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Legge sul nucleare Made in Italy: si può (ri)fare?

legge sul nucleare

L’ultima iniziativa del leader di Azione Carlo Calenda, volta a riportare il nucleare in Italia, ha riacceso un dibattito mai realmente sopito. In un Paese che ha rinunciato a questa fonte energetica più di trent’anni fa, la proposta suscita numerosi interrogativi: è davvero arrivato il momento di rivalutare il nucleare per garantire sicurezza energetica e sostenibilità? Tra storia, scienza e politica, ripercorriamo il lungo rapporto dell’Italia con il nucleare e le sfide attuali per reintrodurlo nel mix energetico nazionale.


“Energia Nucleare? Sì grazie”

È con questo slogan che il leader di Azione Carlo Calenda ha lanciato una nuova proposta di legge insieme al segretario dei Radicali, Matteo Hallisey, e ad eminenti figure del mondo aziendale e accademicoL’iniziativa mira a spingere il governo a varare leggi per ripristinare la produzione di energia nucleare in Italia.

Per poter essere presentata in Parlamento, la proposta richiedeva la raccolta di 50mila firme, traguardo raggiunto in soli quattro giorni dalla pubblicazione; ciò è stato possibile anche grazie alla possibilità di sottoscrivere il proprio appoggio elettronicamente, un metodo innovativo volto a stimolare il processo democratico, ma che ha già incontrato critiche da parte di alcuni esponenti della politica italiana.

Anche ora che il quorum è stato raggiunto non è assolutamente detto che la proposta venga discussa, né tantomeno approvata dal Parlamento. D’altra parte, i promotori di questa iniziativa potranno contare su una legittimazione più forte nel loro tentativo di portare la questione all’attenzione dei legislatori.

Ma qual è il rapporto dell’Italia con il nucleare, e quanto siamo realmente vicini alla sua reintroduzione?

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Carlo Calenda insieme agli altri promotori della proposta alla Camera dei Deputati (Foto: X).

La storia del nucleare in Italia ha inizio subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, con un approccio pionieristico e propositivo nello sviluppo dell’allora inedita forma di energia.

I primi governi repubblicani hanno provveduto all’istituzione di centri volti allo sviluppo della nuova conoscenza, raggiungendo risultati estremamente notevoli, pur essendo frenati dal peso del recente passato: se infatti al 1946 risale l’istituzione del Centro Informazioni Studi ed Esperienze (un ente fondato con l’intento di condurre ricerche nel campo delle applicazioni pacifiche dell’energia nucleare, che contava tra i propri membri aziende del calibro di Edison, Pirelli e Fiat), lo stesso anno il Congresso statunitense approvava l’Atomic Energy Act, un documento attraverso il quale veniva limitata la possibilità di sviluppo del nucleare per le ex-potenze dell’Asse.

In particolare, fu vietata la produzione e l’acquisto di materiali fissili senza l’approvazione di una speciale Commissione, al fine di ridurre il rischio di sviluppo di nuove minacce da parte degli ex-Paesi ostili. Sempre tale Commissione avrebbe regolato in maniera particolarmente stringente l’impiego della tecnologia nucleare nell’ambito di ricerca per attività industriale, medica e scientifica. Ciò non ha tuttavia intaccato lo slancio della comunità scientifica italiana, che ha promosso prima la fondazione dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) nel 1951, e l’anno successivo quella del Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari (CNRN).

La vera svolta è arrivata nel 1955, quando la presidenza Eisenhower ha avviato trattative con l’Italia per regolamentare la produzione di energia nucleare. Negli anni ‘60 furono costruiti i primi tre reattori, ognuno realizzato tramite tecnologie diverse, ma molto avanzate per l’epoca. L’implementazione del settore a livello nazionale è proseguita negli anni successivi, con la pianificazione di centrali più avanzate e l’ingresso nel settore di aziende come Eni

Il progressivo declino, poi Chernobyl e Fukushima

La spinta e l’entusiasmo si sono tuttavia raffreddati per una serie di ragioni: l’Italia, infatti, pur vantando di un settore nucleare all’avanguardia (terzo produttore mondiale dopo USA e Regno Unito alla fine degli anni ‘60), era ancora ben lontana da un serio piano di diversificazione delle fonti di energia. Le condizioni sismiche di alcuni territori, inoltre, avevano portato ad una generale rivalutazione delle aree adatte alla costruzione di nuove centrali nucleari.

