Cultura

“Elizabeth” di Ken Greenhall – Il malvagio, l’inquietante e l’imperturbabile

Elizabeth Ken Greenhall

Atmosfera alla Shirley Jackson, gotico alla “I misteri di Udolpho”, un po’ Hester Prynne, un po’ ‘femme fatale’ come Lolita. Elizabeth è una ‘villain’ adolescente, ma che sembra sapere già come funziona il mondo. Il suo sguardo prematuro discerne le verità più torbide e le permette di conoscere chi la circonda. Userà questo e altri poteri per diventare ancora più grande…


Un autore sotto pseudonimo femminile

Elizabeth è uscito per la prima volta nel 1976 e l’autore, Ken Greenhall, lo pubblicò sotto lo pseudonimo di Jessica Hamilton, la madre.

Non vi è alcuna nozione al riguardo ma sorge naturale chiedersi, a che pro pubblicare con un nome femminile, quando storicamente è sempre avvenuto il contrario? Pensiamo al caso di George Eliot, pseudonimo di Mary Anne Evans.

Secondo un recente articolo del Corriere della Sera, a leggere romanzi sono in maggioranza donne; inoltre, un libro thriller scritto da un uomo è generalmente meno gradito: infatti, nell’opinione comune è più “sopportabile” se le torture e cattiveria subite dai personaggi vengono descritti da una donna. In più, immagino io, fa più gola ai lettori un libro sulla stregoneria scritto da una donna.

In ogni caso, il piccolo romanzo venne ripubblicato nel 2017 da Paperbacks from Hell, una collana della Valcourt Books, piccola casa editrice indipendente con sede a Richmond, Virginia, che ristampa classici della letteratura gotica, horror, soprannaturale e LGBTQ+. La stessa collana si occupò di altri libri di Greenhall, tra i più conosciuti Childgrave (1982) e Hell Hound (1977).

Quest’anno anche Adelphi ha contribuito alla rivalsa di una di queste perle rare. Nelle librerie dal 17 settembre, Elizabeth è stato subito da me profanato.

Non è un romanzo horror, né spaventoso nel senso splatter del termine. È un libro semplicemente ‘inquietante’ perché i personaggi non sono convenzionali, ma sembrano conoscere verità che gli altri rinnegano. Accettate la cattiveria; anzi, ponetela come presupposto.

Forse l’amore è il male. Certo un numero spropositato di atrocità è stato compiuto sotto il suo influsso.

Elizabeth, p. 48.

De Elizabeth

Il romanzo ha come protagonista Elizabeth che, a 14 anni, è poco più che una bambina, eppure ha ben chiaro quali siano i suoi poteri. È evidente che l’erotismo sia il primo tra questi e, come si suol dire, non ha paura di usarlo: principalmente con lo zio James (chi è più squallido dei due?).

In un ipotetico multiverso mi piace immaginare un’Elizabeth complice-amica di Lolita ma, diciamocelo, le amicizie, soprattutto femminili, non fanno per questi personaggi. Eppure, il rapporto adultero di Elizabeth è proprio come quello di Lolita con Humbert Humbert.

Ma la piccola antieroina ha qualcosa in comune anche con il mondo di Shirley Jackson, e non solo per le case gotiche e buie e ricche di specchi. Penso in particolare al romanzo Lizzie (1954), “il primo grande romanzo delle personalità multiple”. Lizzie convive con altre sé, ma è una di queste alter ego che mi porta al paragone, Betsy.

“Maschera crudele e deforme”, è una ragazza insolente, schietta, che vorrebbe fagocitare le altre personalità per emergere, cattiva. Ovviamente, Lizzie e Betsy sono abbreviazioni di uno stesso nome: Elizabeth.

L’ingrediente mancante è un pizzico di stregoneria. Nel romanzo di Ken Greenhall, Elizabeth riceve la visita di un’antenata, Frances, nata, vissuta e morta come strega nel villaggio di Hatfield Peverel, nell’Essex del XVI secolo, in una società dominata dall’ignoranza e dalla paura.

Elizabeth Ken Greenhall
Copertina di Elizabeth di Ken Greenhall (Adelphi, 2024).

È lei, che vive negli specchi, a insegnarle il suo potenziale e consegnarle la sua eredità, consacrata da un piccolo segno scarlatto sulla coscia “che sembrava una lettera di una lingua sconosciuta” (p.23) – che Hester Prynne sia sulla stessa linea genealogica? A volte, con la complicità di rospi, serpenti, gatti…

Limen

Erano ottime le premesse poste, a partire dalla ‘misteriosa’ morte dei genitori di Elizabeth – di cui fin da subito si assume la responsabilità – e dopo la quale la giovane si trasferisce nella vecchia dimora della nonna a Coenties Slip, con la famiglia dello zio.

Infatti, qui Elizabeth ha la possibilità di accrescere le sue doti, e si crogiola nel suo mondo buio, divertendosi a sedurre o semplicemente stuzzicare un ‘prurito’ non solo in James ma anche nel figlio ofiologo Keith; raggirando e burlandosi di Miss Barton – la sua insegnante, anch’essa discendente di Frances, che però rinnega la sua eredità –; immaginando che torbida relazione vi sia fra quest’ultima e Katherine, la moglie dello zio James.

