
È uscito nelle sale il 24 ottobre 2024, “Parthenope”, il nuovo film di Paolo Sorrentino. Dopo essere stato acclamato dalla critica ed essere stato presentato alla 77ª edizione del Festival di Cannes, è diventato immediatamente virale sui social per la sua profonda enigmaticità e per le differenti interpretazioni che gli si possono attribuire. Inoltre è possibile trovare una chiave di lettura intrigante, almeno per alcuni punti salienti, nel mito di Narciso, narrato da Ovidio nelle sue “Metamorfosi”.
Nascita prodigiosa
I primi fotogrammi del film di Sorrentino introducono l’agiata famiglia di Parthenope. Si parte dal Comandante (nel quale è possibile rintracciare la figura di Achille Lauro, politico napoletano del secondo dopoguerra), futuro padrino della bambina, che, con capacità da indovino che hanno del mistico e dell’inspiegabile, degne di Tiresia, ne predice il sesso. Vengono poi presentati i genitori dall’aria distinta, per arrivare infine al fratello di lei, Raimondo.
Successivamente si assiste alla nascita di Parthenope, chiamata come la città stessa in cui è ambientato il film. Il parto avviene nelle acque chiare del Tirreno e si intuisce fin da subito che quella bambina sarà speciale, diversa da tutto e tutti.
Solo dopo lo spettatore sarà tratto in inganno nel pensare che la specialità di Parthenope risieda nella sua folgorante bellezza. Questa qualità in un certo senso la accomuna con Narciso, infatti anche alla nascita di questo personaggio fu fatta una predizione: quando venne chiesto a Tiresia, un celebre indovino, se il bambino avrebbe vissuto una vita lunga e felice, il vate rispose: “solo se non conoscerà se stesso” (Ov. Met. III, 348).
Eros e Thanatos
Parthenope cresce e diventa sempre più bella, più sensibile, più curiosa. Comincia a frequentare il corso di Antropologia all’università e ha un legame molto forte sia con il fratello Raimondo sia con Sandrino, figlio di una cameriera della famiglia. Durante l’estate, i tre decidono di fare una vacanza bohémien nell’isola campana per eccellenza: Capri.
Lo spettatore capisce subito che ci si trova a un nodo nevralgico del film. Quel locus amoenus scintillante di bicchieri da cocktail, vestiti con gli strass, elicotteri e cibi ridicolmente pretenziosi, mischiati in un’orgia di corpi giovani ed energici che sudano al ritmo della musica, nasconde in realtà il volto del disastro, proprio come la radura dove si consuma l’inusuale follia di Narciso.
Dopo un sensuale ballo che coinvolge i tre giovani senza badare ad alcun finto perbenismo, il giorno successivo la ragazza decide di concedersi a Sandrino, da sempre innamorato di lei. Mentre li si vede fare l’amore, Raimondo è appoggiato alla ringhiera di un belvedere e si flette sempre più verso il mare, come se volesse spiegare le ali, come fosse sospinto dalla stessa brezza dolce e calda che soffia sui volti delle persone a lui care che, per quanto lo amassero, non lo avevano mai compreso fino in fondo.
Si suiciderà, per motivi che allo spettatore non risultano chiari, in una sequenza di struggente desiderio carnale e profondo malessere esistenziale e solitudine.
Sembra che per Sorrentino l’antico binomio di amore e morte, che va a braccetto dagli inizi della letteratura, sia ancora un’immagine empiricamente efficace. Si può dire lo stesso per Ovidio: Narciso trova l’amore guardando un’immagine fallace di se stesso riflessa in uno specchio d’acqua e il dolore di non poterla possedere gli fa desiderare la morte.


Raimondo come Narciso
Il personaggio di Raimondo incarna l’aspetto più tenero e delicato dell’essere giovane: la fragilità. Desidera una vita diversa rispetto al padre, vuole andare nel Baltico con una nave, anche se questo comporta lasciare il “posto più bello del mondo”. Del resto, in quel locus amoenus che è la Napoli di Sorrentino (almeno per alcuni fotogrammi), lui non può essere felice.
È proprio la fragilità di Raimondo, il suo flettersi verso un desiderio irrealizzabile – che il film lascia intuire potrebbe essere proprio la sorella Parthenope o forse addirittura l’amico Sandrino -, a determinarne la morte.
Raimondo è consapevole di ciò che vuole, è animato dal desiderio e dal febbrile fuoco della gioventù, ma è troppo intelligente, così tanto da riuscire a comprendere i limiti che il mondo gli impone, limiti che alla sua età sono una lugubre sentenza di morte. Con la frustrazione di quei desideri che potrebbero apparire irrilevanti per tutti gli altri, ma che per lui sono decisivi, coincide la sua auto distruzione.
In fondo, è solo un ragazzo che ha conosciuto sé stesso troppo presto.

