Cultura

Cosa succede se “La ricreazione (non) è finita” di Dario Ferrari

La ricreazione è finita copertina

Un po’ romanzo universitario, un po’ romanzo di formazione, “La ricreazione è finita” di Dario Ferrari (Sellerio, 2023, Premio Flaiano Narrativa e libro dell’anno Fahrenheit Radio3) è una delle migliori uscite degli ultimi tempi e, tra giochi di potere in università, ricerche in biblioteche dimenticate, cellule terroristiche anarcoidi e tanta – amara – ironia, getta un filo di luce (e molte ombre) sul mondo dell’accademia italiana.


A volte uno si crede incompleto, ed è soltanto giovane.

Italo Calvino, Il visconte dimezzato

Diventare adulti è una cosa difficile.
Ogni generazione lo sa a modo suo, e deve fare a modo suo i conti con il mondo che la circonda: che la salva e la soffoca.

Ritratto del protagonista da giovane

Marcello Gori ha trent’anni, una laurea fuori corso in Lettere, un’esistenza assolutamente (ed eccessivamente) normale.

Vive ancora con la madre, è fidanzato con Letizia (più giovane di lui, prima della classe di Medicina: ogni tanto Riccioli d’oro, ogni tanto Grillo Parlante), la sua unica prospettiva lavorativa è ereditare il bar gestito dal padre; cosa che sta cercando in tutti i modi di evitare.

Nel corso di una vita vissuta nell’inerzia non ha mai preso una vera decisione: si è lasciato trasportare dalla corrente e, ogni volta che non ha scelto, è stato il mondo a farlo per lui.

Se finisce a vincere un dottorato di ricerca in Italianistica all’Università di Pisa è per un “accrocchio di contingenze fortuite” – come sostiene lui, voce narrante della storia – “di posizioni sostenute al di là della ragionevolezza, per mero puntiglio, e una congenita incapacità di valutare le conseguenze delle mie azioni” (p. 12). In sintesi, per puro caso.

La ricreazione è finita di Dario Ferrari: copertina libro.
Autoritratto di Jamie Coreth, 1989, in copertina a La ricreazione è finita di Dario Ferrari (Sellerio, 2023).

Quando poi si ritrova a discutere del tema di ricerca di questo dottorato, una volta che il Chiarissimo prof. Raffaele Sacripanti – ordinario di Letterature comparate e ‘sovrano’ indiscusso del dipartimento di Italianistica dell’Università di Pisa – gli boccia la sua proposta (Borges e Unamuno lettori del Chisciotte [sic!]), Marcello si vede rifilato un progetto su uno scrittore sconosciuto di nome Tito Sella, di professione terrorista – stando a quanto dice Wikipedia.

Un rivoluzionario di provincia

Così, Marcello inizia a fare delle ricerche su Sella e scopre che l’uomo ha fatto parte di un gruppo anarchico collegato alle Brigate Rosse molto famoso alla fine degli anni Settanta a Viareggio (almeno, nella Viareggio di Dario Ferrari), la brigata Ravachol, protagonista di quello che è passato alla storia come il “massacro di Gombitelli”, punto più alto e atto conclusivo della loro esperienza militante; ultima azione prima che Sella venisse arrestato e condotto in prigione.

La finestra aperta da La ricreazione è finita sugli Anni di Piombo è una parentesi di provincia: mentre altri romanzi (uno su tutti: Mordi e fuggi di Alessandro Bertante) si sono concentrati sui crimini più efferati e sulla nascita, sulle ragioni, sulle contraddizioni delle Brigate Rosse, Dario Ferrari preferisce offrire il racconto atipico (irreale ma non irrealistico) di Tito Sella e dei suoi amici “rivoluzionari di provincia” (p. 235) della brigata Ravachol, lontani dalla fama, dai riflettori, dalla Storia.

Tito, nello specifico, faceva la lotta armata “un po’ per convinzione, un po’ per gioco e un po’ per noia” (p. 323), come tanti giovani di quei tempi. Lui che, figlio di un periodo storico che ormai ha già fatto tutti i conti – e tutti i patti – con il Sessantotto, voleva soltanto “mantenere la lotta su un piano metaforico, voleva fare la parodia della rivoluzione” (p. 340).

Anni di piombo.
Milano, 14 maggio 1977: Giuseppe Memeo punta una pistola contro la polizia durante una manifestazione di protesta; foto: Paolo Pedrizzetti/pubblico dominio.

Quando il manoscritto non c’è: la Fantasima

Se Alessandro Manzoni ha aperto una fortunata pagina di Storia della letteratura italiana (una storia che non parte da lui ma in lui si risolve e affonda le radici in Cervantes e Scott, attraverso Cuomo e Foscolo, per culminare poi – ultimo ma non ultimo – in Eco) con il ritrovamento di un manoscritto altrimenti perduto, Ferrari nella Ricreazione è finita costruisce la missione di Marcello – ossia l’articolazione della tesi di dottorato – intorno a un romanzo che non solo non verrà mai ritrovato, ma probabilmente non è mai stato scritto.

In questa finzione narrativa il libro si intitola La Fantasima e sarebbe l’autobiografia di Tito Sella. Da poco hanno aperto il suo archivio personale, conservato presso la Bibliothèque Nationale de France, sede Mitterrand, e forse tra taccuini fittamente annotati e pagine di diari si trova un segreto in grado di svoltare le ricerche del giovane dottorando.

Immagine: Alf Redo/Unsplash.

Eppure, più di tutto il resto, a Parigi – nel corso del suo terzo anno di ricerca – Marcello cercherà in ogni modo di trovare se stesso: sarà nel cuore pulsante della Ville Lumière che in un qualche modo dovrà dare un senso alla sua vita, e quindi alla sua famiglia, al suo amore, al suo dottorato.

