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Il Libano come Gaza – Un nuovo fronte per Israele?

Israele Libano copertina

Dopo le esplosioni di pager e walkie-talkie della settimana scorsa e i bombardamenti da parte di Israele che le hanno seguite, sembra che il Libano stia diventando il nuovo scenario principale dei disordini in Medio Oriente. Predire cosa avverrà è difficile, ma sicuramente per farlo è necessario sapere cosa ha preceduto gli avvenimenti degli ultimi giorni.


Cosa sta succedendo?

Il 17 e 18 settembre migliaia di cercapersone e walkie talkie appartenenti a libanesi sono esplosi, causando altrettanti feriti e alcune vittime. I dispositivi sembrano essere tutti parte dello stesso carico, consegnato a Beirut circa 5 mesi fa dall’Ungheria. Prima della consegna, però, l’intelligence israeliana sembra essere riuscita a inserire qualche grammo di esplosivo in ognuno di essi. È così che ha potuto farli esplodere, con l’obiettivo dichiarato di colpire i militanti di Hezbollah.

Dopo questa operazione, che può essere descritta come un cyberattacco di stampo terroristico, Tel Aviv ha avviato intensi bombardamenti nella parte meridionale del Libano, provocando centinaia di morti e la fuga di migliaia di libanesi. In risposta, Hezbollah ha lanciato missili e razzi verso le zone settentrionali di Israele, come Haifa, Afula e la Galilea.

Nel giro di poche ore, le operazioni israeliane hanno causato 500 vittime tra la popolazione libanese – quasi la metà del totale dei morti durante la guerra del Libano dei 2006, stimati a 1200. Dal momento che gli attacchi sono indiscriminati, le vittime sono soprattutto tra i civili, compresi circa 50 bambini. A causa dei reciproci scambi violenti al confine, inoltre, 60.000 israeliani e 110.000 libanesi sono stati costretti a lasciare le loro case.

Cosa vuole Israele?

L’obiettivo dichiarato da Tel Aviv è quello di permettere il ritorno dei civili israeliani che hanno dovuto evacuare la fascia di territorio al confine con il Libano per sfuggire agli attacchi di Hezbollah. Tuttavia, ci sono diverse altre ragioni per le quali Israele potrebbe aver compiuto le azioni degli ultimi giorni.  Lo Stato Ebraico potrebbe aver deciso di mettere in atto l’“operazione pager”, che stava pianificando da almeno cinque mesi, per il timore che che Hezbollah stesse per scoprire le sue intenzioni. Avrebbe quindi sfruttato un piano escogitato chissà quanto tempo fa prima che fosse troppo tardi.

Inoltre, Israele potrebbe aver colpito preventivamente il Libano per evitare un potenziale attacco da parte di Hezbollah. È bene ricordare che la legittima difesa preventiva, sebbene sia uno dei cavalli di battaglia di Tel Aviv, non trova un vero e proprio riscontro nel diritto internazionale. Se è vero che la legittima difesa è garantita dalla Carta delle Nazioni Unite, la risposta deve avvenire quando l’aggressione ha già avuto luogo.

In caso contrario, la prassi degli Stati tollera la legittima difesa in occasione di un attacco imminente. Tuttavia, in questo caso sembra non ci fosse alcuna prova che Hezbollah stesse pianificando di colpire a breve.

Su una nota più positiva, Israele potrebbe aver messo in atto un’“escalation per la de-escalation”: dimostrare a Hezbollah di cosa è capace, della precisione e dell’accuratezza della sua intelligence, per dissuadere il gruppo libanese a continuare la guerra a bassa intensità e desistere da un conflitto contro Tel Aviv.

Infine, Israele potrebbe anche stare preparando l’invasione generale del Libano – e non sarebbe la prima volta. Non è un segreto che dal 7 ottobre scorso le relazioni tra i due Paesi si siano tese.

Non appena Tel Aviv ha iniziato la sua campagna a Gaza, infatti, Hezbollah ha lanciato dei missili oltre il confine in solidarietà ai palestinesi.

Da allora gli attacchi si sono intensificati, costringendo migliaia di persone da entrambi i lati del confine ad evacuare l’area. Tuttavia, ricondurre la rivalità tra Libano e Israele a un anno fa costituirebbe una visione parziale della vicenda.

