Raffaella Romagnolo è una scrittrice e insegnante che con il recente “Aggiustare l’universo” (Mondadori, 2023) è stata selezionata tra i dodici finalisti del Premio Strega 2024. Benedetta Del Re e Davide Lamandini hanno avuto la possibilità di porle alcune domande a partire dal romanzo.
In Aggiustare l’universo, di Raffaella Romagnolo, la guerra è finita.
Quella generale del Paese, almeno. Non le singole guerre private di chi ha vissuto sulla propria pelle i vent’anni di regime: chi è nato sotto il fascismo, chi in un qualche modo è figlio del fascismo, e chi alla fine ne è stato vittima – come tutti gli italiani. Lo dice Lorenzo Levi, nome di battaglia Gatto (p. 222).
Aggiustare l’universo racconta la storia di Gilla, che, dopo aver combattuto nella Resistenza per un’Italia migliore, ora che la guerra è finita si ritrova a dover (ri)costruire davvero il suo Paese – e la sua vita, sopravvivendo alla morte di Michele.
E poi è la storia di Ester, che ha vissuto sulla propria pelle gli orrori del nazifascismo ed è cresciuta in un orfanotrofio: ora è muta e lontana da tutto e da tutti.
Le loro vite si intrecciano nel corso del primo anno scolastico dopo la Liberazione, 1945-1946, come maestra e come studentessa, quando bisogna ancora aggiustare tutto l’universo che la guerra ha rotto, a partire dalle loro vite.
Davide Lamandini: Partiamo da una domanda leggera: come ci si sente a essere stati selezionati nella dozzina semifinalista per questa edizione del Premio Strega? Se lo aspettava?
Raffaella Romagnolo: È stato molto emozionante. In realtà, per me questa è la seconda volta: ero già stata tra i dodici finalisti nel 2016 [con La figlia sbagliata, Frassinelli, 2015, ndr.], anche se la prima volta si è molto inconsapevoli.
Per la seconda, visto che lo hai già vissuto, pensi di essere a tuo agio, ma in realtà sei più consapevole dell’importanza di questa selezione, e l’emozione diventa maggiore. Sono molto contenta e onorata di essere stata scelta, anche perché i libri proposti quest’anno erano molti e di ottimi autori.
Benedetta Del Re: Com’è nata l’idea di scrivere Aggiustare l’universo?
Raffaella Romagnolo: La storia di Aggiustare l’universo è legata a quelle di altri libri che ho scritto in passato; in particolare, a Destino (Rizzoli, 2020) e Di luce propria (Mondadori, 2021), che sono entrambi dei romanzi ambientati nel passato e negli stessi luoghi di Aggiustare l’universo, ovvero il basso Piemonte al confine con la Liguria, dove vivo.
Come negli altri libri, anche qui ha una posizione centrale Borgo di Dentro, e poi sono importanti Genova e Casale Monferrato. In un certo senso, è un tentativo di indagare in forma narrativa elementi di storia nazionale che sento particolarmente rilevanti e decisivi nella definizione della nostra identità.
Credo che sia interessante provare a rifocalizzare determinati eventi con l’occhio di oggi, con le esigenze che abbiamo oggi, con la curiosità e con i problemi che viviamo oggi; di solito il mio lavoro consiste nel cercare nel passato ciò che sento urgente per il nostro presente.
È il motivo per cui non amo molto la definizione di “romanzo storico”: mi fa pensare a qualcosa di chiuso e finito. In realtà, c’è sempre qualcosa di oggi che devo capire meglio: è per questo che mi rivolgo al passato.
Davide Lamandini: Quali sono, secondo lei, tra gli argomenti trattati nel libro, quelli più urgenti anche per il nostro presente?
Raffaella Romagnolo: Il primo, forse quello che ci unisce di più, è la scuola.
Ho iniziato a lavorare a questo libro durante la pandemia, e in quelle prime settimane di chiusura ho sentito – come ognuno di noi – la necessità di fare scuola, nonostante tutto. Nessuno ha mai pensato che si dovessero interrompere le lezioni: si facevano in altro modo, nessuno ha mai pensato di chiudere e di riprendere l’anno successivo.
