Sono ormai trascorsi novanta anni dal Mondiale 1934. Fu un torneo completamente a tinte azzurre: non solo fu giocato nel Belpaese, grazie all’ostinazione di Mussolini, ma fu anche vinto dall’Italia. Per molti però, è il trionfo di cui andare meno fieri, a causa dell’influenza fascista che ha condizionato lo sport in quegli anni.
Il Mondiale del 1934 viene ricordato per essere il primo dei quattro successi azzurri in questa competizione, che ad oggi rendono l’Italia, insieme alla Germania, la seconda nazione più titolata di questo trofeo, alle spalle del Brasile.
Ci sono però molte ombre su questa vittoria, legate alla campagna fascista dell’epoca. Mussolini individuò subito lo sport come un eccezionale strumento di propaganda, per rendere ‘grande’ l’Italia agli occhi del mondo e dello stesso popolo italiano. Il Duce sintetizzò il suo interesse nella frase: “Noi del Governo siamo tutti sportivi”.
La salita al potere di Mussolini
È impossibile raccontare la storia dei Mondiali 1934 senza prima parlare dell’influenza di Mussolini sull’Italia, Paese ospitante del torneo, ma anche sull’organizzazione e lo svolgimento della competizione stessa. Quindi, appare necessario narrare il contesto storico-politico di quegli anni.
In seguito alla Prima Guerra Mondiale, l’Italia stava affrontando un periodo di grave instabilità politica ed economica. Questa situazione favorì la nascita di movimenti estremisti, che da entrambe le parti si opposero alla democrazia liberale dell’epoca.
Tra questi c’era il Partito Nazionale Fascista (PNF) di Benito Mussolini, che sfruttò l’opportunità per prendere il potere. Il 28 ottobre 1922, iniziò la Marcia su Roma, che si concretizzò due giorni dopo. Infatti, il Re Vittorio Emanuele III non dichiarò lo stato di assedio e aprì di fatto la strada ai fascisti verso la capitale dello Stato. Il 30 ottobre, Mussolini divenne Presidente del Consiglio.
Il Duce trasformò presto la sua politica di violenza in una vera e propria dittatura: prima con le elezioni del 1924, poi con l’omicidio di Matteotti e, ufficialmente, con le Leggi fascistissime nel biennio ‘25-‘26.
Mussolini e lo sport
Per le sue ideologie e i suoi progetti politici, lo sport poteva rappresentare molto più che una semplice passione. Il capo del governo fascista iniziò a farsi ritrarre nelle vesti di un vero e proprio atleta, così come avrebbe voluto che fossero tutti gli italiani (si legga fascisti) del futuro.
Era di volta in volta magnificato come il miglior praticante di ogni specialità.
Prima di educare virilmente gli italiani al culto delle discipline fisiche […], è egli stesso – come sempre – vivente e insuperabile esempio dello sportivo di razza. Non temiamo accusa d’omaggio servile se diciamo che Mussolini è il primo e più completo sportivo d’Italia.
Lando Ferretti, Mussolini primo sportivo d’Italia, in Lo sport fascista 1933, n. 1.
La scelta degli sport non era casuale, ma indicativa delle promozioni ideologiche che il fascismo voleva perseguire. Non a caso, infatti, non c’è una sola foto che lo ritragga in bicicletta, in quanto il ciclismo aveva un carattere plebeo; al contrario, spesso lo si mostrava in attività pericolose come la caccia e l’aviazione.
Fra tutte le discipline, soltanto di una il Duce rimase un vero appassionato: il tennis. Mussolini non era uno sportivo, ma la racchetta fu sempre un’eccezione: rigorosamente privata, perché praticare questo sport non era considerato né particolarmente virile, né prodigioso.
Lo sport è un elemento fondamentale
L’obiettivo di Mussolini non era solo quello di glorificarsi agli occhi dei cittadini. Per lui era fondamentale avere un popolo fisicamente pronto per le battaglie.
Voleva educare i giovani a pensare e ad allenare il fisico come lui. Per questo, ordinò che in tutte le scuole si praticasse lo sport; istituì l’Opera Nazionale Balilla, che riprendeva i concetti della sana educazione fisica tipici della cultura greco-romana, aggiungendo il carattere militare per inquadrare i giovani; e il sabato fascista, che consisteva nel dedicare il sabato esclusivamente all’attività motoria e sportiva.
Il calcio è lo sport nazionale
Col tempo, il regime iniziò a riservare sempre maggiore importanza al calcio. Era lo sport che maggiormente attirava l’attenzione del popolo, nonostante Mussolini non ne fosse un appassionato.
Il Duce intuì che ospitare un Mondiale avrebbe portato grandi vantaggi alla sua politica: l’evento sarebbe stato un perfetto veicolo propagandistico e di autopromozione sportiva. Per questo motivo si assicurò che l’assegnazione del torneo andasse allo stato italiano. Questo desiderio si concretizzò durante un incontro della FIFA a Zurigo nell’ottobre 1932, con il Belpaese che superò la concorrenza della Svezia.