Bombardamenti Maisara.
La situazione dopo un bombardamento israeliano a Maisara, a nord di Beirut, 25 settembre 2024 (fonte: Bilal Hussein/AP).

Come nasce Hezbollah?

Per prima cosa è necessario ricordare che, come la Palestina, anche il Libano è stato occupato da Israele, e negli ultimi decenni è stato ripetutamente colpito da quest’ultimo anche in tempi “di pace”. Palestina e Libano sono legati da un passato – e quindi anche un futuro – comune, che non può essere ignorato per comprendere la situazione attuale.

Quando nel 1948 le milizie israeliane hanno costretto i palestinesi a lasciare i territori occupati per dare spazio alla creazione dello Stato Ebraico, molti profughi hanno trovato rifugio in Libano. E il movimento di resistenza palestinese li ha seguiti: negli anni ‘70 l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina operava quasi completamente da lì. Israele ha colto questo pretesto per invadere il Paese mentre soffriva il caos della guerra civile, e ha continuato ad occuparne il territorio meridionale per quasi 20 anni.

Un gruppo di combattenti libanesi si è riunito con lo scopo di resistere all’occupazione israeliana: nacque così Hezbollah, che nel 2000 ha costretto Israele alla ritirata: il primo esercito arabo a scacciare le forze israeliane da un territorio arabo. Con l’aiuto dell’Iran, Hezbollah si è poi sviluppata, fino a diventare uno dei più potenti gruppi della regione.

Attenzione però: non si tratta solo di una milizia. Oltre all’ala militare, Hezbollah siede nel Parlamento libanese come partito politico legittimo. Rappresenta inoltre un fornitore chiave di servizi pubblici e sociali alla popolazione libanese, gestendo ad esempio assistenza medica, elettricità e sussidi abitativi.

Quali sono le reazioni agli eventi recenti?

Il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato che Israele sta “entrando in una nuova fase della guerra”, descrivendo lo scontro con Hezbollah come un’estensione dell’operazione contro Hamas, con il fine di “mettere in sicurezza” la parte settentrionale del Paese.

Il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha paragonato gli attacchi israeliani a “una dichiarazione di guerra“. Tuttavia, anche se può essere intesa come una dichiarazione de facto, quella ufficiale ancora manca. Le parole di Nasrallah sembrano voler non tanto formalizzare un’effettiva entrata in guerra contro Tel Aviv, ma più che altro condannare le violenze dell’avversario.

Durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riunita in questi giorni nella sede di New York, il segretario generale Antonio Guterres ha sottolineato la necessità di evitare che “il Libano diventi un’altra Gaza“.

Una nuova Gaza

L’operazione israeliana in Libano deve ancora iniziare formalmente, eppure già si può riconoscere il “modello Tel Aviv”: lo Stato Ebraico sta facendo al Libano esattamente ciò che ha fatto a Gaza. Ecco alcuni elementi ricorrenti:

  • Le accuse infondate: Israele accusa sia Hamas che Hezbollah di custodire le armi in aree residenziali e di nascondersi tra la popolazione civile per giustificare le campagne di bombardamenti indiscriminati;
  • La retorica della vittoria sul terrorismo: i media Israeliani riportano che Netanyahu si sta impegnando per una vittoria totale contro Hezbollah in quanto minaccia esistenziale per la sopravvivenza dello Stato Ebraico;
  • L’uso dei social media: la propaganda passa soprattutto attraverso Internet, grazie ai canali ufficiali dei leader e dei rappresentanti dello Stato;
  • Le richieste di evacuazione: come a Gaza, l’IDF ha più volte contattato le famiglia libanesi annunciando nuova ondate di bombardamenti in arrivo e chiedendo di evacuare certe zone, attraverso la distribuzione di volantini e l’hackeraggio di canali della radio libanese;
  • L’appoggio degli Stati Uniti: anche se non esplicitamente, sembra proprio che Washington voglia lasciare intendere che supporterà Israele anche riguardo a un’escalation e un cambio di regime in Libano.

In generale, il modello che segue Israele si basa su un pilastro fondamentale: convincere il resto del mondo di essere legittimato a compiere omicidi di massa, perché a Gaza — e ora in Libano – non ci sono civili: solo terroristi arabi musulmani.