Eppure, la scuola in qualche modo ha cercato di andare avanti. In aggiunta, per noi che siamo al nord, tutto questo si coniugava con un periodo veramente tragico; e, tuttavia, è scattato un meccanismo per cui tanto più le cose andavano male, tanto più si faceva scuola, perché è l’unico modo che abbiamo per guardare avanti e costruire il futuro.
Nel libro racconto un episodio avvenuto realmente. Siamo nel 1943 a Torino in una scuola ebraica, con i nazisti che hanno già occupato la città, e nonostante questo i professori sentono la necessità di diplomare i ragazzi.
In quel contesto un diploma a un giovane ebreo non serve a nulla; tuttavia, l’orizzonte è questo: il diploma deve essere dato, perché prima o poi la guerra finirà. E, così, fanno le interrogazioni di maturità per strada, fingendo di passeggiare.
Ecco, la scuola è quella cosa che ti permette di guardare avanti anche quando tutto va male. E per me tutto questo ha a che fare anche col presente: non è un racconto di guerra, non parla solo al passato, ma è una cosa di oggi.
Adesso viviamo in un periodo estremamente difficile, dalla guerra che abbiamo vicino alla veloce trasformazione a cui stiamo andando incontro e che è legata al riscaldamento globale. Per me la scuola è una risposta a tutti questi problemi.
Davide Lamandini: Nel romanzo mette in scena diverse linee temporali, dal passato della guerra al presente in cui inizia l’anno scolastico 1945-1946. È avvenuto realmente tutto quello che racconta nel libro?
Raffaella Romagnolo: Allora, intanto è un dato storico reale. Borgo di Dentro e in generale Ovada, la piccola cittadina dove è ambientata la storia, hanno effettivamente una scuola elementare, che è poi quella che ho frequentato anche io. Si tratta di una scuola post–unitaria, fatta per dare un’istruzione a tutti, anche a chi non sapeva leggere e scrivere.
Anche Ovada, a partire dal 9 settembre 1943, venne occupata dai nazisti, che usarono l’edificio scolastico veramente nel modo in cui è raccontato nel libro. La realtà dei fatti è che non riuscirono a rimettere tutto a posto per poter ricominciare le lezioni il 1° ottobre 1945. Tuttavia, nel libro mi sono presa la libertà creativa di ambientarlo lì e farlo partire con l’anno scolastico: era un fatto simbolico.
La cosa che è stata interessante da scoprire è che anche in guerra la scuola non si è mai fermata. Le scene ambientate sotto i bombardamenti sono ispirate alla memorialistica che ho letto. La scuola si faceva comunque, ma magari in modo diverso, adattata ai tempi che correvano, come è stato fatto con la maturità nell’anno del Covid. È stato bello scoprire questa cosa e ritrovarla.
Davide Lamandini: La guerra generale dell’Italia è finita all’inizio del libro; le guerre private dei singoli personaggi no. Come mai ha scelto di raccontare un periodo così poco raccontato, ossia quello dell’immediato Dopoguerra? Da dove è nata questa idea?
Raffaella Romagnolo: La risposta è un po’ nella domanda: si tratta di un periodo storico raccontato pochissimo; quindi, volevo in qualche modo provare a illuminare quelle zone d’ombra e conoscerle meglio.
Un esempio simile è il romanzo Destino, dove l’arco temporale coperto va dal 1900 al 1946. E una cosa che mi sento di aver imparato scrivendo la storia, e non studiandola o insegnandola, è che la Prima e la Seconda guerra mondiale riguardano le stesse persone; quello che per noi si trova in capitoli separati dei libri di scuola in realtà riguarda esattamente le stesse persone, le stesse famiglie. E questo cambia completamente la prospettiva.
Quindi, andare a vedere come può essere il primissimo Dopoguerra, cioè quello che succede dal 26 aprile in avanti, è interessante; intanto, perché scopri che, se stai veramente attaccato alle relazioni e ai sentimenti degli umani, la guerra non finisce davvero il 25 aprile e la pace non inizia il 26. Tutti hanno un vissuto che li ha segnati.
