CronacaPolitica

Il caso Boccia-Sangiuliano: caro ministro, il personale è politico

Sangiuliano Boccia copertina

Il caso scoppiato tra l’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e Maria Rosaria Boccia, ben oltre quello di cui si sta parlando negli ultimi giorni, non è – purtroppo – soltanto questione di gossip. Al centro c’è un affare tutto politico che cela l’arroganza del potere, il doppio standard del governo Meloni e altri aspetti decisamente preoccupanti. Alla fine, dopo le dimissioni del Ministro, resta l’impressione che ci sia qualcos’altro da dire che finora è rimasto nell’ombra…


Lacrime di coccodrillo

Con la vicenda Sangiuliano-Boccia non ci troviamo di fronte al tipico affaire di fine estate italiana, nemmeno davanti all’ultima uscita di un (ex) ministro che più volte ha fatto parlare di sé – e non onorevolmente –, ma ci imbattiamo in un caso tutto politico, gravemente rilevante, che ha determinato le prime dimissioni di un ministro del governo Meloni: se si ricorda che nemmeno Daniela Santanchè, accusata di truffa ai danni dello Stato, ha lasciato il suo incarico – scelta certamente opinabile, ma tant’è – allora ci si rende conto davvero che non può essere solo una questione di gossip.

Le reazioni dell’opinione pubblica in questi giorni sono state essenzialmente due: la curiosità e il grande seguito per uno scoop senza dubbio intrigante, da un lato; l’indifferenza e il fastidio per una questione marginale ingigantita dai media alla quale si è dato fin troppo spazio, dall’altro. L’intreccio privato sicuramente può attirare l’attenzione dei giornalisti e del pubblico a casa, ma è ragionevole pensare che non basti a spiegare il tempo, l’energia, la credibilità spese dalla Presidente del Consiglio, tanto più se si considera la reticenza di Meloni a cambiare la propria squadra di governo.

È evidente che il rapporto tra Sangiuliano e Boccia – di qualsiasi natura esso sia – nasconde qualcosa che compromette e imbarazza il governo, al punto da costringere il ministro a uno sproloquio sulla televisione pubblica (qui il video completo) in un tentativo maldestro di chiudere la vicenda sul piano personale: così si spiegano la “relazione affettiva”, le scuse alla moglie, persino le lacrime di coccodrillo – tutti dettagli che lo stesso Sangiuliano ha deciso di mettere in campo per primo.

Il governo Meloni: o come difendere l’indifendibile

Il problema è che questa storia di personale non ha più – e forse non ha mai avuto – nulla. Lo si intuisce in primo luogo dalla molteplicità di non-detti che continuano a emergere dalle allusioni di Boccia e che il ministro cerca di dissipare lasciando supporre l’esistenza di una relazione sentimentale; d’altra parte, le dimissioni, ovviamente necessarie per l’etica politica ma non affatto scontate per l’attuale governo, nonostante abbiano lasciato spazio chirurgicamente a una nuova rapidissima nomina, tradiscono l’immagine che si è tentato di vendere ai cittadini, per altro utilizzando il mezzo di comunicazione più presente nelle case italiane.

In altre parole, non ci si dimette perché si ha una relazione extra-coniugale: serve molto di più, soprattutto nel governo di Meloni, la quale fino a questo momento ha messo in atto una logica corporativa, ostinandosi a difendere l’indifendibile pur di non ammettere nomine mal assegnate.

Osservata nel dettaglio, la vicenda ha dell’inquietante. Ricostruendo i fatti, una persona senza competenze certificate, affianca il ministro della Cultura in eventi ufficiali (salvo accompagnarlo anche in occasioni private), viene in possesso di documenti riservati, ascolta sue telefonate, legge suoi messaggi, pubblica foto e video sul proprio profilo Instagram – il tutto pubblicamente, con la piena consapevolezza, autorizzazione e persino volontà del ministro stesso.

Storia di uno scandalo

Boccia rende nota la propria nomina a “consulente per i grandi eventi”, pubblicandone poi anche la prova, ma il Ministero la smentisce dichiarando persino di non conoscerla; la presidente del Consiglio convoca il ministro a Palazzo Chigi per un incontro di novanta minuti, in seguito al quale Meloni dichiara di “essere stata rassicurata” dal suo fedelissimo circa il non utilizzo di denaro pubblico, e Sangiuliano, spedito al tg1, racconta di avere avuto un rapporto affettivo con Boccia e chiede scusa a chiunque, tranne che ai cittadini e alle cittadine, nei cui confronti ha l’unica vera responsabilità.

Seguono due interviste alla dottoressa Boccia in cui emergono aspetti preoccupanti: non solo pagamenti del Ministero per trasferimenti personali ed e-mail ufficiali a lei indirizzate, ma anche un ministro sotto ricatto da parte di persone a lui vicine a cui avrebbe concesso agevolazioni, la presenza di una talpa nel Ministero, la negazione di una relazione sentimentale e il coinvolgimento di altre donne, la smentita della ricerca di un incarico da parte della dottoressa e l’accusa di un racconto solo parziale della verità – “Gennaro, sii sincero” – da parte di un ministro “eterodiretto”.

È evidente che il caso non si chiude e non si deve chiudere con le dimissioni del ministro: checché ne dica Sangiuliano, lui è ricattabile e non perché lo dichiara Maria Rosaria Boccia, ma perché sono i fatti a dirlo.

