Interviste

Il vangelo dell’Umarell, secondo Danilo Masotti

Danilo Masotti

Danilo Masotti e Dario Vergassola hanno dato il via alla rassegna Giorni perfetti di Mismaonda. Lorenzo Bezzi ha avuto l’occasione di parlare con Danilo Masotti di Umarell, Bologna e lentezza.


Lorenzo Bezzi: Oggi, insieme a Dario Vergassola, uno dei comici più noti in Italia, inauguri la rassegna Giorni Perfetti, organizzata da Mismaonda per far riflettere sulla lentezza. Cosa ti aspetti da questo dialogo?

Danilo Masotti: Mi aspetto di illustrare agli Umarell chi sono gli Umarell, perché vedo che si sta riempiendo tutto quanto di Umarell: tutte le sedie sono occupate, però ai lati ci sono gli Umarell che tatticamente si sono già posizionati; quindi, gli Umarell sentiranno parlare di loro, interverranno e si divertiranno, soprattutto le Zdaure, che vedo che ce ne sono tantissime.


L.B.: C’è differenza tra Umarell e Zdaure?

D.M.: Sì, il gender è importante in questo caso. L’Umarell è l’Umarell, quello che io ho già narrato nei miei libri, le Zdaure sono narrate anche loro, perché dietro a un grande Umarell c’è sempre una grande Zdaura. Poi le Zdaure durano di più degli Umarell, questo è un dato molto importante, sono come l’orsetto della Duracell.

Sono più longeve? Assolutamente sì, e poi sono espulsive, cioè mandano fuori l’Umarell, lo telecomandano, lo mandano a fare delle commissioni e non lo vogliono in casa, perché è un po’ uno stracciamaroni.

Danilo Masotti
La locandina della rassegna Giorni perfetti. Foto: Mismaonda.

L.B.: Visto che tu hai diffuso il termine in tutti i tagli degli Umarell, ci descrivi la giornata perfetta dell’Umarell e che cosa è per loro la lentezza?

D.M.: La giornata perfetta dell’Umarell è per sua natura lenta. L’Umarell si sveglia presto, fa una colazione base e il suo obiettivo principale è essere il primo della fila: non importa quale, deve essere il primo alla Coop, dal dottore, alle poste. Quella è già la prima parte della giornata. Dopo aver fatto queste mansioni, l’Umarell si trova delle ore da riempire. Arriva l’ora di pranzo verso mezzogiorno, mezzogiorno e mezzo, non è mai tardi.

Segue una pennica e dopo di nuovo fuori: ovviamente, dipende dalla stagione. Se ci sono delle condizioni climatiche estreme l’Umarell cosa fa? Utilizza molto anche il centro commerciale, perché d’inverno fa caldo e d’estate fa fresco. Poi, torna a casa presto; guarda ancora la televisione e si ingastrisce, si arrabbia e poi va a letto perché poi cosa me ne frega.


L.B.: Secondo te, cosa dovrebbero reimparare le nuove generazioni dagli Umarell e, secondo te, come sarà l’Umarell di domani rispetto a quello di oggi?

D.M.: Le nuove generazioni dagli Umarell devono imparare principalmente questa lentezza, non la frenesia; devono imparare a gestire molto meglio di loro la tecnologia.

Il vero Umarell non ha nemmeno il Bancomat, è analogico, quindi mette nei casini il sistema. I giovani dovrebbero osservare l’Umarell e capire che si può vivere anche in una maniera differente.

L’Umarell di domani, rispetto all’Umarell di oggi, sarà molto differente perché l’Umarell di una volta già alla mia età – come ti ho detto, ho 56 anni – era in pensione anche da 5 anni e aveva davanti a sé 30-40 anni di vita.

Il nuovo Umarell, invece, la pensione se la scorderà. I nuovi Umarell, comunque, si trovano già adesso nelle piazze virtuali di Facebook, che è notoriamente il social network degli Umarell al momento.


L.B.: Quindi, te li aspetti tutti lì?

D.M.: Me li aspetto così, me li aspetto tutti connessi, me li aspetto a mandarsi messaggi su Whatsapp col buongiornissimo. Diciamo che i nuovi Umarell sono quelli che hanno già dalla mia età in su. Io, comunque, non auguro a nessuno di avere un genitore o un nonno alle prese con la tecnologia.

Questi sono dei problemi perché ci sono degli smart Umarell che vogliono utilizzare questi strumenti, ma non sono cosa loro e quindi i giovani devono diventare i loro tutor: sono delle situazioni che non auguro a nessun giovane.


L.B.: Tu hai coniato questo termine nel 2005, quando hai conosciuto il primo Umarell. Cos’è che ti ha colpito di questa persona?

D.M.: Il primo Umarell – l’Umarell Zero – che ho visto e ho raccontato anche nei miei libri, l’ho conosciuto mentre aspettavo un mio cliente in un parcheggio. L’Umarell era arrivato col suo cane e guardava in maniera sospettosa quello che stavo facendo: stavo scattando delle fotografie e mi ha chiesto cosa stessi facendo lì.

Questa cosa mi aveva colpito molto. Quell’Umarell mi fece venire in mente tutti gli Umarell che avevo visto precedentemente ma che nessuno aveva mai chiamato nel modo in cui li ho chiamati io, nel senso che non ho inventato gli Umarell, perché loro esistevano già, ma non esisteva una parola che li definisse per intero. Adesso la parola Umarell indica sul dizionario l’anziano urbano con le mani dietro la schiena che guarda i lavori stradali, mentre prima era dispregiativa, dato che indicava un uomo da poco.

