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La storia in uno scatto – Il World Press Photo 2024 a Bologna

World Press Photo 2024 copertina

Dal 10 ottobre fino all’8 dicembre 2024 sarà possibile visitare, presso la Galleria del Cinema Modernissimo di Bologna, la mostra World Press Photo Exhibition 2024, una selezione degli scatti del più prestigioso premio di fotogiornalismo al mondo. Per questa speciale occasione abbiamo raccolto le parole di Fulvio Bugani, fotografo di fama internazionale e fondatore di Foto IMAGE, della project manager del World Press Photo Babette Warendorf, e del direttore della Cineteca di Bologna Gian Luca Farinelli.


La città di Bologna si prepara ad accogliere, anche questo autunno, il meglio del fotogiornalismo internazionale. A partire dal 10 ottobre e fino all’8 dicembre 2024, infatti, la prestigiosa sede della Galleria del Cinema Modernissimo (accessibile da Piazza Re Enzo) aprirà i battenti per una selezione degli scatti vincitori del concorso annuale bandito dal World Press Photo.

Il merito di aver portato per la seconda volta la mostra a Bologna spetta anzitutto all’associazione culturale Foto IMAGE, che ha curato il progetto assieme alla Cineteca di Bologna.

Durante il periodo di apertura, sarà possibile visitare la mostra dalle 14:00 alle 20:00 dal lunedì al venerdì (ma il martedì la mostra resterà chiusa), mentre nel fine settimana e nei giorni festivi l’orario sarà prolungato dalle 10:00 alle 20:00. Informazioni su biglietteria, orari e visite guidate si possono trovare sul sito della Cineteca di Bologna.

A poche ore dall’inizio di World Press Photo Exhibition 2024, il 9 ottobre al Cinema Modernissimo si è svolta la conferenza stampa di apertura: in questa occasione, Fulvio Bugani, Babette Warendorf e Gian Luca Farinelli hanno potuto illustrare i risultati, i valori e le ambizioni del progetto World Press Photo e della mostra.

Fotogiornalismo in zone di guerra, tra censure e morte

I numeri dell’edizione 2024 sono impressionanti: i 24 vincitori, le 6 menzioni d’onore e i 2 premi speciali della giuria sono stati selezionati fra ben 3851 fotografi, provenienti da 130 Paesi del mondo. Secondo le parole di Babette Warendorf, curatrice di mostre e project manager al World Press Photo, alla partecipazione capillare fa però da contraltare un “dato particolarmente drammatico”: il Committee to Protect Journalists (CPJ) ha denunciato la morte di oltre 120 giornalisti durante l’invasione israeliana della Striscia di Gaza (si tratta di un record negativo assoluto), segnalando inoltre numerosi casi di torture a giornalisti, di censure o di accessi negati alle aree sensibili.

Anche lo scatto che si è aggiudicato il prestigioso premio di Foto dell’anno proviene, tristemente, da zone del conflitto: si chiama Una donna palestinese abbraccia il corpo di sua nipote, ed è stata scattata dal palestinese Mohammed Salem, fotogiornalista di Reuters (lo stesso Salem era già stato premiato, nel 2010, per l’immagine di un attacco al fosforo di Israele). L’immagine, ha sottolineato la giuria, inquadra un “momento di potente tristezza, che riassume il senso generale di ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza”.

I dati del CPJ, insieme alle preoccupanti notizie sulla libertà di stampa nel mondo, sottolineano un momento difficile per il fotogiornalismo: un mestiere in cui, al giorno d’oggi, perdere la vita sta diventando una terribile abitudine. Proseguendo il discorso, Warendorf ha dichiarato: “le fotografie che si vedono quest’anno vogliono sottolineare il valore della libertà di opinione e di stampa. Bisogna volgere lo sguardo sulle storie che contano e che meritano di essere raccontate”.

Fulvio Bugani: “Vincono le storie raccontate con più intimità”

Del problematico rapporto tra sistemi di potere e canali di informazione ha parlato anche Fulvio Bugani, fotografo di fama internazionale già vincitore del Word Press Photo nel 2015 e fondatore di Foto Image, che ha collaborato alla realizzazione della mostra.

Avere il World Press Photo a Bologna, secondo Bugani, è un’occasione unica che “dà la possibilità ai curiosi di avvicinarsi a quello che succede davvero nel mondo […]. C’è troppa uniformità nei mezzi di comunicazione, la differenza ormai la fanno i singoli. E World Press Photo ne è la dimostrazione”.

Una dimostrazione che, secondo il fotografo, non teme l’avanzata travolgente delle intelligenze artificiali: il fotogiornalismo e il fotoreportage non possono morire, perché l’istinto di narrare storie è “innato negli esseri umani”, ed è alla base del progetto di World Press Photo, dove “vincono le storie raccontate con più intimità. Il fotogiornalista che vince si dedica con cura alle persone che fotografa e alle storie che racconta”.

Da ultimo Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, ha portato i saluti di questa importante istituzione che ha collaborato assieme a Foto Image per portare il World Press Photo Exhibition ai cittadini bolognese.

La nostra visita alla mostra: gli scatti e le storie del World Press Photo Exhibition 2024

Dopo la conferenza stampa, è stato possibile spostarsi dal Cinema Modernissimo nell’attigua Galleria per visitare in anteprima lo spazio espositivo della mostra, e porre ancora qualche domanda a Fulvio Bugani e Babette Warendorf per illustrare i lavori esposti.

Abbiamo fatto prima qualche domanda a Fulvio Bugani di fronte agli scatti di No Man’s Land di Daniel Chatard, un giovanissimo fotoreporter franco-tedesco che ha documentato la lotta della popolazione della Renania Settentrionale-Vestfalia contro le espropriazioni di villaggi per fare posto a nuove miniere di carbone per conto della compagnia energetica tedesca RWE.

