Il 15 marzo 2024, presso la biblioteca Salaborsa di Bologna, si è portata in scena una Lettura pubblica delle “Donne al Parlamento” di Aristofane (450-385 a.C. circa). Il progetto, coordinato da Valentina Garulli, docente di Lingua e Letteratura greca all’Università di Bologna, ha visto il coinvolgimento di studenti universitari e studenti liceali, che si sono occupati di tradurre, allestire, mettere in musica e poi leggere sul palco il testo classico.
Quello delle Donne al Parlamento di Aristofane (Ecclesiazuse), commedia messa in scena intorno al 391 a.C., è un mondo al contrario in cui le donne Ateniesi prendono con un inganno il potere sulla loro città.
Prodromi: la fine della storia
In tempi come i nostri, in cui di mondi al contrario si parla sempre più spesso, a Bologna si è deciso di riportare in scena – o, almeno, “in parola” – una delle commedie meno conosciute del mondo antico, le Donne al Parlamento, uno degli undici testi di Aristofane che ci sono arrivati integrali.
Meno conosciuta perché considerata fin da subito un’opera minore, perché messa in ombra dalla sua “sorella maggiore” Lisistrata (411 a.C.), perché figlia di un periodo – i primi decenni del IV secolo a.C. – che coincide con il tramonto dell’Atene “democratica” per come l’aveva voluta Pericle, con tutto il suo carico di limiti, contraddizioni e contrasti, con le sue mire espansionistiche e i suoi desideri imperialisti, e anche con quello straordinario sistema di controllo sociale e di propaganda politica che è il teatro attico del V secolo (tragedia in primis, ma anche ovviamente commedia).
Le Ecclesiazuse sono un sipario che si chiude a sipario già chiuso, poco più di un decennio prima, con le Rane (405 a.C.): sono la storia dopo la fine della storia. Se nelle Rane si tenta ancora un modo – per quanto disperato, folle e impossibile – di salvare la città dalla rovina cui sta inevitabilmente andando incontro, scendendo nell’Ade e cercando di riportare in vita un tragediografo tra Eschilo ed Euripide, nelle Ecclesiazuse tutto quello che poteva andare male è andato male.
Sparta ha vinto, il sistema politico pericleo è stato smantellato, e sulle sue ceneri il commediografo principe di un altro tempo e di un altro spazio scopre che per lui non c’è più tempo, non c’è più spazio – almeno, nella versione portata in scena a Bologna.
Aristofane dopo Aristofane
Vecchio, vecchio! Mi dicono di andare in pensione, che sono da rottamare.
Aristofane, dalla cornice narrativa.
Entra in scena con queste parole un Aristofane ingenuo e disincantato, nella cornice narrativa scritta e interpretata da Noemi Coppola e Francesco Faccioli per questa Lettura pubblica.
C’è stato un tempo in cui era il commediografo più noto e apprezzato di Atene, e vinceva una gara dopo l’altra, ma ormai quel tempo è passato: le idee sembrano essere finite.
Non c’è niente da fare, anche il grande Aristofane sembra vittima di uno dei peggiori spauracchi di ogni scrittore, dall’alba dei tempi: il blocco del commediografo!
Poi, di colpo, una voce femminile lo sorprende: è Talìa, la musa della commedia, che vuole a tutti i costi raccontargli una nuova storia, la sua versione della storia. Siamo ad Atene, poco prima che sorga il sole, una sola fiaccola rischiara la notte, e la tiene in mano la giovane Prassagora. Dall’aria circospetta con cui si guarda intorno, sembra proprio che stia aspettando qualcosa… o qualcuno!
C’è una nuova Lisistrata in città
Così, mentre sullo sfondo scorrono le immagini pensate e realizzate da Mattia Belletti per questa Lettura pubblica, con Elettra Dòmini nei panni di Prassagora, sul palco salgono quattro ragazze del Liceo Minghetti: Alessia Capobianco, Letizia Cela, Camilla Molari e Matilde Panzacchi.
Sono Prassagora e le altre donne radunate al termine della notte ai piedi della Pnice, la collina di Atene dove si riunisce periodicamente l’assemblea cittadina. Il loro piano è presto detto: si sono travestite da uomini e sono uscite di nascosto quando era ancora buio per occupare i posti del Parlamento ateniese e votare una nuova legge per la città, con l’obiettivo di dare il potere alle donne.
Si è tanto parlato di “utopia” in riferimento alle Donne al Parlamento di Aristofane, e si è voluto inserire questo testo – non a torto – nel novero delle commedie “utopistiche”, intese cioè a disegnare un nuovo mondo meraviglioso cui contrapporre, a contrario ed e contrario, il triste presente del poeta (al pari della già citata Lisistrata, degli Acarnesi, degli Uccelli o del Pluto).
Ma in realtà, a ben guardare, le Ecclesiazuse sono un’opera della disillusione, e – ben lungi dal rappresentare un mondo ideale o utopistico (cioè, dell’illusione) – mostrano in realtà quello che Aristofane – e dunque il suo pubblico medio – non avrebbe mai voluto vedere.