Anzi, si va oltre: il governo stesso è ricattabile e lo ha dimostrato Meloni quando ha tentato di mandare la palla in tribuna facendo raccontare a Sangiuliano la storiella del “rapporto affettivo” su quello che, coerentemente con quanto avvenuto finora, si conferma canale di espressione del governo, e, resasi conto che Boccia non sta a questo gioco e che il rischio è troppo grande, ha dovuto cedere e cambiare la propria squadra.

Arrampicatrice sociale, amante, spia

Se il tentativo è quello di bollare la vicenda come avventura sentimentale e di liquidarla nominando il sostituto Alessandro Giuli, riferire in Parlamento è il minimo che si deve pretendere per salvaguardare la dignità della prassi democratica.

Quello che – doveroso concordare con De Angelis – è uno “sputtanamento delle istituzioni”, sul piano internazionale e persino diplomatico considerato l’imminente G7 della Cultura, probabilmente copre qualcos’altro, qualcosa di più grave di una truffa ai danni dell’Inps, e andare fino in fondo è un imperativo politico prima che etico.

Sangiuliano Giuli.
Da sinistra, Gennaro Sangiuliano Alessandro Giuli (foto di Angelo Carconi/Ansa).

Oltre alla conferma che scegliere ministri sulla base di legami personali e non di competenze può avere conseguenze indesiderate, questa vicenda offre anche un’occasione per riflettere sul doppio standard adottato nel ricostruire le circostanze.

Hanno ragione Aprile, Telese e Boccia quando concordano nell’affermare che, qualora al posto di una giovane donna attraente si fosse trovato un uomo, un tale “Mario Rossi”, le cose sarebbero andate o, per lo meno, sarebbero state raccontate diversamente.

Da giorni Boccia è l’arrampicatrice sociale, l’amante, la spia che, per conto di qualcun altro – troppo inetta per ordire da sola una trama così articolata –, ha fatto cadere nel tranello “il povero Sangiuliano” che, si sa, ha sempre svolto egregiamente il proprio incarico, ma è pur sempre un uomo e al fascino di una bella donna non ha saputo dire di no.

Boccia è una “signorina che ha pescato a strascico”, mentre Sangiuliano è “il ministro che ha fatto tante cose interessanti”; lei è “la ragazzotta che si è sentita un viceministro e ha un po’ è esagerato”, lui il “ministro che ha avuto un incidente femminile”: in fondo, si sa che “le donne confondono il letto e l’ufficio, e poi pretendono di comandare anche lì”.

Sangiuliano Boccia foto 1.

Quando il privato è pubblico

È interessante osservare – magistrale il commento di Fiorenza Sarzanini a In Onda – il ribaltamento di prospettiva per cui l’opinione pubblica si chiede chi è lei, esige da lei delle spiegazioni, attribuisce a lei la responsabilità di essere entrata in possesso di informazioni riservate, di aver beneficiato dei fondi del Ministero per eventi personali, di aver affiancato il ministro senza avere competenze o titoli necessari, quasi quella immorale di aver spinto Sangiuliano a tradire la moglie; quando invece era Sangiuliano a essere ministro della Repubblica, ad aver giurato sulla Costituzione, ad averle assegnato l’incarico valutandola idonea a ricoprirlo, ad averle permesso di accedere alle stanze del Ministero e persino di pubblicare contenuti social che attestassero la sua collaborazione.

Si è di fronte a un gioco impari in cui lei è attaccata sul piano personale, lui è difeso in quanto politico e rivendica il personale come spazio privato. Per un ministro la distinzione politico/personale, pubblico/privato non può esistere perché la persona del ministro è come tale una persona pubblica.

Quando Sangiuliano va in televisione lo può fare in quanto ministro della cultura che, come tale, dispone di un potere comunicativo che l’altra parte non ha; si attacca Boccia per il suo utilizzo del profilo Instagram e si ritiene legittimo che il ministro si difenda su Rai1.

Gennaro Sangiuliano, nel corso dell’intervista rilasciata al tg1.

C’è ancora qualcosa di cui parlare

A questo si aggiunge la frase emersa dall’intervista di Boccia a La Stampa “Io sono il ministro, sono un uomo, io rappresento l’istituzione e in futuro nessuno crederà a tutto quello che tu dirai”: sono parole raccapriccianti che trasudano tutta l’arroganza del potere, un potere maschile che si addiziona a quello istituzionale; la parola dell’uomo che già si sente superiore e in più è anche ministro, contro la parola di una donna, che al confronto non vale niente e non ha nemmeno un titolo in mano.

Di nuovo, terribile caduta di stile di Sangiuliano, che però evidentemente ha anche qualcosa da nascondere: il fatto stesso che senta la necessità di rivendicare la propria posizione di potere per dissuadere Boccia a parlare – concezione strana di “rapporto affettivo” – indica che allora c’è qualcosa di cui parlare, qualcosa che l’ex-ministro non vuole che si sappia.

Sangiuliano e i suoi difensori hanno più volte tenuto a precisare che non c’è alcun reato, ma dimenticano che questo eventualmente dovrà essere accertato dalle autorità competenti, che non può essere lo stesso ministro a scagionarsi e anzi la premura del difendersi in assenza di accuse è forse indicativa di qualcosa in più.

D’altra parte, al centro del dibattito non è mai stata evocata la colpa di reato, quanto la responsabilità politica alla quale il ministro – e con lui tutto il governo – ha cercato di sottrarsi usando come scudo il piano personale. Tuttavia, è proprio sulla politicità del caso che deve rimanere l’attenzione.

Eleonora Pocognoli

(In copertina Gennaro Sangiuliano; fonte: Ansa)

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