver conquistato Aleppo e Hama, i ribelli hanno concentrato l’avanzata verso l’importante centro di Homs, abbandonato definitivamente dalle forze governative solo poche ore prima della disfatta definitiva a Damasco. Contemporaneamente, diverse zone vicine al confine meridionale con la Giordania (siti dei più importanti depositi di armamenti del Paese) cadevano nelle mani degli insorti, mentre le forze curde avanzano più lentamente da nord est, occupando la città di Deir Ez Zor.
Persino alcune cellule dell’ISIS hanno preso il controllo delle postazioni abbandonate dalle forze di Assad nelle aree desertiche orientali, poco oltre le linee dell’avanzata delle SDF. Nelle prime ore di Domenica, appena undici giorni dopo l’inizio dell’offensiva, le forze sunnite entravano nella capitale, accolte dalla popolazione civile.
3. Come stanno reagendo gli alleati di Assad?
Come già spiegato, il motivo per cui i ribelli hanno deciso di scatenare la loro offensiva proprio adesso è dettato dall’attuale scenario internazionale: Hezbollah è impegnato a ricostruire una leadership decimata negli ultimi mesi dagli incessanti raid Israeliani, mentre la Russia, pur avendo offerto supporto aereo, ha immediatamente invitato i propri cittadini a lasciare il Paese il più presto possibile, e ha informato Damasco sin dalle prime fasi dell’avanzata del fatto che sarebbe intervenuta in maniera limitata.
L’Iran ha inizialmente reagito in maniera diversa, mostrando da subito una postura particolarmente aggressiva. Riconoscendo l’importanza di mantenere al potere un membro fondamentale dell’ “Asse della Resistenza”, il regime degli Ayatollah aveva paventato un ulteriore invio di truppe nella regione. Il Ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, si era pronunciato sull’argomento in maniera chiara:
L’atto di difendere la nostra sicurezza inizia con la difesa della sicurezza della Siria.
-Abbas Araghchi, Ministro degli Esteri Iraniano
Tuttavia, a parte una prima fase in cui le truppe iraniane già di stanza nel Paese hanno ingaggiato i reparti ribelli nel sud est, il supporto sul campo è rapidamente venuto meno, man mano che l’irreversibilità della situazione diventava più evidente. Poco dopo la presa di Damasco l’ambasciata iraniana è stata presa d’assalto da uomini armati. Il portavoce del ministro Araghchi ha fatto sapere che il personale diplomatico è riuscito ad allontanarsi dall’edificio «minuti prima» del raid.
4. A che gioco sta giocando la Turchia?
C’è un attore che non abbiamo ancora considerato, ma che gioca un ruolo fondamentale nel determinare gli equilibri della regione e della Siria stessa: la Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Il Paese, ponte tra Europa ed Asia, finanzia i gruppi ribelli ormai dal 2012, e negli ultimi anni esercitava un controllo più o meno indiretto sull’area settentrionale del Paese.
C’è chi suggerisce persino che sarebbe stato lo stesso Erdogan a dare il via libera alle milizie islamiche di iniziare l’offensiva, per dare la spallata definitiva al regime di Assad. Qualunque sia la verità, una cosa è certa: nel caos delle fazioni coinvolte, la Turchia ha tutte le probabilità di uscire dal conflitto rafforzata, e di espandere la propria sfera di influenza nell’area mediorientale a scapito dell’Iran.
5. Cosa possiamo aspettarci adesso?
In questo momento, le forze anti-governative (le milizie islamiche, le forze curde e ciò che resta dello Stato Islamico) hanno riportato vittorie su tutti i fronti. Nonostante le truppe di Assad abbiano in un primo momento tentato di arginare l’avanzata, l’impreparazione – e soprattutto l’assenza dell’indispensabile sostegno russo – hanno portato ad un totale sfaldamento delle forze del Presidente.
Nonostante le milizie di Tahrir al-Sham siano ormai in controllo della quasi totalità del Paese, i civili hanno già iniziato ad evacuare le zone più a rischio, temendo l’avvento di possibili scontri tra le varie fazioni in campo (in particolare nell’area settentrionale di contatto tra le forze sunnite, le SDF e la Turchia). La memoria di battaglie cruente come quella che ha dilaniato Aleppo nel 2016 è ancora estremamente vivida. Human Rights Watch, tramite le parole del vicedirettore per il Medio Oriente, ha espresso profonda preoccupazione per la possibile evoluzione del conflitto:
Data la condotta del governo siriano durante il conflitto durato quasi 14 anni, aumentano le preoccupazioni che possa di nuovo impegnarsi in tattiche brutali e illegali che hanno causato danni devastanti e a lungo termine ai civili […]. I gruppi armati antigovernativi hanno promesso moderazione e di rispettare le norme umanitarie, ma alla fine saranno giudicati in base alla loro condotta, non alle loro parole.
Adam Coogle, vicedirettore per il Medio Oriente di Human Rights Watch.
Ciò che più sorprende è la velocità che le milizie islamiche hanno sostenuto durante la propria avanzata. Per dare un’idea delle proporzioni della caduta di Hama, ad esempio, un articolo de il Post suggeriva di immaginare un gruppo di ribelli confinati in Piemonte in grado di raggiungere Bologna in appena otto giorni.
La svolta che ha ulteriormente accelerato i tempi è stata la presa di Homs, città strategicamente fondamentale: si trova all’incrocio che portava ad ovest nel cuore del territorio controllato dal governo e a sud proprio a Damasco.
Dopo pesanti scontri le forze ribelli sono entrate nel centro della capitale, quando il presidente Assad si era già dato alla fuga, probabilmente in Russia. Gli ultimi reparti lealisti, asserragliati ad ovest nella regione costiera di Latakia, si sono arresi nelle ore successive, mentre quelli ad est hanno attraversato precipitosamente il confine con l’Iraq, consegnando le armi ai militari locali.
Cosa ci sarà per la Siria dopo il colpo di Stato?
La situazione attuale in Siria è sospesa su un filo sottile, dove ogni ora può portare a nuovi sconvolgimenti. In questo contesto estremamente confusionario, in cui dispute interne e fondamentalismo religioso si intrecciano con ben più vasti equilibri geopolitici, rischia di consumarsi l’ennesimo disastro umanitario.
Quel che è peggio è che, come accade spesso in questi casi, ora non sembra essere questa la priorità degli attori in gioco. Russia, Iran, Stati Uniti e Turchia sono ormai focalizzati su un’unica domanda: cosa ci sarà dopo Bashar al-Assad?
Matteo Minafra
(In copertina i ribelli festeggiano a Damasco, immagine da AP Photo/Omar Sanadiki)
Una terra senza pace – Cinque punti per capire il colpo di Stato in Siria è un articolo di Matteo Minafra. Clicca qui per altri articoli dell’autore!