Storia di Emma (e di Rosa, e di Tea)

In principio – ma solo per cronologia – c’è Emma, la ragazza di cui Tito Sella si innamora e la sua compagna di lotta nella brigata Ravachol. È la “sintesi di tutto ciò per cui vale fare la rivoluzione” (p. 266): “feroce, radicale, assoluta”, “impermeabile al compromesso e a qualsiasi forma di buon senso”, “eccessiva e impietosa”, “pura e terribile” (p. 322). Lei è la rivoluzione, lui il letterato che si fa sedurre e ne resta bruciato.

Poi c’è Rosa, la protagonista del libro meno conosciuto di Tito e più studiato da Marcello, Il sapore della neve, giusta fino alla crudeltà, solo una delle tante “maschere di Emma” (p. 382) che il giovane terrorista decide di nascondere sotto altri nomi dopo il massacro di Gombitelli.

Infine, nel presente, da un momento all’altro irrompe Tea e si guadagna in poco tempo il centro del mondo di Marcello, almeno da un certo punto del romanzo in poi. Dario Ferrari la eleva e poi la decostruisce, mentre smonta e rimonta alcune pagine mirabili di René Girard (Menzogna romantica e verità romanzesca, 1981): “mi innamoro di una donna perché in lei vedo il mondo a cui vorrei appartenere, la vita che vorrei fosse la mia” (p. 381). Un po’ Carrère, un po’ Gončarov.

Brigate rosse donne.
Cinque attiviste delle Brigate Rosse, 9 gennaio 1984 (fonte: Tortuga Magazine).

Queste tre donne di La ricreazione è finita in realtà sono dei fantasmi: parlano, ché non c’è fantasma che non parli; entrano (all’improvviso) ed escono (altrettanto all’improvviso) dalle vite dei protagonisti maschili: le controllano, le sconvolgono, le rivoltano.

E, quando se ne vanno, lasciano un segno indelebile, così difficile da cancellare e allo stesso tempo così improbabile, assurdo, irreale che a certo punto viene da chiedersi se siano esistite davvero nella realtà. Ma qual è la realtà? quale il romanzo?

Da Marcello a Tito: un diario minimo

Marcello si immerge nei libri di Tito Sella con un entusiasmo quasi disperato, come se questi testi non fossero soltanto opere da studiare, ma porte d’ingresso per un’altra dimensione, un mondo in cui rifugiarsi e da esplorare e comprendere in tutte le sue sfumature. Questo studio dettagliato è una forma di dialogo intimo con l’autore, una connessione che va oltre le parole stampate sulla carta.

Poi, preso dall’ispirazione, si trova a riscrivere la storia di Tito Sella. Si pone come un narratore inaffidabile, un interprete che gioca con la narrazione, manipola i fatti e le verità, come se stesse costruendo un racconto che riflette più la sua personale visione del mondo che quella di Tito. In questo processo, Marcello reinterpreta la storia attraverso il proprio filtro, e ne estrae un nuovo significato, una nuova prospettiva che unisce la sua esperienza alla biografia dell’autore.

Marcello e Tito sono in fondo la stessa persona in due epoche diverse, separati nel tempo ma accomunati da un unico destino. Non sono vincitori che scalano le gerarchie sociali, ma non sono neanche perdenti travolti dallo Stato e dal Sistema: stanno nella “categoria irrisolta” degli “incerti, dei dubbiosi” (p. 463), sono eternamente in mezzo e nel mezzo si sentono: un po’ da una parte, un po’ dall’altra, mai centrati fino in fondo.

Chi non sa decidersi o decide solo a metà, chi vorrebbe essere intero ma non ne ha la forza, chi manda tutto a monte all’ultimo metro perché la sua vocazione non è il trionfo ma l’inseguimento di un fantasma, chi alla fine potrà soltanto restare a guardare, o a raccontare.

Dario Ferrari, La ricreazione è finita, p. 463.

La ricreazione (non) è (ancora) finita

“A volte uno si crede incompleto, ed è soltanto giovane”, dice Marcello Gori citando Italo Calvino in fondo al romanzo, ma lui si sente sempre più incompleto (“la velleità abortita, modestamente, c’est moi”, parole sue a p. 462). È l’unica certezza che gli resta dopo i tre anni di dottorato, dopo Letizia e dopo Tea, dopo il tête-à-tête continuo ed estenuante con la storia di Tito Sella.

In aggiunta, non è più giovane. Ha trentatré anni – la stessa età in cui è morto Gesù, o Alessandro Magno, o John Belushi –, una vita ancora da costruire e la perenne e inespressa sensazione di essere sempre oltre qualcosa, senza qualcosa, al di là di qualcosa.

“A volte uno si crede giovane, e invece è soltanto incompleto”, chiosa alla fine. Almeno Tito, senza neanche rendersene conto fino in fondo, con tutto il carico di questioni irrisolte, errori e promesse non mantenute, si è schiantato contro il suo posto nel mondo, ossia la prigione; la sua ricreazione è finita, insieme al suo sogno, al suo ideale, alla sua illusione – che poi erano il sogno, l’ideale e l’illusione di Emma.

A Marcello cosa resta? Quando finirà la sua ricreazione?

Davide Lamandini

(In copertina particolare da Autoritratto di Jamie Coreth, 1989, scelto da Sellerio per La ricreazione è finita di Dario Ferrari)

Sull'autore

Classe 2000. Mi piacciono le storie, qualsiasi sia il mezzo che le fa circolare o la persona che le racconta. Credo nella letteratura, nel tempo che passa e nelle torte al cioccolato per le giornate più tristi. Aspetto con impazienza domani e, nel frattempo, leggo, scrivo e traduco qualche lingua morta persa in un passato lontanissimo.
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