Dal punto di vista logistico, il Mondiale 1934 era un progetto di misure esorbitanti. Le città scelte per la disputa delle gare furono addirittura otto: Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Torino, Trieste e la capitale Roma. Ciò che rendeva così sbalorditiva questo dato era il fatto che, nel 1930, il Mondiale ‘uruguagio’ si era giocato in una sola città, Montevideo.
Anche il numero delle squadre partecipanti aumentò, passando dalle 13 alle 16 compagini. In seguito alle qualificazioni (ennesima novità), arrivarono alla fase finale Svezia, Svizzera, Germania, Spagna, Francia, Cecoslovacchia, Ungheria, Austria, Romania, Olanda, Belgio e ovviamente l’Italia tra le europee; Egitto come unica rappresentanza africana; USA, Brasile e Argentina (quest’ultima composta da soli dilettanti) come componenti d’oltreoceano.
Si registrò un’unica grande assenza: la nazione detentrice del trofeo, l’Uruguay. Questa eccellente diserzione riposava su ragioni politiche e diplomatiche, come spiegato nel recente libro di Federico Buffa e Fabrizio Gabrielli:
Di fronte alla candidatura italiana, l’Uruguay campione in carica aveva deciso di rinunciare alla difesa del titolo. Un po’ per una ferrea condanna al regime fascista, un po’ perché lo sgarbo di aver disertato l’edizione ospitata dai rioplatensi nel 1930 era stato mal digerito.
Federico Buffa e Fabrizio Gabrielli, La Milonga del Fútbol, p.83
Vincere è l’unica cosa che conta
Per Mussolini non era ammesso il fallimento. Aveva avvisato la squadra e il tecnico Vittorio Pozzo a inizio torneo con un telegramma che diceva “Vittoria o morte”, e si era ripetuto prima della finale, quando convocò l’allenatore dettandogli parole poco rassicuranti:
Signor Pozzo, lei è l’unico e solo responsabile di questo successo. Ma se dovesse fallire, che Dio la aiuti.
Federico Buffa e Fabrizio Gabrielli, La Milonga del Fútbol, p.89
Mussolini, però, si mosse anche in maniera più pratica. Tra i calciatori italiani che vinsero quel Mondiale c’erano molti oriundi, soprattutto italo-argentini – il che poteva sembrare una mossa in controtendenza rispetto alle ideologie fasciste. Il Duce, però, sapeva che avere quei giocatori dalla propria parte poteva fare la differenza.
I fenomeni oriundi che vestirono la maglia azzurra in quel Mondiale furono ben cinque: Atilio José Demaría; Enrique Guaita, ‘il corsaro nero’ che in quegli anni aveva conquistato i cuori dei tifosi giallorossi; il Mumo Orsi e il doble ancho (armadio a due ante, per via della sua robustezza e forza fisica) Luis Monti che facevano sognare la Torino bianconera; infine, l’italo-brasiliano Anfilogino Guarisi. A questi si sarebbe potuto aggiungere anche Renato Cesarini; ma il tecnico Pozzo non amava la sua natura ribelle, e pertanto non lo convocò.
In particolare, è interessante il modo in cui Mussolini ‘convinse’ Luis Monti a giocare per l’Italia. Doble anchonel Mondiale precedente vestiva la maglia argentina, tanto che ad oggi rimane l’unico giocatore della storia ad aver disputato due finali di Coppa del Mondo con due nazionali diverse. Proprio in occasione della prima, Monti ricevette una minaccia di morte: se non avesse perso la partita, non sarebbe uscito vivo dal campo.
Si sarebbe scoperto che fu il Duce ad architettate le minacce, con l’obiettivo di farlo scappare dall’Argentina e portarlo a giocare in Italia, ma soprattutto con la Nazionale.
Italia campione del mondo
La competizione all’epoca era molto diversa da come la intendiamo oggi. I gironi non esistevano, anche perché non sarebbero stati possibili con così poche squadre. Nonostante ciò, i partecipanti vennero divisi in due gruppi, e dal sorteggio vennero fuori tutti gli accoppiamenti.
Nella prima partita, corrispondente agli ottavi di finale, l’Italia trovò al suo cospetto gli Stati Uniti, che furono l’ultima compagine a qualificarsi alla competizione attraverso uno spareggio giocato tre giorni prima dell’inizio del torneo, contro il Messico.
L’Italia riuscì a sbarazzarsi facilmente degli statunitensi con un 7-1, caratterizzato da una tripletta di Schiavio. Nelle altre partite tutte le contendenti non europee furono eliminate: Spagna e Svezia sconfissero le sudamericane Brasile e Argentina; l’Ungheria eliminò l’Egitto; vita facile anche per la Germania contro il Belgio, mentre più complicato risultò l’impegno di Austria, Svizzera e Cecoslovacchia che prevalsero rispettivamente su Francia, Paesi Bassi e Romania.
