Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l’occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all’infuori del ricordo di qualche nome […]. Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
Manifesto della razza, 1938, paragrafo 9.
Come cambia il razzismo
Se si scrivesse oggi una versione aggiornata del Manifesto della razza, ci sarebbero sostanziali differenze rispetto all’originale. Per prima cosa, del breve inciso che minimizza i ben due secoli di presenza araba in Sicilia non resterebbe alcuna traccia. E poi, soprattutto, gli ebrei non sarebbero più l’oggetto dell’odio razziale espresso nel manifesto in quanto ormai sono entrati a pieno titolo nella ‘razza bianca’.
È da decenni che tutti i più eminenti razzisti europei e nordamericani hanno messo in soffitta l’astratto e fumoso antisemitismo per concentrarsi su altre forme d’odio, più vicine ai bisogni dei comuni cittadini.
In particolare, a unirli è l’odio verso gli arabi e i musulmani: non solo protagonisti delle nuove ondate migratorie ma, secondo lo stereotipo, tutti potenziali terroristi. Così, l’internazionale razzista ha eletto come suo Stato-guida Israele.
Il bastione dell’Occidente in terra barbara è diventato per loro un modello a cui ispirarsi per l’apartheid, il colonialismo e la pulizia etnica degli “animali umani” dalla pelle olivastra che vi dimorano accanto. Vivere oltre i confini della civiltà, infatti, è, almeno dai tempi del Far West, un sogno proibito dei razzisti più estremi in quanto permette di sfogare la propria violenza nell’impunità più assoluta.
Tutti uniti contro i nuovi barbari
La vita di un barbaro non vale quanto la vita di un bianco. Lo hanno dimostrato i nostri politici negli scorsi anni quando, dopo ogni scontro in cui perdevano la vita in media venti palestinesi per ogni israeliano, questi si schieravano convintamente dalla parte dello Stato ebraico, chiedendo sempre lo “stop al terrorismo”, ma mai lo stop all’occupazione.
Una posizione che ha unito sotto la stessa bandiera tutte le principali forze politiche e testate giornalistiche del nuovo bipolarismo odierno, liberal-oligarchici e populisti conservatori. Se, tuttavia, nel periodo di bassa intensità del conflitto era possibile nascondere il problema sotto il tappeto, ora che la guerra è tornata sta riemergendo anche questa folle contraddizione.
In Francia, la marcia contro l’antisemitismo dello scorso 12 novembre ha visto la partecipazione di Marine Le Pen, il cui partito di estrema destra ha una lunga storia di dichiarazioni antisemite. In Italia, alla micro-manifestazione di Roma del 5 dicembre, gli oratori più acclamati erano Ignazio La Russa e Matteo Salvini.
Negli USA, infine, tra la richiesta di un muro al confine con il Messico e il sostegno incondizionato alla mattanza di afroamericani da parte delle forze dell’ordine, gli aiuti a Israele sono la priorità del momento per il Partito Repubblicano.
Comune a entrambe le parti politiche è la retorica dello scontro di civiltà, seppur con sfumature leggermente diverse. Secondo le nuove destre occorre sostenere Israele per combattere il terrorismo e difendere le “radici giudaico-cristiane dell’Occidente” – proposito piuttosto bizzarro, dal momento che nessuno nella storia ha discriminato gli ebrei quanto lo hanno fatto i cristiani; secondo gli pseudo-progressisti, invece, le bombe israeliane ci proteggono dalla sharia e da una nuova terribile ondata di antisemitismo.
Disinnescare la propaganda suprematista
Ma come si esprime l’antisemitismo, a parte che con qualche scritta sui muri (probabilmente opera di piccoli gruppi a scopo di destabilizzazione) e con le urla di un paio di esaltati a una manifestazione? E quante persone hanno assistito, davvero, nel corso della propria vita, ad almeno un caso di antisemitismo?
A queste domande poco politicamente corrette è difficile ottenere una risposta e ciò non contribuisce alla comprensione del fenomeno. Contribuisce piuttosto alla strumentalizzazione, da tempo sotto gli occhi di tutti, di questa delicatissima tematica con il fine di mettere a tacere gli oppositori delle politiche coloniali israeliane.
Il tutto con il risultato paradossale che l’epiteto di “antisemita” – già attribuito al Segretario generale dell’ONU, a Greta Thunberg, ad Amnesty International, alla Corte Internazionale di Giustizia e al cantante italiano Ghali – sta diventando quasi un complimento, una sorta di garanzia di essere dalla parte giusta della storia.
Contro chi strumentalizza la più grande tragedia della storia umana al fine di giustificare una pulizia etnica si può solo reagire dicendo la verità, quello che i suprematisti proprio non tollerano. L’ha fatto Francesca Albanese, relatrice dell’ONU per la Palestina, le cui dichiarazioni ne hanno causato la messa al bando da parte del governo israeliano: “Le vittime del 7 ottobre non sono state uccise a causa del loro ebraismo, ma in reazione all’oppressione di Israele“.
Parole ovvie per chiunque conosca un minimo di storia, ma ritenute inaccettabili perché in contrasto con il nucleo della propaganda suprematista: la corrispondenza totale fra ebrei, Israele e governo israeliano. Una corrispondenza ovviamente falsa e che bisogna disinnescare per opporsi ai fanatici di ambo gli schieramenti.
Prima di tutto perché circa un quarto degli abitanti di Israele non è di religione ebraica e, di questi, la maggioranza è musulmana; in più, perché sia all’interno di Israele che al suo esterno ci sono tantissimi ebrei che si trovano in forte disaccordo con il colonialismo e la pulizia etnica in corso in Palestina.
La loro iniziativa più recente ha avuto luogo in Italia con l’appello Voci ebraiche per la pace, i cui passaggi più significativi sono i seguenti: “Aver subito un genocidio non fornisce nessun vaccino capace di renderci esenti da sentimenti d’indifferenza verso il dolore degli altri, di disumanizzazione e violenza sui più deboli.
Riconoscendo l’unicità della Shoah, consideriamo importante restituire al 27 gennaio il senso e il significato con cui era stato istituito nel 2000, vale a dire un giorno dedicato all’opportunità e all’importanza di riflettere su ciò che è stato e che quindi non dovrebbe più ripetersi, non solo nei confronti del popolo ebraico.
Non siamo d’accordo con le indicazioni che l’Unione delle Comunità ebraiche italiane ha diffuso per la giornata del 27 gennaio, in cui viene sottolineato come ogni critica alle politiche di Israele ricada sotto la definizione di antisemitismo. Sappiamo bene che cosa sia l’antisemitismo e non ne tolleriamo l’uso strumentale“.
Federico Speme
(In copertina, manifestanti ebrei a Capitol Hill; foto: AFP)
Razzisti contro l’antisemitismo è il sedicesimo articolo di Caffè Scorretto, una rubrica di Federico Speme.