Interviste

Nutrire il corpo, la mente, il futuro – Intervista a Valentina Dallari

Valentina Dallari

Giovedì 13 giugno, presso l’Università di Bologna, si è tenuto un evento sui disturbi del comportamento alimentari intitolato “Nutrire il corpo, la mente, il futuro. Le nuove generazioni e il dramma dei disturbi alimentari”, moderato da Nora Righini (presidente di Universitari liberi). Alla fine dell’incontro Benedetta Del Re ha avuto l’occasione di intervistare Valentina Dallari.


Durante l’evento si è parlato di disturbi del comportamento alimentare dal punto di vista medico, con Laura Morisi, coordinatrice dietista UA Dietetica (AUSL di Bologna), e Annalinda Mosca, psichiatra del team DNA Adulti dell’Azienda Sanitaria di Bologna. Tra le numerose tematiche affrontate, anche le differenze tra i diversi disturbi alimentari, le loro conseguenze, fino al concetto di perfezione, e si è sottolineata l’importanza del chiedere aiuto il prima possibile. 

In aggiunta, oltre a Valentina Dallari, sono intervenute Luna Pagnin, autrice e curatrice su Instagram di una pagina chiamata spaziolunare, e Anna Gadignani, dell’associazione Animenta, in rappresentanza della sede di Bologna, con il punto di ascolto MetaBOlè.


Chi è Valentina Dallari?

Valentina è una ragazza di 30 anni, autrice, dj e podcast host. Ha scritto Non mi sono mai piaciuta (Piemme, 2019) dove racconta il periodo in cui ha sofferto di DCA (Disturbo del comportamento alimentare)  e Uroboro (Piemme, 2022) che spiega il suo post malattia. Su Spotify ha creato uno spazio libero, un po’ lo-fi ed ecclettico che si chiama “The dark side of the mood”. 

Nel 2018 confessa di aver iniziato a combattere e curarsi dal brutto mostro che è l’anoressia nervosa e successivamente apre un blog che si chiama “In her shoes” dove racconta la sua esperienza. Adesso, insieme ad Animenta, sensibilizza e racconta la sua storia e spiegano cosa sono i disturbi alimentari e per non far sentire da sole le persone che ne soffrono.


Benedetta Del Re: Uroboro è un libro che consiste in un lungo viaggio introspettivo, dove hai definito la malattia come un “inferno dantesco”; ti consideri ancora parte di quell’inferno? In alternativa, hai paura di ricaderci?

Valentina Dallari: La paura di ricaderci è qualcosa che, secondo me, possiamo usare in maniera positiva; ogni tanto ce l’ho anche io, è ovvio: è un punto debole, ma possiamo usarlo a nostro favore tenendo la nostra parte sana più vigile e attenta. 

Almeno, io adesso la utilizzo così: la paura di ricadere forse mi tiene lontana proprio dal ricadere, mi permette in qualche modo di fidarmi di più di me stessa, perché cerco di fare un esame più grande a livello introspettivo ed emotivo.

La considero una sorta di cassetta degli attrezzi, che mi aiuta a esaminare quello che mi succede e a rendermi conto che gli strumenti per tenere lontana la malattia ci sono. Bisogna solo trovarli.

Uroboro Valentina Dallari
La copertina di Uroboro, di Valentina Dallari (Piemme, 2022)

Una cosa che a me piace dire sempre e a cui tengo è che, essendo dei disturbi che coinvolgono la psiche, non si parla di forza di volontà. Quando si guarisce e passano molti anni, è lì che avviene la vera guarigione, nel momento in cui la parte sana prevale dopo tanto tempo; e te ne rendi conto sempre più in maniera distaccata, ed è lì che scegli di rimanere

Adesso non mi sento più più in quell’inferno, ma le fragilità ci sono ancora. Vedo la linea dell’ insanita mentale ma ci sto lontana, ed è proprio lì che sta la guarigione secondo me.


B.D.R.: In una delle puntate del tuo podcast hai detto che durante la malattia hai avuto dei buchi di memoria, preferisci che rimangano tali per evitare di rivivere il dolore o vorresti colmarli?