Per citare ciò che disse Mao Tse-tung in altro contesto, “non fu un pranzo di gala”: la Resistenza è una storia di lutti. In Una questione privata (1965) di Beppe Fenoglio, romanzo che esce all’inizio degli anni ’60, a una certa distanza dai fatti, viene fuori la durezza e il dolore di avere vent’anni e decidere che il proprio destino possa essere un destino di morte.
Davide Lamandini: Ha citato Una questione privata e a me, leggendo Aggiustare l’universo, è venuto in mente Uomini e no di Elio Vittorini (1945), almeno per quanto riguarda la morte e avere vent’anni e accettare di morire; si tratta di un libro uscito pochi mesi dopo alla fine della guerra, al contrario di quello di Fenoglio. Sono queste le fonti letterarie del suo romanzo?
Raffaella Romagnolo: Esatto, assolutamente. La miglior scrittura non memorialistica che attraversa il periodo della guerra e della Resistenza è una scrittura ricca di opere e personaggi che si pongono questa riflessione: cosa significa essere pronti a morire da un giorno all’altro a vent’anni e poi cosa significa trovarsi a essere la generazione che ha sulle spalle la ripartenza?
Poi, cito volentieri Fenoglio perché lo considero uno dei più grandi autori del Novecento, e in particolare per me Una questione privata è il romanzo perfetto; ovviamente, non è l’unico libro che racconta la Resistenza.
Benedetta Del Re: Come ha selezionato le storie e con che intenzione ha alternato i diversi piani temporali del libro, che sostanzialmente si dividono nel prima e nel dopo la fine della guerra?
Raffaella Romagnolo: In questo romanzo il lavoro di montaggio è stato fondamentale. Innanzitutto, quando ti approcci a una scrittura di questo tipo, ti devi preoccupare un minimo di appassionare il lettore. E io volevo che ci fosse un filo che portasse avanti la lettura, cioè la relazione tra la bambina e la maestra, che è una relazione problematica, nel senso neutro del termine.
La bambina che non parla è effettivamente un problema per la maestra perché non sa come farle fare l’esame di quinta elementare, e noi lettori dobbiamo capire come fa Gilla a risolvere il problema; questa cosa va avanti e costruisce una sorta di inchiesta che si svolge in primo piano.
All’interno dello schema volevo poi che il lettore pian piano scoprisse quello che c’è da scoprire, ossia la sensazione di lutto: il passato di Gilla e il passato di Ester. In questo senso ho deciso una struttura con una storia principale di cui il lettore non si deve dimenticare e che per questo torna con una certa frequenza e con un certo ritmo.
Davide Lamandini: A un certo punto, il direttore della scuola dice a Gilla “la guerra ha spezzato molte cose […] forse ha spezzato anche questa bambina” (p. 122), facendo riferimento ovviamente a Ester. Quindi, le chiedo perché narrare questa storia interamente dal punto di vista di una giovane (Gilla) e di una giovanissima (Ester)?
Raffaella Romagnolo: Perché questo è un romanzo di scuola e la scuola è dei giovani. Noi adulti magari ci preoccupiamo di alzare loro la palla, ma poi sono i giovani a schiacciare – per usare una metafora pallavolistica.
Da una parte, abbiamo una giovane maestra, che per molte pagine conosciamo da ragazzina, della quale percepiamo la giovinezza e attraverso la quale vediamo la generazione dei giovani che si sono trovati veramente sulle spalle la responsabilità di portare avanti la Resistenza.
Dall’altra parte, abbiamo una bambina. I bambini vittime di guerra non hanno voce, questo non vuol dire che non ci siano romanzo che li hanno al centro, però tendenzialmente la guerra la raccontano i grandi. Ester è una bambina che subisce veramente nella più assoluta innocenza tutte le decisioni che altri hanno preso altri per lei, a partire delle leggi razziali.
Benedetta Del Re: Un personaggio molto importante che “aggiusta” l’universo – almeno quello di Ester, ma non solo – è la maestra Gilla: com’è nato il suo personaggio?