Come ben noto, il punto di rottura si è raggiunto nel 1987, dopo il disastro della centrale di Chernobyl in Unione Sovietica. Sull’onda dello sconcerto generato dalla catastrofe, lo sviluppo del nucleare in Italia è stato interrotto da un referendum abrogativo svoltosi nello stesso 1987, in cui oltre il 90% dei votanti ha confermato la volontà di allontanarsi da questa risorsa. Nel corso degli anni ’90 le infrastrutture nucleari sono state progressivamente smantellate, fino alla chiusura definitiva delle centrali.

La proposta promossa da Calenda non è il primo tentativo di reintrodurre la produzione di energia nucleare in Italia, né tantomeno la più vicina alla realizzazione. Lo stesso Calenda aveva presentato in Senato una mozione sull’argomento nel giugno 2022, senza riscontrare successo. Tornando indietro, già il governo Berlusconi IV aveva fatto della reintroduzione del nucleare una grande sfida. A tal proposito, vennero promosse azioni legislative e accordi con il presidente francese Sarkozy per istituire una collaborazione fra i due Paesi; ciò avrebbe portato alla creazione di quattro centrali nucleari di ultima generazione in Italia, con collaborazione francese.

Tale processo si è poi bruscamente interrotto dopo il disastro di Fukushima nel 2011, quando nuovi quesiti referendari hanno abrogato tutte le azioni promosse dal governo in materia. Negli anni successivi, a parte qualche sporadica promessa elettorale, nessun passo concreto è stato mosso verso il ritorno alla produzione di energia nucleare in Italia. 

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Il disastro di Fukushima nel 2011 (Foto: BBC).

La proposta di legge sul nucleare

C’è qualcosa di diverso nella proposta portata avanti da Calenda e dai Radicali? Innanzitutto, la forma. Quella che da poco ha raggiunto il quorum necessario per la presentazione in Parlamento è infatti una proposta di legge delega: come suggerisce il nome, si tratta di una particolare misura attraverso cui il Parlamento incaricherebbe il governo insediato di legiferare (entro un periodo di sei mesi dall’approvazione del provvedimento, secondo le richieste dei promotori), rispettando una serie di limiti ben precisi: il secondo comma dell’unico articolo contenuto nella proposta di legge-delega contiene infatti dodici criteri.

Tra questi figurano proposte di cambiamenti chiave, come la creazione di “un’autorità indipendente per la sicurezza nucleare italiana” e la costruzione di impianti di ultima generazione, la terza, a fissione nucleare. Nel testo è presente anche un invito a rimanere aperti all’adozione di tecnologie ancora più avanzate negli anni a venire, qualora ne venisse accertata la sicurezza.

Si fa poi riferimento all’attuazione di una capillare campagna informativa, per fornire alla popolazione un’idea chiara e verificata sui dettagli dell’iniziativa, e al rapporto che il governo dovrebbe intrattenere con gli enti locali nelle varie fasi del processo. Il che ci porta a discutere le criticità che si presenterebbero inevitabilmente, qualora il Parlamento decidesse effettivamente di discutere la proposta

Legge sul nucleare, tra opposizioni interne ed ipocrisia politica

Il nuovo percorso legislativo mirato a reintrodurre il nucleare in Italia dovrebbe fare i conti con un considerevole numero di complicazioni.

Un aspetto in particolare può essere individuato come quello che sarebbe l’ostacolo più ostico fin dal principio: la feroce opposizione delle regioni, delle province e degli enti locali in generale. L’ostruzionismo di questi attori riguarderebbe due aspetti fondamentali del provvedimento in questione: l’individuazione dei siti atti alla costruzione delle nuove centrali nucleari e di quelli dedicati al deposito dei rifiuti nucleari, conseguenze inevitabili del processo di produzione. 

Il problema dello smaltimento delle scorie è una questione a cui ogni governo degli ultimi quarant’anni ha dovuto (senza grande successo) provare a far fronte. Da tempo si discute della necessità di concentrare i rifiuti prodotti dalle vecchie centrali nucleari prima e dall’industria farmaceutica adesso in un unico deposito nazionale. Tali rifiuti sono infatti stoccati in decine di depositi temporanei sparsi sul territorio, generando una serie di inevitabili problemi di manutenzione e logistica. 