V.D.: No, penso che vada bene così. È un percorso molto doloroso sia perché è una malattia psicologica, e in quel momento è come se il pilota automatico prendesse il controllo di te, sia perché a livello biologico il nostro cervello è rallentato; però, allo stesso tempo penso che in tutti noi sia presente una parte emotiva che tende a eliminare i ricordi più brutti. 

A me va bene così; e alla fine oggi quello che mi importa, quando ripenso alla mia storia e ricordo i momenti negativi, è portarmi dietro tutti i momenti positivi, quelli in cui ho realizzato di avere un problema, in cui mi sono fatta aiutare, in cui è iniziato il periodo della rinascita

Dico sempre che la guarigione inizia non tanto quando sei nella struttura ma quando guarisce l’anima; quella parte che è stata ferita e l’altra che chiede aiuto. Questo accade nel momento in cui torni a casa quando hai finito il percorso, perché lì si mette in pratica tutto quello che ti è stato insegnato dai professionisti: la questione sull’alimentazione, la parte emotiva, e il percorso fatto con psichiatri, psicologi, dietisti e nutrizionisti. 


B.D.R.: Sempre nel podcast dici che da malata facevi comodo alle persone, cosa intendi? 

V.D.: Ognuno, ovviamente, ha la sua realtà, e durante la malattia cercavo inconsciamente persone che andassero ad alimentare la tesi che avevo di me stessa, ovvero che non mi meritavo niente, era un’enorme sindrome dell’impostore

Penso che nel mio caso in qualche modo ci siano state persone che hanno approfittato delle mie fragilità, probabilmente nel mio lavoro un po’ più particolare e artistico, approfittandosi di questo mio non essere in grado di rendermi conto di cosa succedesse intorno a me. Ero una barca in tempesta e la mia bussola era impazzita

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Valentina Dallari (Foto: Tattoolife)

Mi sono sentita così per tanti anni e non è sempre chiaro come in questo caso. Quando ne parlo, consiglio sempre di circondarsi di persone di cui potersi fidare e che in qualche modo possano aiutarti a ricordare la tua bellezza interna, quella emotiva, i talenti e le cose che sai fare.

Questo è il modo, secondo me, di riconoscerle. Le persone che ti dicono di chiedere aiuto sono proprio quelle che ti salvano e diventano importanti in quel momento. Purtroppo, essendo una malattia che colpisce le persone e le rende fragili e confuse, diventa molto pericoloso per chi si avvicina perché possono avere un’incidenza

So che è difficile ma funziona davvero.

La cosa che mi dispiace è che purtroppo le persone che soffrono di questi disturbi vengono da contesti diversi e, quindi, non tutti magari hanno amici, persone di cui si possano fidare o che le possano aiutare. Purtroppo, questo è un grosso problema ed è per questo che si spera che si creino sempre più luoghi in cui queste persone possano recarsi e capire come superare il momento e andare avanti.


B.D.R.: Quale è stato il momento in cui ti sei resa conto che non eri la tua malattia?

V.D.: Bella questa domanda. Forse il momento di rientro a casa, ma l’ho realizzato davvero con il tempo, quando ho recuperato il controllo della mia vita in maniera sana e positiva, buttandomi nelle emozioni

Ancora oggi forse devi cercare questo momento, sotto più aspetti. Uno potrebbero essere quando ho iniziato a validarmi, quando ho accettato il fatto che sono caduta, che ho chiesto aiuto, che è una cosa che non ho mai fatto perché ho sempre fatto tutto da sola; e, infine, il capire che sono una persona umana con le proprie fragilità

Inoltre, il cercare a tutti i costi di non giudicarmi sicuramente mi ha aiutato tantissimo a distaccarmi della malattia e, parlando e facendo attivismo, anche se non è una parola che mi piace usare perché ha un altro significato, però parlare tanto di questo argomento è una cosa che voglio fare per le altre persone più che per me. Voglio ridare indietro quello che ho ricevuto e cercare di fare in modo che gli altri non soffrano come ho sofferto io. 

Forse è questo che ogni giorno mi allontana sempre di più dalla malattia, e mi dà modo di capire che sono vulnerabile e che tutto questo è normale.

Benedetta Del Re

(In copertina Valentina Dallari da Tattoolife)


Per approfondire il tema, leggi l’intervista a Francesca Fialdini, a cura di Alexandra Bastari.

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