Il ruolo degli Stati Uniti

Il 29 agosto scorso Zeteo News ha rivelato che appena qualche settimana fa il Comitato nazionale democratico ha aggiornato la sua “2024 Democratic Party Platform”, modificando il tono e il linguaggio di alcuni passaggi riferiti alla situazione in Medio Oriente:

“Il popolo libanese merita di vivere in un Libano indipendente e sovrano, libero dalla morsa di Hezbollah sostenuta dall’Iran, e con un governo privo di corruzione, competente e riformista, che si concentri sui bisogni della popolazione. A questo proposito, l’Amministrazione si è anche impegnata per facilitare una risoluzione diplomatica delle ostilità in corso lungo il confine tra Israele e Libano, che garantisca il ritorno delle famiglie israeliane e libanesi alle loro case”.

Ironicamente, sono proprio gli Stati Uniti ad aver permesso l’estendersi delle operazioni israeliane al fronte libanese, grazie a un costante afflusso di armi e copertura politica nel corso dell’assedio di Gaza. E così, mentre i gruppi internazionali per i diritti umani e gli esperti dell’ONU dichiarano ripetutamente che Israele sta commettendo un genocidio contro i palestinesi, Tel Aviv si sente abbastanza forte da non solo continuare ma addirittura allargare il suo piano.

Cosa può succedere ora?

Anche se manca ancora una dichiarazione di guerra ufficiale e un’invasione di terra, l’escalation sembra ormai inevitabile. E sembra anche che Israele l’abbia cercata. Tuttavia, per Tel Aviv lo scontro con Hezbollah sarebbe più duro di quello con Hamas – ancora peggio combattere su entrambi i fronti contemporaneamente.

Dalla guerra del 2006, infatti, Hezbollah ha aumentato il numero dei suoi combattenti e potenziato le sue armi, anche grazie al supporto e l’equipaggiamento da parte dell’Iran. Si stima che il gruppo libanese possa contare su un arsenale di 200.000 tra razzi e missili e truppe tra i 20.000 e i 50.000 combattenti. Un’organizzazione sicuramente molto più sofisticata di quella di Hamas.

Oltre ai due gruppi confinanti, inoltre, Israele dovrebbe tener conto anche di un’eventuale reazione a catena che coinvolga direttamente l’Iran. Questo porterebbe quasi sicuramente a una guerra regionale, che metterebbe a rischio milioni di civili, oltre ai 41.000 già caduti vittime dell’offensiva israeliana a Gaza nell’ultimo anno.

Israele Libano bombardamenti
Attacchi israeliani nella periferia meridionale di Beirut, 28 settembre 2024 (fonte: Hassan Ammar/AP).

Quindi tutti vogliono la guerra?

Innanzitutto, definiamo tutti. Quando si parla di guerra regionale, la situazione si può semplificare: da una parte c’è Israele, dall’altra l’Iran. Il comportamento di Hezbollah infatti dipenderà in gran parte dalle preferenze iraniane.

Finora il gruppo libanese non ha quasi mai dimostrato una reale intenzione di entrare in aperto conflitto con Tel Aviv – a parte l’attacco immediatamente seguente al 7 ottobre, si è limitato a rispondere timidamente alle provocazioni israeliane. Questo indica probabilmente l’intenzione dell’Iran di astenersi da una guerra totale, e custodire l’equipaggiamento concesso a Hezbollah per tempi migliori.

La verità, tuttavia, è che la guerra totale non conviene a nessuno: non al fronte di resistenza arabo, che vedrebbe mietere un gran numero di vittime tra combattenti e popolazione civile, potenzialmente perdendo parte dell’appoggio di quest’ultima; e nemmeno a Israele, che si troverebbe a combattere su molteplici fronti – quando non è riuscito a vincere sul principale nel corso di un anno intero.

Inoltre, anche la popolazione israeliana verrebbe pesantemente coinvolta. La verità, però, è anche che si è giunti a una situazione nella quale la razionalità passa in secondo piano. Si pensa con le armi e con la smania di potere – o con il desiderio di riscattare la propria identità e la propria terra, rubata decenni fa da chi non ha mai dovuto affrontare le conseguenze delle sue azioni.

Clarice Agostini

(In copertina Rabih Daher/AFP da Getty Images)

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