CronacaPolitica

L’accordo Italia-Albania: collaborazione o minaccia ai diritti umani?

Nave militare Libra

Nel novembre 2023 si annunciava per la prima volta il nuovo accordo tra Italia e Albania sulla gestione della migrazione. Esattamente un anno dopo, quando ormai il piano è diventato operativo e la nave militare Libra è già salpata due volte per l’Albania, con a bordo prima 16 e poi 8 migranti, è opportuno fare il punto sull’andamento e sulle implicazioni del progetto.


Cosa prevede il piano?

In un’intervista rilasciata il 7 Novembre 2023 Giorgia Meloni ha dichiarato che il cosiddetto Piano Albania potrebbe diventare un “modello di collaborazione tra Paesi UE e Paesi extra-UE sul fronte della gestione dei flussi migratori”. Secondo la Premier, questa intesa “rafforza il partenariato strategico tra Italia e Albania. Inoltre, si pone tre obiettivi: contrastare il traffico di esseri umani, prevenire i flussi migratori irregolari e accogliere in Europa solo chi ha davvero diritto alla protezione internazionale”.

Con l’accordo firmato un anno fa tra Giorgia Meloni e Edi Rama l’Albania ha concesso all’Italia la possibilità di utilizzare alcune zone del suo territorio: il porto di Shengjin e l’area di Gjader. Questo per realizzare, a proprie spese e sotto la propria giurisdizione, due strutture dove gestire l’ingresso, l’accoglienza temporanea, il trattamento delle domande d’asilo, e l’eventuale rimpatrio dei migranti. L’Italia si è quindi impegnata a costruire un hotspot per lo screening e l’identificazione a Shengjin, e un centro di permanenza per il rimpatrio a Gjader.

Il meccanismo è semplice. I migranti sospettati di non essere idonei a richiedere la protezione internazionale vengono portati a Shengjin, dove sono sottoposti a una procedura di asilo accelerata. Coloro che saranno confermati come sprovvisti dei requisiti per invocare il diritto d’asilo sono trasferiti a Gjader, in attesa del rimpatrio.

Eppure, sono tanti i conti che non tornano: dai costi esorbitanti, alle possibili violazioni del diritto comunitario europeo e internazionale, alle preoccupazioni per i diritti umani dei migranti coinvolti. Il Piano Albania sembra tutto tranne un “modello di collaborazione” da esportare in altri Paesi dell’UE.

Dubbi sul rispetto dei diritti umani

L’Italia ha affermato che invierà in Albania solo uomini adulti provenienti da Paesi da essa designati come “sicuri”. Oltre al fatto che alcune delle persone trasportate durante il primo viaggio erano minori, è la questione del “Paese sicuro” ad essere la più spinosa. La sicurezza di alcuni dei Paesi considerati “sicuri” dall’Italia potrebbe infatti essere messa in discussione. In Paesi come Algeria, Egitto e Tunisia sono stati ampiamente documentati episodi di tortura e altre gravi violazioni dei diritti umani. Questo dettaglio potrebbe scontrarsi non solo con il diritto comunitario europeo, ma anche con il diritto internazionale.

Secondo quest’ultimo, infatti, gli Stati non possono trasferire o respingere persone verso Paesi in cui rischiano di subire persecuzioni, torture, o trattamenti inumani e degradanti. Questo principio, detto di non-refoulement, è sancito dall’Articolo 33 della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati (1951) e costituisce un obbligo inderogabile per l’intera comunità internazionale.

Inoltre, il rischio di violazioni dei diritti umani si estende al modo in cui i migranti saranno trattati all’interno dei centri stessi. Resta da vedere, infatti, come l’Italia possa garantire un processo d’asilo equo e un controllo giudiziario della detenzione al di fuori del proprio territorio. Soprattutto, se si considera che anche all’interno dei centri di accoglienza italiani sono stati denunciati – e rimasti impuniti – episodi di abusi.

Il dilemma del “Paese sicuro”

La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato che il non-refoulement è un principio fondamentale dell’Unione Europea e non può essere derogato, anche in caso di crisi migratorie o emergenze. Per questo è stato incorporato nel diritto comunitario europeo, principalmente attraverso la Direttiva 2011/95/UE.

Tuttavia, non esiste una lista unica e vincolante di “Paesi sicuri” a cui tutti gli Stati Membri dell’UE devono attenersi. L’UE ha stabilito delle linee guida comuni per la definizione di “Paesi sicuri” attraverso il Sistema Comune Europeo di Asilo (CEAS). Tuttavia, gli Stati membri godono di una certa flessibilità nella determinazione di quali Paesi classificare come tali.

