Presidenziali USA 2024: un bivio cruciale tra due visioni antitetiche dell’America e della società: quella aperta, inclusiva e democratica di Kamala Harris contro quella razzista, chiusa in sé stessa e con tendenze autoritarie di Donald Trump. La scelta del popolo americano sarà come mai prima cruciale per il mondo intero, attraversato da tensioni che sembravano appartenere a un passato lontano.
Il 5 novembre, giorno in cui si svolgeranno le presidenziali 2024 negli USA, è la data segnata in rosso nelle cancellerie del mondo intero, nonché nelle redazioni della stampa internazionale.
Le elezioni presidenziali statunitensi non sono solo l’evento politico dell’anno, ma soprattutto il pivot del prossimo quadriennio: il giorno-cardine che segnerà gli equilibri geopolitici degli anni futuri.
E nello scenario attuale, con un mondo sempre più in fiamme e un’America polarizzata come non mai, il rischio concreto è che questa tornata elettorale influenzi la storia dei prossimi decenni.
Il carattere anomalo di queste presidenziali è stato chiaro fin dal 21 luglio, quando il commander-in-chief uscente Joe Biden ha rinunciato alla ricandidatura. Fatale, per le sue ambizioni di rielezione, il disastroso dibattito tv contro Donald Trump del 27 giugno, durante il quale sono emersi in tutta la loro drammaticità i limiti del presidente 82enne: Biden è sembrato confuso, poco reattivo, incapace di reagire all’irruenza del suo avversario.
Per la prima volta dal 1976, il candidato alla Casa Bianca di uno dei due maggiori partiti è stato scelto non dalle primarie, bensì direttamente nella Convention.
I delegati, riuniti a Chicago, hanno designato (o meglio, ratificato la designazione) della vicepresidente Kamala Harris.
Sarà quest’ultima, quindi, a fronteggiare il controverso Tycoon, in quella che qualcuno descrive come una battaglia campale per la democrazia, negli USA come all’estero.
Trump sempre più Trump
The Donald si è ripresentato alla corsa per la Casa Bianca più determinato che mai. La sconfitta inflittagli da Biden nel 2020 è uno smacco che Trump non ha mai digerito, tanto che ancora oggi lancia accuse di brogli mai provati.
Proprio quelle accuse che scatenarono l’ira funesta dei suoi sostenitori, i quali il 6 gennaio 2021, durante la ratifica dei voti dei grandi elettori, sfogarono la loro frustrazione con un assalto al Campidoglio.
Il Tycoon verrà presto processato per essere stato il mandante di tale sommossa, e questa non è l’unica grana legale per il candidato repubblicano: c’è l’accusa di aver nascosto documenti coperti da segreto di Stato nella villa di Mar-a-Lago a mandato concluso; c’è il processo per aver fatto pressioni sul segretario di Stato della Georgia affinché ribaltasse l’esito delle presidenziali 2020, favorevole a Biden.
Ma soprattutto, c’è la condanna emessa lo scorso 30 maggio – prima volta per un ex presidente USA – per aver comprato il silenzio della pornostar Stormy Daniel su una loro vecchia relazione extraconiugale.
Tutto questo, però, non sembra scalfire la corsa del felon Trump, che punta dritto a un secondo mandato presidenziale. Alcuni sondaggi nazionali lo danno in vantaggio; ma nel complicato sistema elettorale americano conta vincere ‘negli Stati giusti‘, cioè in quelli in grado di dare i 270 delegati necessari per essere eletti.
La vittoria della nomination repubblicana è arrivata sul velluto, con la sola Nikki Haley che ha tentato velleitariamente di contrastarlo. La campagna elettorale dell’istrionico milionario è stata contrassegnata dai soliti temi, tra cui contrasto all’immigrazione e disimpegno internazionale. Alcune timide aperture si sono viste su aborto e legalizzazione della cannabis, forse per disinnescare le più scomode critiche provenienti dal campo dem.
Il dibattito con Harris, andato in onda l’11 settembre, è stato la summa della retorica trumpiana, che si è spinta a sostenere che i migranti haitiani hanno rubato cani e gatti per mangiarseli, e che i democratici vorrebbero l’aborto fino addirittura a dopo la nascita del bambino: fake news prontamente smentite dai moderatori del dibattito.