Ed è a questo punto che a tale contrasto fondamentale si intreccia un certo livello di ipocrisia politica. Si prenda ad esempio la Lega di Matteo Salvini, che nella campagna per le elezioni politiche del 2022 aveva fatto del nucleare (proprio come Calenda) un’istanza programmatica fondamentale. Salvini ha più volte sottolineato la necessità di raggiungere un livello adeguato di produzione autonoma di energia sicura e pulita, caratteristiche che secondo il segretario del Carroccio solo il nucleare può garantire. Allo stesso tempo colpisce come il partito di Salvini sia lo stesso ad essersi opposto alla ricerca realizzata da Sogin (una società pubblica che ha il compito di smantellare gli impianti nucleari esistenti e di gestire i rifiuti nucleari) sull’individuazione dei siti potenzialmente idonei per lo smaltimento delle scorie nucleari.

Il capogruppo del partito alla Camera dei Deputati, Riccardo Molinari, ha infatti criticato duramente l’inserimento della sua provincia natale di Alessandria tra le aree idonee per il deposito delle scorie nucleari. Molinari aveva presentato una mozione in Parlamento già nel 2021, invitando prima il governo Draghi ad aumentare la partecipazione di altri territori per l’individuazione un sito alternativo, e ha poi ribadito nei mesi scorsi la sua contrarietà, insieme a diversi sindaci della provincia, all’attuale ministro dell’ambiente Pichetto Fratin. Eppure, persino la motivazione delle differenti visioni interne al partito sembra dissolversi quando, come riporta Pagella Politica, si osserva che lo stesso Matteo Salvini si è più volte schierato contro la designazione dei siti idonei, spesso in corrispondenza di tornate elettorali nelle località in questione.

La Sardegna non sarà mai una discarica del nucleare […]. Abbiamo vinto le elezioni per portare lavoro, infrastrutture, servizi […]. Desideriamo valorizzare una terra meravigliosa che merita attenzione e non rifiuti.

Matteo Salvini a margine delle elezioni regionali in Sardegna nel 2019
Salvini
Matteo Salvini e Riccardo Molinari (Foto: Il Foglio).

La soluzione del problema: verso un processo più spedito?

I promotori dell’iniziativa hanno provato ad affrontare il problema dell’inevitabile contrasto con gli enti regionali all’interno della proposta, dedicando uno dei dodici punti alle modalità di esercizio di potere sostitutivo del governo per assicurare che il processo, una volta approvato, proceda spedito e non subisca rallentamenti.

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Il Professor Giuseppe Zollino (Foto: Formiche)

Su questo particolare aspetto abbiamo chiesto maggiori dettagli a Giuseppe Zollino, professore di tecnica ed economia dell’energia e di impianti nucleari all’Università di Padova, oltre che “Responsabile Energia ed Ambiente” per Azione, il quale ha tenuto a rimarcare l’importanza che un provvedimento simile avrebbe anche nell’ottica delle politiche green adottate dall’Unione Europea.

L’estensione della procedura [di esercizio del potere sostitutivo del governo nei confronti degli enti locali] agli impianti nucleari è la diretta conseguenza degli impegni internazionali e delle normative comunitarie, volte alla riduzione delle emissioni di gas serra, sino alla condizione cosiddetta net-zero. Le centrali nucleari sono indispensabili per il raggiungimento dell’obiettivo, insieme con gli impianti a fonte rinnovabile, ciascuno con la quota necessaria a realizzare il mix più sostenibile […]; nucleare e rinnovabili sono ora insieme nella Tassonomia Verde Europea e per entrambe si possono applicare i contratti a due vie (contratti che compensano la differenza tra un prezzo di riferimento e il prezzo di mercato per limitare o sostenere i profitti degli impianti energetici [NdR]) che sino a un anno fa circa erano riservati alle sole fonte rinnovabili. Pertanto, vanno normate le modalità con cui il Governo, se necessario, dovrà applicare i suoi poteri sostitutivi anche per l’autorizzazione di centrali nucleari. 