Raffaella Romagnolo: Benché Ester e la sua famiglia abbiano molto spazio, volevo evitare il libro “da giornata della Memoria”, perché ne vedo in qualche modo il limite. Rimanendo solo sulle vicende toccate a una famiglia italiana di appartenenza ebraica, si rischiava di dover poi tagliare il contesto, ed è il contesto di cosa sia successo ai civili che per me a volte manca.
Ci voleva un personaggio che facesse da contraltare e che mi permettesse di raccontare meglio quella parte. Possiamo considerarlo un romanzo di guerra dove non si va mai al fronte, e tutto quello che succede lo si vede dal lato dei civili.
Davide Lamandini: Su questo anche nelle scene in cui si racconta la guerra partigiana lei cerca di evitare la narrazione di guerra raccontando più i retroscena, i sentimenti dei personaggi e le loro azioni, ed evitando il momento di guerra vero e proprio.
Raffaella Romagnolo: Sì, esatto, è un romanzo che racconta le parti di quel periodo che non sono state raccontate. Intanto, diciamo che avevo già scritto Destino, incentrato proprio sugli episodi della Resistenza in quella zona d’Italia. Non sono libri strettamente legati, ma in un certo senso sono complementari.
Però, veramente sono stata su cose che sentivo non molto raccontate, e questo vale soprattutto per ciò che ha a che fare i veri problemi. Come nella vicenda che coinvolge Abram e Giosuè ad Auschwitz: in questo caso è già stato raccontato molto, e allora ho semplicemente dato dei cenni, per fare in modo che poi il lettore potesse completare il quadro con ciò che già sapeva, grazie ad altri libri o a film.
Davide Lamandini: Entrambe le protagoniste del libro, Ester e Gilla, stanno in un qualche modo cercando il proprio posto in un mondo che da un giorno all’altro è cambiato radicalmente: è un “mondo nuovo che nel fango e al freddo si va costruendo” (p. 258). Hanno vissuto da sempre – o quasi – sotto il regime fascista, Gilla ha sperimentato anche la guerra partigiana (e quindi una serie di libertà che fino a quel momento alle donne in Italia non erano concesse), ed entrambe hanno vissuto lutti profondi, sono state cambiate dalla guerra e nella guerra, e per questo hanno bisogno di “aggiustarsi”. Quindi, chi sono Ester e Gilla, come si sentono e che tipo di mondo vogliono costruire?
Raffaella Romagnolo: Naturalmente la più consapevole è Gilla per una questione di età. Ester è per grandissima parte del libro vittima, deve solo salvarsi; poi, immagino che da grande possa far proprie queste esperienze ed elaborarle, come hanno fatto tanti bambini italiani di appartenenza ebraica con vissuti simili. Ho inventato poco di Ester.
In più, la sua età condiziona la spinta vitale fortissima, quindi, al superamento e al prendere le cose come un gioco, e questo sicuramente posso immaginare che in una Ester più grande possa aver contribuito alla sua presa di coscienza.
Gilla è una giovane adulta che sperimenta nella guerra partigiana un grado di protagonismo che il regime non le avrebbe mai consentito.
Questa cosa storicamente ha cambiato la testa delle donne che hanno partecipato alla Resistenza, ha cambiato il loro sguardo, la loro percezione del mondo.
Non è un caso che dopo la Seconda guerra mondiale abbiano ottenuto il diritto di voto: se lo sono veramente conquistato.
Gilla è una giovane adulta che sperimenta nella guerra partigiana un grado di protagonismo che il regime non le avrebbe mai consentito. Magari si tratta di cose arrivate negli anni ’60 o ’70, come ad esempio l’ingresso delle donne in magistratura, ma che sono irrimediabilmente figlie della Resistenza.
Benedetta Del Re: È importante anche Lucifero, il gatto che “aggiusta l’universo” di Ester: perché ha scelto un animale e soprattutto perché un gatto?