Indicativa anche la scelta del suo candidato vicepresidente, il senatore J.D. Vance, 39enne reazionario noto per le sue idee su aborto e immigrazione forse ancora più dure di quelle di Trump.
Harris al contrattacco
Kamala Harris ha avuto lo svantaggio di iniziare la sua campagna elettorale molto tempo dopo il suo avversario. Eppure la vicepresidente non si è persa d’animo, recuperando la struttura della campagna di Biden e conquistando subito il supporto della base democratica. Attualmente i modelli predittivi danno l’elezione di Harris come lievemente più probabile rispetto a quella di Trump, sebbene al momento i sondaggi negli swing states, ossia quelli in bilico, siano altalenanti.
Il programma di Harris si basa su un forte spostamento a sinistra della sua proposta politica, anche di più rispetto a quanto già fatto da Biden. Tale ‘estremizzazione’ si spinge a tratti fino al populismo: tra le sue proposte spiccano un credito d’imposta fino a $3600 per le famiglie povere, l’aumento del salario minimo federale, aiuti fino a 25mila dollari per il pagamento per la caparra della casa a famiglie ritenute ‘affidabili’, abbattimento dei costi della sanità, lotta alla speculazione sugli affitti e sui beni di prima necessità, nonché un tetto ai beni alimentari.
Alcuni osservatori ritengono tale svolta demagogica come un’inevitabile reazione al populismo di destra trumpiano, volta a conquistare i voti degli elettori indipendenti o indecisi.
Nella corsa di Harris grande importanza avranno i risultati economici dell’ultimo quadriennio. L’amministrazione Biden ha promosso politiche fortemente espansive volte a tutelare le fasce più deboli della popolazione, promuovere la costruzione di nuove infrastrutture, fronteggiare la crisi climatica e anche rendere competitivo il settore dei semiconduttori a livello internazionale.
E se la crescita media del PIL (2,2%) è all’incirca la stessa dell’era Trump, nell’ultimo quadriennio l’inflazione ha superato quota 9%, per poi attestarsi all’attuale 3%: un valore più alto rispetto alla presidenza del Tycoon. Pure la disoccupazione, ferma al 4,3%, seppur molto più bassa rispetto al periodo del Covid-19, è in crescita.
Non entusiasmante anche l’andamento dei salari medi, il cui aumento non tiene il passo di quello dell’inflazione. Insomma, i dati economici non sono proprio un bel biglietto da visita per la vicepresidente.
Gli occhi di tutto il mondo
Come al solito, tuttavia, le presidenziali USA godranno dell’attenzione dell’intero pianeta essenzialmente per le ripercussioni internazionali. Il che è forse il più grande paradosso della globalizzazione, ossia che il voto di oltre 230 milioni di persone (in realtà molte meno, poiché l’affluenza, di norma, è sempre sotto il 70%) determini il destino di oltre 8 miliardi di esseri umani.
Il pensiero corre immediatamente ai due teatri di guerra più roventi del momento. L’Ucraina deve la sua sopravvivenza, negli ultimi due anni e mezzo, al convinto supporto militare dell’Occidente, con gli USA in prima fila. A Kyiv, di conseguenza, si guarda con apprensione all’esito delle elezioni americane: è nota del resto la fascinazione di Trump per molti dittatori dell’’asse del male‘, Putin in primis, nonché la sua tendenza all’isolazionismo internazionale.
Nei mesi scorsi, il candidato repubblicano ha asserito che avrebbe risolto la guerra in 24 ore; inoltre, quando nell’ultimo dibattito gli è stato chiesto se sperava in una vittoria militare dell’Ucraina, non ha risposto. Il timore di Zelensky è che Trump tronchi totalmente il supporto militare al popolo invaso, costringendo l’Ucraina a una pace umiliante e alla perdita dei territori occupati, o provocando addirittura la capitolazione totale del Paese.