Il concetto espresso dal Professor Zollino è codificato nel punto j del secondo comma dell’articolo contenuto nella proposta di legge. Rimangono tuttavia dei dubbi sulle modalità risolutive della questione: si fa riferimento alle “modalità di esercizio del potere sostitutivo del governo” citate all’articolo 120 della Costituzione. I promotori, quindi, sembrerebbero suggerire al governo di imporre l’attuazione delle riforme anche a costo di arrivare allo scontro con gli enti locali. Su questa difficile dinamica abbiamo nuovamente raccolto il parere del Professor Zollino:

Il comma j) […] semplicemente indica che vanno disciplinati i poteri sostitutivi del governo, ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione, secondo il quale «il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni, nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria». Si procede così già ora per esempio per le fonti rinnovabili: è in base all’art. 120 e alla legge che ne norma l’applicazione, che il Consiglio dei ministri autorizza regolarmente la costruzione di impianti eolici e fotovoltaici, in caso di mancata intesa tra gli enti locali, esercitando appunto i suoi poteri sostitutivi – naturalmente quando la procedura di Valutazione dell’Impatto Ambientale (VIA) abbia avuto esito positivo. 

Numeri alla mano

Se si lasciano da parte gli intricati equilibri della politica e ci si concentra sugli aspetti economici e sociali, sorge spontanea una domanda: a che livello l’Italia ha realmente bisogno del nucleare? Il nostro Paese importa circa il 10% del proprio fabbisogno elettrico da paesi limitrofi che sfruttano il nucleare, come Francia e Svizzera.

La rete elettrica italiana è fortemente connessa a quella europea, e queste importazioni costituiscono una parte significativa dell’energia che l’Italia utilizza per soddisfare la domanda nazionale. In particolare, la Francia, con la sua vasta rete di centrali nucleari, è uno dei principali fornitori di energia elettrica per l’Italia, e contribuisce così a colmare il fabbisogno nei momenti di picco o di ridotta produzione interna da fonti rinnovabili.

Nel 2023 la capacità di importazione italiana ha raggiunto livelli storici, superando gli 8 TWh, all’interno del generale contesto di transizione energetica e riduzione delle emissioni. 

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Immagine: Wikipedia.

Come già ricordato dal Professor Zollino, l’Italia, oltre a cercare nuove vie per raggiungere un livello soddisfacente di indipendenza energetica, deve allo stesso tempo rispettare gli impegni presi in qualità di membro dell’Unione Europea. Anche se la nuova Commissione Von der Leyen sembra dirigersi verso una pesante ridefinizione del cosiddetto ‘Green deal’, molte delle iniziative volte a trascinare gradualmente i Paesi membri fuori dalla dipendenza dai combustibili fossili rimarranno parte integrante del programma: lo sviluppo di energia dal nucleare sarebbe un catalizzatore decisivo per l’Italia verso il raggiungimento di questi obiettivi.

Si tenga poi conto di quella che è ormai diventata una priorità fondamentale per il governo Draghi prima e per quello presieduto da Giorgia Meloni poi, a partire dall’invasione dell’Ucraina del 2022: superare la dipendenza energetica sviluppata nei confronti della Russia, tenendo conto del progressivo deterioramento dei rapporti diplomatici tra la NATO ed il paese aggressore.

Legge sul nucleare: proposta alla mano

“Questa è l’unica vera strada per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e azzerare così le emissioni nette di anidride carbonica. È vero: gli italiani si sono già espressi su questo tema. Ma quasi quarant’anni fa. Nel frattempo, la scienza si è evoluta e il mondo è cambiato. Ad oggi il nucleare risulta essere l’energia più pulita, oltre che la tecnologia più sicura. Non solo: il mix energetico che include il nucleare è sicuramente più economico rispetto a quello che prevede il solo utilizzo di rinnovabili”.

Questo l’intervento di Carlo Calenda a margine della presentazione della proposta di legge che ora approda in Parlamento, dopo che, come ricordato, lo stesso Calenda aveva già presentato una mozione per l’inclusione del nucleare nel mix energetico. È ancora presto per capire se questa nuova iniziativa raggiungerà gli obiettivi prefissati dai promotori. Certo è che si tratta di un modo nuovo, sicuramente più serio, di affrontare un argomento estremamente complesso e delicato, spesso lasciato ai margini del dibattito politico – o peggio, inserito a forza in una retorica politica populista ed estremamente semplicistica

Matteo Minafra

(In copertina foto di Lukáš Lehotský su Unsplash)


Legge sul nucleare Made in Italy: si può (ri)fare? è un articolo di Matteo Minafra. Clicca qui per leggere altri articoli dell’autore!

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