Il primo libro della nuova casa editrice Mercurio Books ha fatto tanto parlare di sé: si tratta di “Maeve” di CJ Leede (Mercurio, 2024), un romanzo ambientato nella Los Angeles di Bret Easton Ellis. Non è un’opera perfetta, ma ha tanti pregi e tanti punti in comune con un film appena uscito al cinema, “MaXXXine” di Ti West (leggi la recensione di Vittoria Ronchi). Analoga, tra le altre cose, è l’idea che Hollywood sia un’entità viva e pulsante… e che talvolta uccida.
I bambini non lo sanno
Maeve Fly è una vera principessa; almeno, nella misura in cui è possibile esserlo nel mondo reale.
Cacciata dalla casa di famiglia diversi anni prima dell’inizio di questa storia, vive a Los Angeles insieme alla nonna Tallulah, famosa attrice della Hollywood degli anni d’oro, e al suo famiglio, Gatto Lester, e lavora nel “posto più felice del mondo” (p. 12), ossia in un parco divertimenti modello Disneyland.
Il suo ruolo? Interpretare la principessa di ghiaccio (cioè Elsa di Frozen) e rendere felici i bambini, che spesso fanno ore di fila pur di scambiare due parole con lei.
Il suo è un personaggio potente, che piace “alle ragazze devastate”, perché è sia principessa che cattiva (p. 14).
Al suo fianco Kate, nella veste della sorella minore, più piccola di un anno, con un unico sogno nella vita: diventare una vera attrice ed entrare nella Hollywood della leggenda, far parte di una storia patinata da riviste di gossip e vestiti d’alta moda, feste infinite e sfilate sul red carpet.
Nell’attesa, interpreta la versione povera di Anna di Frozen.
Con lei Maeve gioca a fare la principessa di un mondo che non c’è, e paga ed è pagata per interpretare questa parte; intanto, nasconde i suoi segreti, le sue oscurità, finge felicità per la felicità altrui e vive i piccoli grandi drammi del mondo sempre più solitario e individualista (troppo cinico, troppo freddo, troppo insensato) di Hollywood.
E di notte uccide – ma questo, in fondo, è bene che i bambini non lo sappiano.
Ogni principessa ha il suo principe
Il problema centrale di Maeve è il grande senso di vuoto che sembra non lasciarla mai. Quando entra nella sua vita Gideon, fratello maggiore di Kate, brillante studente di Harvard e star dell’hockey sul ghiaccio con un passato oscuro, per un breve momento si attenua. Ma per poco.
In narrativa ci sono fondamentalmente due strade per raccontare la reazione di un personaggio come Maeve al primo (vero?) amore: il rifiuto, seguendo l’esempio delle austere e odiose protagoniste dei romanzi di Ottessa Moshfegh, lontane da tutto e da tutti, finanche loro stesse, in una torre d’avorio che nutre il loro autocompiaciuto narcisismo (Il mio anno di riposo e oblio, Feltrinelli, 2019: leggere per credere); l’accettazione, senza alcun giudizio morale da parte dell’autore, ma lasciando al lettore l’ardua sentenza (leggi alla voce ‘Bret Easton Ellis’, o poco più avanti).
Ecco, CJ Leede vorrebbe seguire la seconda strada, perché sa che è quella più ‘letteraria’ ed efficace, ma Maeve le sfugge e imbocca la prima; e su questo scarto, sulla sua non completa padronanza del testo e dei personaggi, si gioca parte di ciò che non è riuscito di questo romanzo.
Il risultato è che il rapporto tra Maeve e Gideon sembra falso, artificiale, imbastito senza troppa convinzione da un’autrice che vuole farci credere che anche la sua protagonista sia in grado di provare emozioni; ma non puoi parteggiare per la loro storia d’amore se di fatto storia d’amore non c’è.