Io ho cercato di valorizzare la figura del pensionato urbano che va in giro e osserva la città: ci ho scritto tre libri! Inoltre, ho sviluppato tutte le skill degli Umarell perché sono un valore, sono un patrimonio dell’UNESCO insieme ai portici.


L.B.: Da quel momento in poi hai identificato questa categoria di persone con questo termine: com’è nata l’idea di fare il blog e poi i tre libri?

D.M.: L’idea è nata spontaneamente, come tutti i progetti che faccio. Io lavoro dal 1995 nel mondo di internet e della comunicazione; prima facevo il cantante, quindi mi è sempre piaciuto raccontare storie e scrivere dei testi.

Nel 2003 ho aperto un blog per la prima volta in vita mia e mi sono divertito molto, soprattutto con il secondo blog, Lo spettro della bolognesità, aperto alla fine del 2004.

Si trattava di un giornalino che parlava della città di Bologna con uno strumento che all’epoca era all’avanguardia: oltre ad avere tanti follower, fu proprio in questo blog che parlai per la prima volta degli Umarell e lì mi resi conto di aver aperto il cuore di tutti quanti.

Avevo usato questa parola, e tutti hanno cominciato a dire: «Ah sì, ricordo che gli Umarells sono sempre stati questi». Perciò, è nato tutto così, per caso.

Di solito, comunque, faccio degli esperimenti con la rete, che uso proprio per fare una sorta di indagine di mercato. Quindi, cosa succede? Succede che, da Umarell, vado nella piazza virtuale di Facebook e lì intavolo delle discussioni: come gli Umarell in piazza, si parla di vari argomenti, e in questo modo incontro persone con pensieri diversi dal mio, incontro persone che nella vita non frequenterei mai; vedo come ragionano, cosa dicono.

Successivamente, elaboro queste chiacchiere nei libri che scrivo, e so che il libro comunque funzionerà. Anziché fare tante chiacchiere a vuoto, come capita spesso, cerco di ottimizzare e di tirar su quello che c’è di buono, magari provocando anche un po’ la comunità.

Sì, io uso sempre la provocazione come stile, e poi cosa succede? Ci sono delle persone che magari non mi conoscono, leggono la provocazione, la prendono di petto e mi bloccano immediatamente o mi offendono: questa cosa fa divertire molto chi mi conosce. In queste piazze virtuali succede di tutto; Facebook diventa un bar sempre aperto dove incontrarci, e da lì nascono tante idee nuove.

Io uso la rete proprio per raccogliere delle idee perché spesso sono a casa da solo, dato che lavoro da casa da vent’anni: mi trovo a lanciare un sasso o una rete, pesco e scrivo in un post alcune cose che succedono. Alcune volte scrivo un post che secondo me è bellissimo e non lo calcola nessuno; altre, invece, scrivo una cosa messa lì, un po’ a caso, e succedono delle cose, come ricevere più di mille commenti.


L.B.: Hai menzionato Bologna, di cui parlavi nel tuo blog dal 2003. Tu sei un bolognese DOC, infatti sei diventato un’icona per i bolognesi stessi. Secondo te, Bologna avrebbe bisogno di rallentare e di riscoprire la lentezza oppure c’è un equilibrio da parte dei bolognesi?

D.M.: Secondo me l’equilibrio è ancora buono; il grosso difetto che c’è in questo periodo e riguarda un po’ tutti è la nostalgia paralizzante. Questa nostalgia ti fa pensare che una volta si stava meglio, indipendentemente dall’età.

E alla fine, quando era il periodo migliore? Quando si era bambini o si era ragazzi, fino a che non si è andati a lavorare, quello era il periodo migliore della vita di ognuno. Ad esempio, la musica era migliore in quel periodo: il mio meglio è stato negli anni ’80; per qualcuno che ha 10 anni meno di me, è stato negli anni 90. Attualmente Bologna è piena di cantieri e gli Umarell sono molto felici: ci sono diversi lavori per una città del futuro, per il tram ad esempio.

Tante persone – soprattutto le più agé – si professano contrarie al tram. In realtà, tutto cambia; secondo me è una bella idea, poi vedremo. Te lo dico da persona che non lo userà mai, però è la città che cambia. Solamente in questi ultimi 5 anni la città è cambiata tantissimo: quando ci sono dei cambiamenti bisogna elaborarli, farli propri e capire dove stare.

Ormai basta qualsiasi piccolo cambiamento, come cambiare un senso unico a una strada, e la gente va giù di testa: queste cose diventano anche divisive, tra chi è pro tram e chi è contro il tram. Insomma, bisogna analizzare e capire i vari cambiamenti.


L.B.: Per concludere, all’inizio ho chiesto cosa sia per gli Umarell la lentezza; ora ti chiedo cosa rappresenta per te la lentezza.

D.M.: Cosa rappresenta per me la lentezza? Io faccio una vita abbastanza lenta: significa godere veramente delle piccole cose, godermi questa città: stasera c’è questo evento, ma in contemporanea ce ne sono altri trenta. Quindi, la lentezza è prendersi una pausa, uscire, non aspettarsi comunque che tu debba fare chissà cosa.

Vivendo lentamente, tu ti guardi indietro e ti rendi conto di aver fatto tante cose; se invece fai le cose con la frenesia, ti ritrovi dopo vent’anni a chiederti cosa hai fatto nella vita. Assolutamente niente.

Lorenzo Bezzi

(In copertina Danilo Masotti. Foto: Il Resto del Carlino)


Giorni perfetti è una rassegna di cinque incontri sulla lentezza a cura di Mismaonda.

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