Anche con Biden, ad ogni modo, non mancano frizioni: Kyiv spinge per avere l’autorizzazione per colpire obiettivi militari in territorio russo, ma il Governo statunitense frena, temendo un’escalation con Mosca.
Altrettanto intricata la situazione in Medio Oriente. Nell’ultimo anno, l’amministrazione Biden ha tentato (seppur senza troppa convinzione e comunque in maniera inefficace) di fermare la spietata offensiva israeliana a Gaza, che ha portato finora a oltre 40mila vittime civili. Il premier Netanyahu, che per altro rischia l’incriminazione per crimini contro l’umanità presso la Corte Penale Internazionale, rifiuta ogni richiesta di cessate il fuoco.
L’obiettivo del primo ministro, secondo molti analisti, è quello di resistere fino a novembre, sperando in una vittoria di Trump il quale gli darebbe carta bianca per proseguire nel massacro, anche grazie all’influenza del genero Jared Kushner.
Del resto, la campagna militare post-7 ottobre, insieme magari a un ampliamento del conflitto a Libano e Iran, sono ormai l’unica strada per la sopravvivenza politica di Netanyahu, che deve vedersela anche con accuse di corruzione.
Ma non manca apprensione anche a Pechino. Nel secondo dibattito, Harris ha dichiarato che gli USA vinceranno la competizione per il XXI secolo contro la Cina. Entrambi i contendenti guardano con attenzione alla sfida strategica col Dragone.
Tuttavia, mentre la vicepresidente ha garantito continuità con l’approccio diplomatico promosso da Biden, Trump ha promesso dazi del 60% sui beni importati cinesi.
La politica dei dazi, comunque, è stata adottata anche da Biden su merci come le auto elettriche, indebitamente favorite dalla Cina con un forte intervento pubblico.
Altro fronte caldo è Taiwan: mentre i democratici promettono supporto militare all’isola secessionista in caso di aggressione da parte della Cina continentale, Trump si è scagliato contro Taipei, accusandola di minacciare i commerci statunitensi, e quindi appare dubbio che il Tycoon possa inviare, all’occorrenza, aiuti bellici.
Presidenziali USA 2024: un teatro di incertezza e violenza
Le prossime elezioni presidenziali rischiano di essere un crocevia determinante per il futuro, molto più che in passato. Sul fronte estero, si sta assistendo a un inasprimento delle tensioni internazionali tra Occidente e altre potenze che non si vedeva dalla fine della Guerra fredda, e l’approccio del nuovo inquilino della Casa Bianca sarà cruciale per determinare gli equilibri tra le forze in campo.
Tutto ciò riguarda da vicino anche l’Europa: un disimpegno internazionale degli USA priverebbe il Vecchio continente del suo principale ombrello di difesa, e a quel punto un’UE divisa e priva di politica estera e di difesa comuni si ritroverebbe fragile davanti alle mire di Mosca.
Non va assolutamente sottovalutata la polarizzazione ormai enorme tra gli schieramenti politici all’interno dell’America stessa. La tensione è testimoniata dai due attentati subiti da Trump, l’ultimo risalente ad appena pochi giorni fa. Queste elezioni saranno il termometro per misurare lo stato di salute della democrazia a stelle e strisce, quella che è definita, malgrado tanti difetti e criticità (a partire dall’influenza indebita di potenze straniere e lobby economico-finanziarie) come la più grande al mondo.
Un’ipotetica crisi della democrazia americana avrebbe un effetto-valanga su tutto l’Occidente, che perderebbe il suo principale punto di riferimento.
Tutti abbiamo negli occhi le immagini dell’assalto a Capitol Hill, a testimonianza che la democrazia è un bene fragile che non va mai dato per scontato.
La difesa dei diritti civili e politici dei popoli, a partire da quello statunitense, passa quindi dalla responsabilità e dalla coscienza di ciascun elettore.
Riccardo Minichella
Presidenziali USA 2024 – Uno scontro di civiltà? è un articolo di Riccardo Minichella. Clicca qui per altri articoli dell’autore! Se invece ti interessano le presidenziali americane, leggi questo articolo di Gabriele Cavalleri sull’attentato a Donald Trump, o quest’articolo di Matteo Minafra sul Project 2025.