Edi Rama e Giorgia Meloni.
Edi Rama e Giorgia Meloni.

In ogni caso, le liste di “Paesi sicuri” dei singoli Stati Membri devono rispettare il principio di non-refoulement. Per questo, quando i primi 16 migranti sono stati trasferiti in Albania, il Tribunale di Roma ha subito disposto il loro rientro in Italia per “l’impossibilità di riconoscere come Paesi sicuri gli Stati di provenienza delle persone trattenute”, ovvero Egitto e Bangladesh. Come base giuridica per la sua decisione, il Tribunale di Roma ha citato una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea del 4 ottobre 2024.

Per bypassare la sentenza del Tribunale di Roma, il governo italiano si è affrettato ad approvare un decreto legge che elenca “i Paesi considerati sicuri per il rimpatrio” secondo l’Italia. Prima la lista era contenuta in un decreto interministeriale e comprendeva 22 Paesi: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia, Camerun, Colombia e Nigeria.

Il decreto legge esclude gli ultimi tre e riconferma tutti gli altri, per un totale di 19 Paesi sicuri.

Conflitti normativi

Perché il governo italiano ha risolto (temporaneamente) la situazione trasferendo la lista da un decreto interministeriale a un decreto legge? Perché il primo è una norma secondaria, ovvero può essere disapplicata se ritenuta illegittima da un tribunale nazionale.

Il secondo è una norma primaria, ovvero non può essere disapplicata da un tribunale. Il decreto legge infatti entra immediatamente in vigore al momento della sua emissione. Per essere incluso definitivamente nella legislazione italiana deve, però, essere approvato dal Parlamento entro 60 giorni.

Questo perché il decreto legge è uno strumento giuridico creato per le situazioni di emergenza, che necessitano di azione immediata o metterebbero a repentaglio la sicurezza pubblica. Tuttavia, il governo Meloni sta seguendo la scia delle amministrazioni precedenti nell’abuso di questa misura emergenziale. Il fine è quello di rendere immediatamente operative proposte che andrebbero altrimenti incontro a contestazioni durante il normale iter parlamentare.

Divisione dei poteri

Il Ministro degli affari esteri Antonio Tajani ha commentato così la sentenza del Tribunale di Roma: “Quello che hanno messo in campo certi giudici è del tutto strumentale […]. C’è un problema di separazione dei poteri: la magistratura non può sostituirsi alla politica”. Queste dichiarazioni dovrebbero suscitare qualche preoccupazione generale sullo stato di diritto in Italia – e non solo riguardo alla gestione della migrazione.

Giudicare la divisione dei poteri come un lasciapassare per il potere esecutivo – come anche per quello legislativo o giudiziario – per operare senza vincoli rappresenta la negazione del principio stesso, inscritto, seppure in modo implicito, anche nel sistema di bilanciamento delle funzioni stabilito dalla Costituzione Italiana. Per questo un esecutivo che critica la magistratura per aver esercitato il suo diritto e dovere di verifica della legittimità dell’azione dell’esecutivo dovrebbe suonare un campanello d’allarme riguardo alle garanzie contro l’abuso di potere.

Il budget complessivo per il funzionamento del piano Albania è in aumento. Le prime persone trasferite nei centri sono state riportate in Italia perché non rispettavano i criteri per subire la procedura accelerata in territorio albanese.

Migranti sbarcati a Bari.
Migranti dall’Albania arrivati al porto di Bari.

Il governo Meloni sta dimostrando un approccio improvvisato e poco umano nei confronti della gestione della migrazione. Cerca di rimediare a errori passati con misure emergenziali e attacchi alla magistratura, con gravi implicazioni per i diritti umani e il rispetto delle norme internazionali. 

Tutto questo avviene mentre il vero obiettivo dell’accordo – dissuadere i migranti dall’intraprendere la pericolosa traversata del Mediterraneo – sembrava compromesso fin dall’inizio. L’accordo ha fatto ben poco per affrontare le cause profonde della migrazione o per fornire un sostegno adeguato a chi ha bisogno di protezione internazionale.

Piuttosto che concentrarsi sulla prevenzione attraverso riforme strutturali, sembra che la strategia attuale si limiti a spostare l’onere verso territori esterni, perpetuando un ciclo di vulnerabilità per coloro che cercano protezione.

Clarice Agostini

(Immagine di copertina da: Ansa)

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