Ma si sa, ogni principessa che si crede tale ha il suo principe – e viceversa: per ogni bella ci sarà una bestia e per ogni Mina Murray un Conte Dracula pronto a morderla (per amore, s’intende), checché ne dica Stoker. Ma siamo sicuri che i ruoli siano ancora proprio questi?
Hollywood Hollywood
In secondo piano anche se al centro di Maeve di CJ Leede, raccontato in prima persona (“questa è la mia storia, e voi non potete controllarla”, p. 12), sta una Los Angeles moderna e allo stesso tempo classicissima, uscita direttamente dagli anni Ottanta del secolo scorso.
Del resto, “tanta parte di Los Angeles dà l’idea di essere in un film o al parco […]. La gente viene qui per la bellezza dell’artificio, per il kitsch che fa sembrare la vita un po’ più sopportabile” (p. 39). Così, pagina dopo pagina, Maeve scava nelle contraddizioni del suo mondo: cerca di decostruire il paradiso californiano in cui vive, fa a pezzi il sogno americano nei bagni dello squallido Babylon o bevendo una Piña Colada al bancone di un bar di infimo livello, mentre in sottofondo suona All of me di Billie Holiday o Be true to your ghoul dei Ghouls. Quasi che la vita non le appartenga.
Ovvio: la “città degli angeli” può essere popolata anche dai démoni, è la lezione di Dan Brown. Nelle strade ampie della città che trasforma i sogni in realtà, nelle case che sembrano toccare le nuvole, tra palme esotiche e teatrali e fiori che si schiudono solo al calare del giorno, nelle feste disperate e nei bar di periferia, in un mondo parallelo, notturno, sfrenato e senza scrupoli dove esistono soltanto alcol, sesso e droga, dove la gente finge “molto di più”, “così tanto da trasformare la finzione in autenticità” (p. 25), si nascondono tanti mostri; e alcuni di questi di giorno mettono i panni delle principesse.
Non saresti in grado di distinguerli, ma probabilmente non lo saprebbero fare neanche loro – “cadaveri che camminano nei loro abiti eleganti” (p. 25); e anche questa è la magia del cinema. Benvenuti a Hollywood!
Cantami… l’amore e il furore
La protagonista di Maeve di CJ Leede è un Patrick Bateman del nuovo millennio, ma a differenza del protagonista di American Psycho (1991, ora Einaudi, 2014) lei prova fino in fondo ogni emozione, forsennatamente, e forse per questo si fa molto più male: ogni volta che la vita la abbatte, lei si rialza e cerca un modo per vendicarsi. Se Patrick uccide per noia, Maeve uccide per rabbia; la differenza è sottile.
Sullo sfondo il suo grande, enorme, senso di vuoto, il bisogno tutto giovanile di essere visti che si scontra con la totale incapacità dei genitori di vederla e che lascia ferite insanabili.
Ma nel cuore di Maeve, nonostante tutto, c’è tantissimo spazio per l’amore; è un amore particolare, ma c’è: a modo suo ama la nonna, ama Kate, ama la città, il lavoro, il suo micro-mondo, il suo vestito da principessa. A un certo punto, per poco, ama anche Gideon.
E poi ama Halloween, forse più di ogni altra cosa:
A Halloween [scil. le persone] accettano di trasformarsi nelle creature oscure e proibite che vorrebbero essere ma che rifiutano tutto il resto dei giorni. A Halloween accolgono del tutto la loro vera natura. Le parti nascoste del mondo vengono messe in mostra, anche se solo per una notte. E le creature veramente oscure sono un po’ meno sole.
CJ Leede, Maeve, p. 172.
La notte di Halloween, in fondo, è il momento migliore per tirare fuori gli scheletri dall’armadio, confonderli con le decorazioni che riempiono le case e le strade e i locali, e sentirsi – per una volta – normali, al proprio posto. Si tratta di un’impressione momentanea, ma tant’è.
American Psycho: di nuovo?
