Il ritorno della guerra
Gli ultimi anni sono stati segnati da forti tensioni internazionali dovute al riaccendersi di tre conflitti militari alla periferia d’Europa. Prima quello armeno-azero in Nagorno Karabakh, regione dimenticata dal mondo in cui la pace si sta già imponendo con la realpolitik; poi quello russo-ucraino, iniziato nel 2014 con la brusca rottura tra Kiev e Mosca. Infine quello israelo-palestinese, aperto ormai da oltre settant’anni ma sempre senza via d’uscita.
La guerra è tornata a essere una costante anche per noi europei che, oltre a subirne le conseguenze economiche e politiche, ne ascoltiamo ogni giorno i racconti. È così entrata nella cultura di massa una nuova disciplina molto affascinante e difficile da definire: la geopolitica.
In Italia sono principalmente due gli studiosi che hanno reso popolare questa disciplina: Lucio Caracciolo, giornalista e direttore della rivista Limes, e Dario Fabbri, ex membro di Limes e oggi direttore di Domino.
Una storia controversa
La geopolitica è nata nel periodo tra le guerre mondiali, ma a partire dal secondo dopoguerra è stata a lungo abbandonata perché ritenuta un prodotto ideologico del nazifascismo utile soltanto a giustificarne le proiezioni imperialistiche.
Anche oggi, dopo la sua rinascita fra gli anni Ottanta e Novanta, la geopolitica continua a essere oggetto di forti critiche, soprattutto da parte degli studiosi di scienze sociali, che ne mettono in dubbio le basi epistemologiche fondate sulla “psicologia collettiva dei popoli” e su una certa dose di determinismo storico e geografico.
In altre parole, secondo quest’ottica, i popoli si comportano come esseri umani in quanto anch’essi tendono per natura al conflitto e sono spesso irrazionali. Inoltre, gli elementi più importanti per comprendere il loro ‘carattere’ nel rapportarsi con altri popoli sono i grandi eventi storici del passato – a volte anche molto remoti – e la conformazione geografica del territorio da essi abitato.
Di conseguenza, come ha spiegato Fabbri in una recente intervista, chi si occupa di geopolitica si colloca “fuori dell’accademia”, su un percorso “estraneo alle relazioni internazionali e alla politologia”.
Non si interessa tanto di elezioni, partiti o sistemi politici, né dei leader e delle loro vicende biografiche, e nemmeno di inflazione e spread. Questi sono tutti dettagli secondari nell’eterno scontro per l’egemonia a cui partecipano, volenti o nolenti, tutte le nazioni del mondo.
Geopolitica contro la propaganda
A prima vista la geopolitica sembrerebbe, non senza buone ragioni, una scienza con scarse basi teoriche, caratterizzata da un profondo pessimismo filosofico sulla natura umana e da un cinismo che la rende incompatibile con qualsiasi istanza pacifista, internazionalista e di fratellanza fra i popoli.
Ma allora per quale motivo, pur dovendo sopportare la freddezza, e talvolta l’ostilità, degli studiosi di relazioni internazionali, questa disciplina sta riscuotendo un così grande successo fra la popolazione, specialmente fra le persone più contrarie alle politiche di guerra del governo?
La ragione principale, probabilmente, sta nella sua capacità di decostruire senza ricorrere a un’ipocrita doppia morale tutte le narrazioni fabbricate dalle potenze per giustificare il proprio operato. Un’abilità che spesso manca ai vari professori di politica internazionale, troppo servili, troppo etnocentrici o troppo attaccati allo stipendio. In ogni caso, comunque, incapaci di discostarsi dalla possente retorica dell’egemone d’oltreoceano.
La geopolitica parla chiaro e non distingue tra buoni e cattivi, per questo è vista con sospetto dai propagandisti di ogni parte. Gli attacchi di una storica firma di Repubblica a Lucio Caracciolo e soprattutto più le recenti polemiche sul titolo di studio di Dario Fabbri ne sono la conferma.
Basti pensare che ormai nelle echo chambers (casse di risonanza) ultra-atlantiste della rete, i due studiosi, entrambi di formazione culturale americana, vengono stabilmente inclusi fra i “traditori antioccidentali” al pari di Greta Thunberg (“filo-Hamas“) e Papa Francesco (“filo-Putin“).
La polemica sulla mancata laurea di Fabbri, per la verità, potrebbe avere un effetto boomerang se si considera il valore di alcuni accademici da mesi sotto i riflettori. Non servono né una laurea né una cattedra, infatti, per provare sconforto quando certi studiosi abdicano al loro ruolo di intellettuali e diventano megafoni di slogan ridicoli, come lo “scontro tra democrazie e autocrazie” o “l’ordine internazionale basato su regole”.
È evidente che simili professori, in una qualche misura, contribuiscano anche a gettare discredito sulla propria disciplina di studio oltre che sulle istituzioni per cui lavorano.
Sconfiggere la doppia morale razzista
Il mondo uscito dalla guerra fredda non è un paradiso di democrazia, pace e diritti umani, bensì un grande groviglio di differenze in cui i nostri valori hanno un’importanza molto esigua.
Se vogliamo tessere dei rapporti costruttivi con le culture altre dovremmo saper riflettere criticamente su questi stessi valori.
A partire dal modo in cui i più grandi ‘esportatori’ di democrazia e diritti si rivelano quasi sempre i loro più acerrimi oppositori, quando si tratta di promuoverli in patria.
La geopolitica non è finalizzata a ciò, ma può essere uno strumento utile per difendersi dall’insopportabile doppia morale in cui siamo immersi. Per un Occidente in cui l’allineamento con gli interessi di Washington stabilisce il diritto dei popoli ad autodeterminarsi, istituisce una distinzione tra crimini di guerra ed “errori” e determina la legittimità degli altri punti di vista sul mondo, l’esigenza di decostruire questa narrazione è più che mai urgente.
Paradossalmente, se ci spingessimo a contestualizzare su un piano storico-antropologico la doppia morale applicata contro i “barbari” orientali, potremmo quasi concludere che, lungi dall’essere un’arma intellettuale di oppressione imperialistica, la geopolitica può diventare uno strumento di liberazione anti-razzista.
Certo, scoprire che le sanzioni economiche non servono a punire i cattivi e che la democrazia (intesa come mero ordinamento politico-giuridico) è perfettamente compatibile con il colonialismo potrebbe minare la nostra fiducia nell’umanità. Riconoscere la menzogna, però, è sempre il primo passo per costruire un’alternativa migliore.
Federico Speme
(In copertina, foto di Claudio Schwarz su Unsplash)
Il paradosso della geopolitica è il quindicesimo articolo di Caffè Scorretto, una rubrica di Federico Speme