Eppure, l’equilibrio si spezza leggermente alla morte della nonna, forse l’unica persona che non tangeva la nipote. Infatti, dopo questo episodio Elizabeth sembra farsi domande sul confine tra giusto e sbagliato e si ostina a cercare un colpevole, ed è qui che la storia perde parte del suo charme. Non che la protagonista si commuova mai, o si disperi, o si dispiaccia, ma si percepisce la paura che la malefica ragazzina a cui ci eravamo ben abituati e per cui oramai tifavamo stia per perdere carattere.

Ho solo desiderato che certe persone si togliessero di mezzo. Tutti hanno desiderato una cosa del genere… anche lei. Lo trova così mostruoso?

Elizabeth, p. 81.

Anche perché la sentiamo ammettere di provare affetto, per una volta. Ha paura di veder svanire Frances, la fonte dei suoi poteri, ed Elizabeth crede di non essere nulla senza, perché il suo è un mondo “di conoscenza e potere” (p.71).

Tuttavia, alla fine del libro mi sono in parte ricreduta perché, senza fare troppe anticipazioni, Greenhall fa dire ad Elizabeth, in un apparente periodo di calma piatta, una frase agghiacciante.

Una frase che fa presagire che l’adolescente non ha perso di vista i suoi obbiettivi, e che probabilmente tornerà più forte e forse più torbida di prima: sta solo crogiolandosi nel suo bozzolo come un bruco, aspettando il momento giusto per uscirne come una farfalla… più come un’Acherontia, forse.

Umano, innaturale, soprannaturale

Una riflessione sorge dal sottotitolo “Romanzo dell’innaturale”. Non parliamo, infatti, di soprannaturale. Il primo è qualcosa di “non conforme alle leggi di natura”, il secondo, “trascende i limiti dell’esperienza e della conoscenza umana”.

Elizabeth Ken Greenhall
Foto: James Kovin/Unsplash.

In effetti, pure Miss Barton infine è costretta ad ammettere, pensando alla malvagità intrinseca di cui anche James è dotato, che “il suo era un potere umano e il nostro potremmo considerarlo soprannaturale. Ma entrambi sono poteri umani, che possono essere impiegati per raggiungere qualsiasi fine umano. Non siamo né più né meno malvagie di chiunque altro” (p.172).

Il potere che si addita a James è, appunto, quello della forza, del fascino, dell’arroganza, che gli permette di credersi quasi immortale e comunque superiore a chiunque, convincendolo di potersi imporre e di poter sovrastare tutti.

Dunque, nonostante la stregoneria, forse ciò su cui Greenhall pone l’accento è che l’inquietudine alle volte può non derivare dall’inspiegabile in sé, ma da qualcosa che, proprio perché spiegabile, ma comunque diverso dal consueto, crea un effetto straniante, quasi pauroso, sicuramente troppo estraneo a noi da volercene distanziare.

E ciò potrebbe riferirsi all’indole di Elizabeth? Alla sua precoce, subdola maturità sessuale? Alla sua fascinazione per le creature più viscide, alla sua indifferenza verso la morte?

Guardatevi dalle case senza specchi

In Elizabeth, Ken Greenhall si dimostra capace di descrivere vividamente ed essenzialmente scene surreali e al contempo di lasciare quel piccolo alone di ambiguità su cosa sia effettivamente successo, un po’ come se si stesse guardando attraverso uno specchio deformante.

Elizabeth Ken Greenhall
Foto: Tuva Mathilde Løland/Unsplash.

Gli specchi sono narratori onniscienti nella storia: per esempio, quello della nonna di Elizabeth è l’unico che sa chi l’ha uccisa, in quanto ne è testimone. Nel loro riflesso abita Frances, che a sua volta è effetto deforme di Elizabeth, di Miss Barton e della nonna, le donne che condividono una stessa eredità. È stato lo specchio, prima ancora di Frances, a consegnare il primo potere a Elizabeth, mostrandole il suo aspetto poco convenzionale ma affascinante.

Proprio non  c’è modo di sapere se lo specchio vi mostra quello che vedono gli altri o quello che siete davvero.

Elizabeth, p.10.

Elizabeth è un personaggio imperturbabile, che ha sempre il medesimo stato d’animo, non si scompone davanti a nulla. Di fatto è una piccola psicopatica che non prova (quasi) nessuna emozione. Eppure, per quanto questa sia la forza della protagonista, è in parte anche il punto debole del libro, che tende a risultare un po’ piatto. I colpi di scena ci sono, ma non sono enfatizzati a dovere.

Forse sarebbe stata più efficace una protagonista più definita: Elizabeth sembra sempre usare il minimo necessario del suo potenziale mentre il lettore si aspetta ben altro da una strega che ha appena scoperto di poter usare la magia nera. D’altronde, occorre anche considerare che il romanzo è la prova di scrittura di un autore alle prime armi negli anni ’70.

È plausibile pensare che, se il romanzo fosse stato scritto da una donna, il personaggio di Elizabeth avrebbe avuto una completezza maggiore: chi meglio di una donna conosce una donna? Ma è vero anche che, essendo il primo romanzo di Greenhall, non possiamo pretendere perfezione.

Chissà, magari i successivi Childgrave e Hell Hound hanno attinto proprio da questa prima creazione per affinare i personaggi che so essere, anche in questi due casi, alquanto malvagi e inquietanti.

Blu Di Marco

(In copertina, foto di Jack Davison)


“Elizabeth – Romanzo dell’innaturale” di Ken Greenhall – L’ascesa di una strega è una recensione di Blu Di Marco. Clicca qui per altri articoli dell’autrice.

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