Parthenope come Eco
Laddove Raimondo capisce ogni cosa, Parthenope non sa nulla, ma le piace tutto, in uno slancio di vitalità che la fa fluttuare in mezzo alle persone comuni. Il suono di ogni cosa riverbera attraverso Parthenope, che con il suo carisma gli regala una nuova luce.
Parthenope è intelligente, ma non le è stato concesso il potere della creazione (come ci viene lasciato intuire dal suo complesso rapporto con la maternità). Lei non crea dal nulla, bensì immagazzina le informazioni che risuonano intorno a lei con totale assenza di giudizio.
Non inventa un nuovo mondo, ma ha la singolare capacità di vedere (da buona antropologa) quello circostante, accoglierlo dentro di sé senza nessun filtro morale e restituirlo allo spettatore attraverso la sua emotività; proprio come la ninfa Eco, maledetta da Giunone, che non possedeva la capacità di parlare per prima, ma solo di restituire la ultime parole di un discorso, che questo fosse sacro o profano.
Lo scioglimento del nodo
Soltanto nella parte finale del film assistiamo a una sorta di superamento, di scioglimento del nodo che aveva ingarbugliato Raimondo. Il prof. Marotta, mentore e figura paterna di Parthenope, decide di presentarle il figlio che, in un colpo di scena quasi onirico, è un grande neonato dall’aspetto sproporzionato fatto di acqua e sale. L’acqua e il sale sono anche gli elementi tra i quali la nostra protagonista viene al mondo, quelli che differenziano l’acqua dolce dal mare.
La protagonista e il figlio di Marotta, per quanto diversi, sono fatti delle stesse sostanze, due immagini riflesse della stessa creatura. Parthenope non si scompone dinnanzi a questo singolare personaggio, tutt’altro: lo accarezza sul ventre ed esclama che è bellissimo. Il contatto con quell’essere fatto della sua stessa materia permette a Parthenope di conoscere se stessa; e questo non le procura turbamento, bensì gioia.
Parthenope rappresenta la potenza dell’essere giovani: quella che si acquisisce in quel secondo che sembra durare anni, che sancisce la scoperta di sé e il valicamento di quei limiti autoimposti che feriscono noi stessi per primi, che ci frangono in piccoli pezzi confusi e appuntiti che vagano nell’aria colpendoci.
In questa scena potentissima, Parthenope riesce ad afferrarsi, toccarsi e accarezzarsi. Riesce a capirsi e a perdonarsi; sconfigge la disunità che aveva ucciso il mitologico Narciso e il fratello Raimondo, che dinanzi a sé stessi, quando si sono conosciuti, hanno provato la tristezza e lo sgomento dell’impossibilità della riunificazione del limite e del desiderio.
Al contrario di Eco, Parthenope riuscirà a ritrovare la propria voce come docente ordinaria di Antropologia, così che il mondo non riverberi più attraverso di lei, ma la includa come una propria creatura.

Alla fine del film vediamo che la protagonista è ormai una donna anziana e non più “una diva”, come l’avevano definita un gruppo di ragazzi a Capri. La bellezza che la rendeva ultraterrena e quasi mitologica è svanita, come era svanita la bellezza dei personaggi di Greta Cool e Flora Malva.
Ma, a differenza delle due ex dive, Parthenope è serena nelle sue rughe e nei suoi capelli bianchi. Mentre la guardiamo sorridere a un carro di napoletani in festa per la vittoria dello scudetto del 2023, comprendiamo che Parthenope non solo è in armonia con se stessa, ma anche con il mondo che la circonda.
Maria Teresa Luordo
(In copertina e nell’articolo, immagini tratte da Parthenope di Paolo Sorrentino)
“Parthenope” e il mito classico: Eco e Narciso nel film di Sorrentino è un articolo di Maria Teresa Luordo. Clicca qui per altri articoli dell’autrice.