No Man’s Land, di Daniel Chatard (World Press Photo 2024).
No Man’s Land, di Daniel Chatard (World Press Photo 2024), dalla cartella stampa del World Press Photo 2024.

Alice La Morella: In conferenza stampa si è parlato molto dell’importanza dello sguardo come luce verso una realtà che non conosciamo. Questo mi ha fatto venire in mente la frase di un’attivista americana, bell hooks, che afferma che lo sguardo è sempre politico, e proprio in quanto tale può farsi strumento di denuncia, sito di resistenza e di trasformazione. Questo ruolo di denuncia e trasformazione è quello che il World Press Photo vuole ricoprire?

Fulvio Bugani: Assolutamente sì. Perché, nel momento in cui guardiamo qualcosa e lo facciamo fotograficamente, lo stiamo già rendendo immortale. Lo facciamo perché la fotografia e lo sguardo ci danno la possibilità di scavare dentro la realtà delle immagini di tutti i giorni: immagini che sono state spesso create ad arte per rimanere statiche, confortanti e soprattutto superficiali.

Invece, lo sguardo, lo sguardo attento del fotogiornalista, è in grado di scalfire questa superficie ed entrare in un contatto profondo con ciò che viene fotografato.

Non si tratta di un lavoro semplice: è davvero difficile alzare la macchina fotografica e scattare in faccia a qualcuno che sta facendo qualcosa. Se poi, come in tanti casi del World Press Photo, si deve raccontare una storia negativa o drammatica, ecco che il fotogiornalista, che deve essere lì e vivere le stesse situazioni, si fa partecipe di questo dolore.

Mi piace, in questo caso, ricordare le parole del grande Thomas Hoepker, fotoreporter tedesco membro di Magnum Photos: “il fotografo – diceva sempre – deve essere una persona speciale, perché deve essere lì dove avvengono le situazioni”. Questo fa tutta la differenza del mondo rispetto a chi può sofisticare o abbellire i fatti. La fotografia è forte quando sei lì, quando puoi davvero raccontare quello che sta avvenendo.

Facciamo un esempio [si volta e commenta gli scatti di una delle storie vincitrici, No Man’s Land di Daniel Chatard, ndr.]: grazie a questi scatti io, che non sono andato in Germania a seguire questo lavoro di Daniel Chatard e che non sapevo nulla di questa storia, posso arrivare a conoscerla e, anzi, mi sembra di essere lì.

Perché Chatard, con le sue fotografie dettagliate, ravvicinate, intime, intense, frutto di un lavoro realizzato nell’arco di diversi anni, riesce a trasmettere una sensazione profonda.

Un esempio di fotogiornalismo costruttivo: Saving the Monarchs

Abbiamo raccolto anche le parole di Babette Warendorf, che ci ha guidato alla scoperta della storia Saving the Monarchs, un lavoro del fotogiornalista Jaime Rojo.

Saving the Monarchs World Press Photo 2024.
Saving the Monarchs, di Jaime Rojo (World Press Photo 2024), dalla cartella stampa del World Press Photo 2024.

Francesco Faccioli: Perché questi scatti sono così particolari?

Babette Warendorf: Si tratta di un ottimo esempio di fotogiornalismo costruttivo. I fotogiornalisti sono abituati a fotografare in presa diretta i problemi – e a volte sembra che tutto finisca lì.

Invece, per fortuna, a volte è possibile fare qualcosa per la situazione: ed è così che, da qualche anno a questa parte, è emerso il movimento del cosiddetto ‘fotogiornalismo costruttivo’, che si impegna a mettere in luce sia i problemi, sia le soluzioni.

Francesco Faccioli: E quale storia raccontano queste fotografie?

Babette Warendorf: La storia si chiama Saving the Monarchs, ed è un lavoro del fotogiornalista Jaime Rojo, che da molti anni ormai si occupa del tema delle farfalle monarca.

Queste farfalle ogni anno passano attraverso una difficile migrazione che le porta dal Messico – in cui trascorrono la stagione invernale – fino alle foreste del Canada, a più di 4.000 kilometri di distanza. Si tratta di un fenomeno sorprendente, perché la migrazione avviene nel corso di più generazioni di farfalle.

La deforestazione delle aree boschive in cui le farfalle monarca trascorrono l’inverno, assieme alla perdita dei luoghi di riproduzione lungo la rotta migratoria, mettono a rischio l’intera popolazione.

Per fortuna, uomini e donna da tutto il Nord America stanno riunendo le forze per combattere il declino della farfalla monarca, per esempio piantando delle asclepiades (piante di cui si nutre la farfalla monarca, ndr), creando corridoi di passaggio lungo le strade statali oppure ripristinando le foreste lungo la rotta migratoria.

Intervista a cura di Francesco Faccioli e Alice La Morella

(La copertina e le foto tratte dall’evento sono di Francesco Faccioli; le fotografie premiate al World Press Photo 2024 sono tratte dalla cartella stampa dell’evento; un ringraziamento particolare a Fulvio Bugani e Adele Grotti di Photo IMAGE)


Con la collaborazione di Foto Image e World Press Photo:

Sull'autore

Nato nel 2001, vivo in montagna – e vista l'aria che tira non ho fretta di trasferirmi. Con ogni probabilità sono l'unico studente di Lettere Antiche ad apprezzare sia Tha Supreme che Beethoven. Da fuori posso sembrare burbero, ma in realtà sono il più buono (e modesto) della redazione.
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