Raffaella Romagnolo: Ho scelto il gatto perché sono una gattara [ride, ndr.], anche se in Destino c’è un cane meraviglioso. Comunque, nei confronti degli animali ho un po’ un atteggiamento che si può riassumere con l’etichetta che Anna Maria Ortese dava loro definendoli “Piccole Persone” [ora in Le Piccole Persone, Adelphi, 2016, ndr.]. Io rendo gli animali piccole persone che agiscono sulla scena dei miei romanzi.
Lucifero non è in Aggiustare l’universo come un ornamento animato, ma agisce. L’interazione con questo piccolo personaggio svela delle cose sulla bambina, aiuta a far procedere la trama, ed è fondamentale perché rappresenta l’aggancio che la maestra trova per entrare in contatto con Ester.
Questa visione del mondo animale si rivela in tantissimi aspetti della mia vita, compreso il fatto che vivo con due gatti e che non mangio animali; ecco, non è un tentativo di mettere un gatto in copertina per vendere più copie del libro [ride, ndr.]. In più, è stato utile come espediente narrativo, perché grazie al gatto il lettore capisce che la bambina non è muta ma che può parlare.
Benedetta Del Re: Un argomento trattato marginalmente è l’amore tra la maestra Gilla e Michele ai tempi della Resistenza: come mai questa scelta?
Raffaella Romagnolo: Non volevo che fosse un romanzo troppo sentimentale perché già Destino aveva delle grandi storie d’amore all’ombra della Resistenza, e anche prima. In questo volevo che la focalizzazione fosse molto sulla relazione tra la maestra e la bambina, e sui loro vissuti.
La storia d’amore poi ti porta veramente fuori; e, quindi, mi piace l’idea di raccontare questo aspetto, anche in Fenoglio ci sono delle pagine in cui si capisce che i giovani partigiani pensano alle ragazze, ma credono che quello non sia il tempo di pensarci. Ecco, io credo che ci sia sempre tempo per l’amore.
La loro è, secondo me, una bella storia d’amore tra due persone che si somigliano e si riconoscono come estranei ai luoghi dove si incontrano, ma hanno qualcosa di comune che li unisce in termini di origini e di idee.
Davide Lamandini: Dal suo punto di autrice quali sono gli universi da aggiustare all’interno di questo libro? Io ne vedo almeno tre: in senso metaforico quello di Ester e quello di Gilla, e in senso concreto il planetario che Gilla ritrova nella scuola nelle prime pagine del romanzo e che poi gradualmente ricostruisce. Ce ne sono altri?
Raffaella Romagnolo: Sicuramente il planetario è un oggetto che ha una forte carica simbolica e che suggerisce un piano di lettura diversa del libro; in un certo senso, l’universo generale potrebbe essere il quarto da aggiustare, rispetto a quelli che hai elencato.
Ed è questo l’assetto ideologico: come si esce dalla tragedia? La prospettiva che il libro suggerisce, dal mio punto di vista, è che non si possa uscirne con grandi cose ma con una pratica quotidiana mirata ad aggiustare giorno per giorno le cose che non vanno.
Essere passati attraverso la Resistenza vuol dire anche aver fatto un bel bagno di utopia entro certi limiti: la mia sensazione è che l’universo si possa aggiustare poco alla volta con una pratica quotidiana di pace.
Davide Lamandini: Quindi, anche in senso più ampio aggiustare il singolo, le vite dei personaggi, per arrivare poi all’universo citato nel titolo?
Raffaella Romagnolo: Sì, quando scrivi non sei consapevole di tutto il libro; una volta concluso il testo, ho avuto la sensazione che venisse fuori l’ideologia di base, quello che è giusto e quello è sbagliato: e che l’universo si aggiusta un pezzo alla volta, ciascuno nel suo piccolo procedere quotidiano.
E forse vale anche il fatto che chi ha (ri)costruito il mondo sia il tipo di persona che ha avuto quell’atteggiamento, che non ha voltato le spalle, ma si è rimboccato le maniche e ha provato a mettere a posto quello che davanti ai suoi occhi non funzionava. Ecco, Gilla è sicuramente una persona di questo tipo.
Benedetta Del Re e Davide Lamandini
(In copertina Raffaella Romagnolo; un ringraziamento particolare all’ufficio stampa di Mondadori)