Nei quarti di finale gli azzurri incontrarono la Spagna, e riuscirono a sconfiggerli solo nella ripetizione dell’incontro: la partita, infatti, si era conclusa in parità, e siccome all’epoca non erano previsti supplementari o rigori, fu necessaria una seconda gara. Entrambe ricche di polemiche dovute all’arbitraggio. Vinsero le loro sfide anche Germania, Austria e Cecoslovacchia che si imposero su Svezia, Ungheria e Svizzera.
Anche la semifinale tra Italia e Austria fu colma di polemiche, ma gli azzurri riuscirono a superare l’ostacolo austriaco grazie alla rete dell’italo-argentino Guaita.
Nel match conclusivo i cecoslovacchi dovettero arrendersi alla compagine italiana, che riuscì a ribaltare la partita con Orsi e Schiavio dopo la rete nei minuti iniziali di Puč, aggiudicandosi così il suo primo titolo nel Mondiale 1934.
Le opinioni del mondo sul trionfo azzurro nel Mondiale 1934
In molti, soprattutto all’estero, vedono la vittoria dell’Italia in quel Mondiale come un vero e proprio furto. Infatti, mentre nella partita inaugurale contro gli Stati Uniti non ci fu stata alcuna recriminazione, la situazione è ben differente nelle sfide successive.
Nei quarti di finale contro la Spagna, il leggendario portiere Zamora parò tutto ad eccezione di un tiro di Giovanni Ferrari, ma prese talmente tanti colpi che non poté giocare la ripetizione del giorno dopo. Un’altra versione della storia, invece, afferma che fu il governo spagnolo a suggerirgli di non giocare. Se dietro ci fosse o meno lo zampino del Duce, non è dato sapere.
La replica fu decisa da un gran gol di Meazza, ma l’arbitro della partita, lo svizzero Mercet, fu radiato dalla sua federazione al rientro in patria. Possiamo dunque immaginare che i giudizi non siano stati esattamente impari.
Anche in semifinale ci furono molte decisioni arbitrali dubbie. Nel gol decisivo di Guaita, è evidente una carica al portiere da parte di Meazza. Inoltre, appare controversa la permissività del direttore di gara nei confronti di Luis Monti, che martellò il fuoriclasse austriaco Sindelar con contrasti al limite della legittimità.
La vittoria più regolare arrivò proprio in finale sulla Cecoslovacchia, anche se il regista Svoboda giocò malconcio per via di un contrasto col solito Monti per gran parte della gara.
D’altra parte, però, è pur vero che l’Italia si riconfermò Campione del mondo nell’edizione successiva, anche se con una rosa completamente differente. Infatti, tra i campioni del Mondiale casalingo, solo quattro calciatori furono richiamati anche in Francia nel ’38.
Per chi sostiene la tesi secondo cui l’Italia abbia conquistato meritatamente il torneo nel ’34, questa vittoria è la sola dimostrazione del grande valore che la Nazionale aveva in quel decennio d’oro.
Inoltre, nonostante a capo del nostro Paese ci fosse comunque Mussolini, sicuramente la sua influenza in un Mondiale giocato all’estero, in un Paese peraltro saldamente democratico, non poteva essere la stessa.
È bene anche considerare che ormai il Duce aveva perso tutto il suo interesse per il calcio. Tant’è che già nell’amichevole giocata contro l’Argentina nell’immediato post-vittoria del 1934 non era neppure in tribuna. La sua assenza però, è in parte giustificata, quel 14 giugno, infatti, giungeva in visita, per la prima volta in Italia, il neocancelliere tedesco Adolf Hitler e per Mussolini non era già più tempo di pensare al calcio.
Mondiale 1934: una vittoria di cui andare orgogliosi o no?
La vittoria dell’Italia al Mondiale 1934 è uno degli episodi più complessi e affascinanti della storia del calcio, e la sua valutazione non è affatto semplice. Avere un’idea ben definita è praticamente impossibile, perché entrambe le opinioni sono effettivamente corrette.
L’Italia ha vinto con merito, ma non si può fare a meno di considerare il contesto politico che ha influenzato l’intero torneo. La vittoria è sicuramente figlia della qualità della squadra, ma anche del periodo storico in cui si inserisce. È un trionfo che si porta dietro sia il peso della grandezza sportiva che quello delle ombre politiche.
Quindi, la domanda su quanto quella vittoria sia stata meritata è inevitabilmente ambigua e la risposta dipende molto dal punto di vista da cui la si guarda.
In fin dei conti, quel trionfo può essere letto come una combinazione di talento sportivo, fortuna e anche un po’ di politica.
Mattia Pallotta
(In copertina foto del trionfo Mondiale 1934 da Wikipedia)
Italia ‘34 – Un Mondiale conquistato sul campo o un ‘fuorigioco’ della politica? è un articolo di Mattia Pallotta. Clicca qui per altri articoli dell’autore!