Forse il difetto principale di Maeve di CJ Leede è l’assenza di una identità precisa, al di fuori delle citazioni, dei rimandi, dei palinsesti cui – più o meno direttamente – fa riferimento; non prende mai una voce propria, ma parla una lingua che altri hanno creato e utilizzato meglio.
Il più evidente è American Psycho, ma il discorso si può allargare a tutta la bibliografia di Ellis (soprattutto Le schegge, Einaudi, 2023), dove ha creato questa Los Angeles. Maeve sembra voler a tutti i costi imitare il suo Patrick Bateman: ne ricalca i pensieri, gli obiettivi, le azioni, e non riesce ad andare oltre.
CJ Leede, con Maeve, cerca di fare un ritratto di una “nuova generazione perduta”, per usare le parole con cui Fernanda Pivano ha descritto l’opera dello stesso Ellis, ma si incarta su una storia che non è la sua, su una generazione che non è la sua; alla fine ci si chiede se stia parlando del mondo di oggi o se stia soltanto raccontando quello di quarant’anni fa.
Gli altri punti di riferimento – citati insieme ad American Psycho in esergo – sono Memorie dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskij (1864, leggi l’approfondimento), il libro con “l’antieroe di tutti gli antieroi” (così dice Maeve, p. 155), e Storia dell’occhio di Georges Bataille (1928/1947), che confeziona il modello perfetto per la nostra protagonista: Simone.
Alla fine, comunque, non si può non tifare per Maeve: per le sue ragioni (che poi sono torti), per i suoi torti (che sono anche ragioni), per le sue delusioni e per il suo bisogno di vendetta. Perché alla fine di questo Halloween non rimarrà niente, e il sole che si arrampicherà sull’orizzonte la mattina del giorno dei morti laverà via il sangue dalla coscienza.
Maeve sarà ancora lì – gli altri saranno vivi o morti?
…e alla fine arriva MaXXXine
In questo mondo, finché non sarai conosciuto come un mostro,
Bette Davis
non diventerai mai una star.
Stacco.
1985. La scena si apre su una ragazza bionda che arriva a Hollywood per partecipare alle audizioni di un film horror intitolato The Puritan II.
Siamo sempre a Los Angeles, ma si tratta della prima sequenza di MaXXXine (2024), il nuovo horror scritto e diretto da Ti West, séguito di Pearl (2022) e X (2022), al cinema in questi giorni (leggi la recensione a cura di Vittoria Ronchi).
La ragazza si chiama Maxine (Mia Goth) e, come Kate, vuole soltanto diventare famosa. Attraversa Los Angeles sulle note di Gimme all your lovin’ dei ZZ Top, mentre i telegiornali parlano solo degli efferati omicidi compiuti da un serial killer ribattezzato Night Stalker, come nella migliore tradizione horror.
Quando l’investigatore privato John Labat le dice “hai il diavolo dentro di te”, in un qualche modo ha ragione, e la furia che vede negli occhi di Maxine è la stessa che riempie quelli di Maeve: rabbia cieca, nata nel primo caso dall’ambizione, nel secondo dalla privazione. Entrambe non possono far altro che andare avanti e scontrarsi con il loro passato, con i fantasmi e le paure che non sanno neanche di avere, e che si sono mangiate un pezzo alla volta ogni parte di loro. Sopravvivranno?
L’unica certezza, viva e palpitante, in entrambe le storie è il ruolo di Hollywood, che diventa un vero e proprio personaggio, capace di sorprendere, sedurre, manipolare, e che sta in scena tanto quanto le protagoniste di Maeve e di MaXXXine, se non di più; ed è in grado di reggere i due impianti narrativi. Se questo libro e questo film in fondo funzionano, è pure merito suo.
E uccide anche: ma questo è scontato.
Davide Lamandini
(In copertina e nell’articolo immagini di Marta Blue, dalla serie Darkness is Colorful, scelta da Mercurio Books per Maeve di CJ Leede)