A Bologna, nella sala museale del complesso del Baraccano, dall’8 al 22 giugno, è possibile visionare “Duality: mostra immersiva sul tema dell’interconnessione tra gli opposti” (sito ufficiale), di Riccardo La Barbera e curata da Anna Lepekhina. Emerlinda Osma ha avuto l’opportunità di vedere la mostra e di intervistare il suo artista.
La mostra, disponibile fino al 22 giugno, ruota attorno al concetto di “dualismo” inteso nel suo senso filosofico e in particolare sulla contrapposizione che il pensiero occidentale e quello orientale hanno del termine.
Nel primo caso, infatti, l’idea del dualismo coincide con quello della separazione, perché ha come radici teoriche i testi di Platone, il cristianesimo e la filosofia di Cartesio; nel secondo caso, invece, il termine indica una complementarità, basandosi sui concetti dello yin e yang e sulla filosofia taoista.
La mostra
Nelle opere che Riccardo La Barbera (qui puoi trovare una sua opera) ci presenta è possibile vedere questa doppia concezione di dualismo sia nella ricerca dei temi e dei soggetti che nell’uso di tecniche pittoriche e nel bilanciamento dei colori.
Per esempio, il primo quadro che abbiamo davanti è Portatore di luce che mostra le due facce di Lucifero: da una parte uno degli angeli più belli del Paradiso, simbolo della luce; dall’altra la caduta negli Inferi e la sua associazione con la figura di Satana. Una contrapposizione, dunque, tra “bene” e “male” che risiede dentro ognuno di noi e che si articola in un modo così complicato che difficilmente il confine si può delimitare con una linea netta.
A seguire, poi, troviamo due opere che sono in dicotomia: L’uomo tormentato e Ispirazione. Entrambe rappresentano momenti che ognuno di noi ha vissuto almeno una volta nella vita e che spesso si susseguono: da un parte la rappresentazione dei pensieri ossessivi, dall’altra la sensazione che il moto creativo produce in noi.
Anche questa volta il dualismo è facilmente percettibile da diversi elementi. Un quadro è in bianco e nero, l’altro a colori: un soggetto isolato e l’altro accompagnato dalle muse; bisogna ricordare, però, che questi sono anche momenti complementari e senza uno non può esistere l’altro.
L’ultima opera sulla quale vorrei soffermarmi prima di dare la parola all’artista è Cielo e Terra, un’interpretazione del concetto dello yin e yang: c’è un personaggio maschile, che rappresenta la luce, il sole e il cielo; e c’è un personaggio femminile, che prende le vesti della notte, della luna e della terra.
I due, che si completano l’un l’altro e si sostengono a vicenda, sono la rappresentazione di un equilibrio cosmico che regola il dualismo presente in ogni forma della vita.
L’intervista
Emerlinda Osma: Nella ricerca che hai fatto sul tema del dualismo e sulla discordanza tra pensiero occidentale e pensiero orientale, ti sei ritrovato in un concetto più che nell’altro ? Questo ha poi influito sulla tecnica e sui soggetti raffigurati?
Riccardo La Barbera: Inizialmente, ha portato proprio a un cambiamento dentro di me a livello di pensiero, al mio modo di approcciarmi alle opere e in generale alla vita. La filosofia orientale mi ha aiutato nei momenti di crisi, perché mi ha fatto capire che ad esempio alcune situazioni non si possono forzare perché devono andare così: gli opposti si devono bilanciare, ma questo bilanciamento non è in tuo potere.
La filosofia giapponese del kaizen, del migliorare ogni volta, o quella del kintsugi, di sistemare le cose con l’oro, hanno cominciato a plasmare piano piano la mia mentalità dicendomi “dall’errore che faccio – per il quale prima letteralmente distruggevo una tela perché ricercavo la perfezione – posso concentrarmi sulle imperfezioni, su come girarci intorno”.
Da lì nascono gli effetti, chiamiamoli così, migliori delle opere. Quindi, mi ha aiutato molto di più la parte orientale, ma mi rivedo anche in quella occidentale perché comunque rimane. Se dovessi dividerle, direi 60 e 40.
Emerlinda Osma: Per quanto riguarda l’influenza della filosofia orientale, è un qualcosa che ti porti dietro da tanto, è una scoperta recente o è una passione che ti sei costruito nel tempo?
Riccardo La Barbera: È una cosa che non riesco a spiegare. Nel tempo si è rafforzata, ma credo di portarmela dentro dalla nascita, ben prima dell’influenza esterna e della cultura pop (di manga, anime, fumetti, etc.).
Non so il motivo, ma posso fare l’esempio delle katana. Da sempre mi affascinano quasi come un oggetto religioso, inteso come una cultura, un tenerci dietro, che è una cosa molto giapponese; erano il motivo per cui una persona magari spendeva tutta la tua vita, e servivano a proteggere la tua vita. Io questa cosa me la porto da sempre dietro e non capendone il perché ho iniziato dopo a ricercarne i motivi.
Quindi, poi mi sono avvicinato molto al concetto di reincarnazione, al buddhismo (sebbene io non sia buddhista), ho cominciato a cercare dei punti di connessione fra le varie culture orientali, non solo una, e questo piano si rivede anche nelle opere.
Emerlinda Osma: C’è un artista particolare che ti ha ispirato?
Riccardo La Barbera: Questa è una domanda super complessa a cui ho una risposta. Li ho dovuti scremare, però se dovessi sceglierne uno attualmente sarebbe Katsuya Terada, che è ancora vivo.
Emerlinda Osma: Nella mostra che abbiamo appena visto, se dovessi scegliere un’opera che ne sintetizzi il contenuto quale sceglieresti?
Riccardo La Barbera: Il Portatore di luce perché è l’inizio di tutto, è cominciato da lì. Sebbene non sia troppo orientaleggiante, un occhio magari esperto nota che alcune tecniche lo sono, come il colore (musou black che viene dal Giappone, l’uso degli acquerelli), le forme morbide di Lucifero.
Emerlinda Osma: Quindi, punto di inizio e punto di fine. E cosa vorresti che le persone si portassero a casa guardando queste opere?
Riccardo La Barbera: Vorrei che le persone abbiano la possibilità di riscoprire l’obiettivo dell’arte, ossia il farti pensare. Noi siamo adesso sommersi di prodotti che servono al non farci pensare, nel cinema, nelle serie TV: tendi a fagocitare tante informazioni ma non a metabolizzarle; ecco, io vorrei fare l’opposto.
Magari, vedere meno opere, ma fare in modo che queste ti possano lasciare qualcosa, ti facciano pensare, riflettere su un qualcosa della tua vita, magari riscoprire anche la tua parte artistica. Questo è quello che vorrei.
Intervista a cura di Emerlinda Osma