La differenza rispetto alle altre opere sta nella risoluzione finale: “diversamente che in ogni altra commedia precedente, il grande piano di risanamento […] lascia una vasta serie di inquietudini incertezze ambiguità, relative […] alla propria riuscita” (Le Donne al Parlamento, a cura di Guido Paduano, Rizzoli 1984, p. 15). Come a dire che c’è un tempo per ridere e un tempo per piangere – e all’alba del 391 a.C. non si capisce bene in quale tempo ci si trovi.
…e intanto gli uomini?
Intanto, la storia va come deve andare: gli uomini fanno quello che fanno gli uomini nella commedia, cioè dormono; e, nel frattempo, le donne occupano l’assemblea e prendono in un attimo il potere. Quando i loro mariti – e, nello specifico, due su tutti: Blepiro e Cremete (letti da Tommaso Bernacchi e Lorenzo Madrid Zuniga del Liceo Galvani) – scoprono la decisione, rimangono sconvolti, ma non si rendono conto dell’inganno.
“Se gli Ateniesi son tutti come questi Blepiro e Cremete, non mi stupisco che la spedizione in Sicilia sia andata com’è andata!”, commenta Aristofane, lamentandosi con Talìa nel secondo intermezzo della “deriva” che sta prendendo l’opera, tra le risate del pubblico, e segnando di fatto la pietra tombale di ogni altro tentativo di rivalsa degli uomini.
Il resto della commedia vola rapidamente verso la conclusione: torna in scena Prassagora, insieme alle altre donne (questa volta lette da Laura Cioli Puviani, Alice Muzzi e Beatrice Stracciari del Liceo Galvani), e racconta ai due uomini – sempre più sconvolti – il “progetto politico” che intende portare ad Atene. Manca solo una cosa:
Talìa parla ad Aristofane, nella cornice narrativa: “Sin dall’inizio hai detto che questa idea delle donne al potere ti sembrava un paradosso, un mondo al contrario, una carnevalata. Ma tu sai meglio di me che una festa non può finire prima del banchetto, dell’abbuffata che ci ricorda che un mondo delle donne non è il mondo reale, in cui viviamo; ma che potrebbe – o dovrebbe – esserlo”.
Conseguenze: che cosa resta di questo mondo
Se è vero che “la commedia è imitazione della vita, specchio dei costumi, immagine della realtà” (Cicerone, De re publica IV 11), allora forse il comico è una delle forme più adatte a indagare i limiti, i confini e le zone d’ombra di una civiltà – classica come contemporanea.
Le Ecclesiazuse in particolare, all’interno della produzione sopravvissuta di Aristofane, oscillano continuamente “fra il tradizionale e il tentativo del nuovo, tra il farsesco e il raffinato, tra l’accessibile e il quasi erudito” (Donne all’assemblea, a cura di Massimo Vetta, traduzione di Dario Del Corno, Mondadori 1989, p. XX): in breve, sono opera di un periodo di crisi, di un’epoca di mezzo, e di quell’epoca esprimono i dubbi, le incertezze, le paure, anche e soprattutto attraverso il ribaltamento.
Lungi dal trovare nel testo aristofaneo rivendicazioni femministe ante litteram, anche di questa commedia – forse a maggior ragione di questa commedia – si può dire quello che si è detto della Lisistrata: “la rivoluzione femminile ha unicamente lo scopo di ripristinare un ordine che è stato sconvolto” (il miraggio di fondo, in entrambe le opere, pur con modi e tempi diversi, è la ricerca della pace).
E, dunque, anche le Donne al Parlamento sono “una commedia al femminile, non una commedia femminista” (Lisistrata, a cura di Franca Perusino, con la traduzione di Simone Beta, Mondadori 2020, pp. XXVIII-XXIX).
Davide Lamandini
(In copertina e nell’articolo fotografie di Mattia Belletti)
Consigli di navigazione
- Su YouTube è disponibile il video completo della Lettura pubblica delle Donne al Parlamento; in aggiunta, sono presenti le lezioni preparatorie di quest’anno: 1) Complotto all’ekklesía: dal golpe all’utopia, di Vinicio Tammaro; 2) La vittoria delle donne: come e perché. E durerà?, di Andrea Capra; 3) Scene finali nelle «Ecclesiazuse» di Aristofane, di Piero Totaro; 4) «Le donne al Parlamento» di Aristofane: «mundus inversus» parodistico o utopia politico-sociale?, di Markus Janka.
- La traduzione letta a Bologna il 15 marzo 2024 si può trovare sul sito della Lettura pubblica (UniBo); per leggere il testo completo di Aristofane, si consiglia le Donne al Parlamento a cura di Andrea Capra (Roma, 2010).
- Sulla commedia attica, sul suo orizzonte cronologico, sui suoi autori e sulle sue opere, si veda Bernhard Zimmermann, La commedia greca, traduzione di Sotera Fornaro (Roma, 2016); sul teatro antico in senso più ampio, si faccia riferimento a Arthur Pickard-Cambridge, Le feste drammatiche di Atene, traduzione di Andrea Blasina (Scandicci, 1996).
- Sul periodo storico di Aristofane e sull’ambiente che ha prodotto le sue commedie, si veda Luciano Canfora, Cleofonte deve morire. Teatro e politica in Aristofane (Roma-Bari, 2017).