“Romanzo senza umani” (Feltrinelli, 2023) è l’ultimo libro di Paolo Di Paolo, scrittore e drammaturgo romano. L’opera, candidata al Premio Strega 2024, analizza la contraddittorietà dell’essere umano, fin dal suo titolo, invitando il lettore a interrogarsi su se stesso e sul proprio passato.
Un romanzo senza umani: era questo il proposito di Di Paolo per la stesura del libro, a detta dello stesso autore. La prima intenzione, infatti, era quella di scrivere un romanzo apocalittico che mostrasse un paesaggio cinquecentesco ormai disabitato. Un’opera che probabilmente sarebbe rientrata nel genere dell’ecofiction e del post-apocalittico contemporaneo, come ad esempio La strada (Einaudi, 2007) di Cormac McCarthy.
Eppure, questo testo trabocca di umanità. Infatti, il titolo di Romanzo senza umani è una contraddizione in termini: lo scrittore avrebbe voluto dar vita a un romanzo senza figure umane al suo interno. Tuttavia, dopo le prime pagine in cui presenta un paesaggio cinquecentesco completamente innevato, si è accorto che non era possibile. Questo perché, come afferma Di Paolo, “la scrittura è un gesto integralmente umano”.
La storia di un paesaggio esistenziale
L’intreccio del libro segue due binari: da una parte, la storia della glaciazione che colpì l’Europa centrale per 60 giorni nel 1573; dall’altra, la vita di Mauro Barbi che, in quanto studioso di storia, oltre che ripercorrere le vicende storiche ufficiali, non può fare a meno di ripercorrere ” i disastri climatici della sua esistenza” (p. 229).
Barbi si interessa di glaciazioni per lavoro, in particolare di quella che è passata ai posteri come “la piccola glaciazione” e come essa ha interessato il lago di Costanza, nel nord della Svizzera.
Un giorno, il protagonista decide di intraprendere un viaggio verso il luogo geografico oggetto del suo studio. Questo, però, si rivelerà anche un itinerario a ritroso attraverso le persone che hanno fatto parte della sua vita, anche quando si è trattato solo di brevi incursioni che i più giudicherebbero insignificanti.
Infatti, a volte capita di ripensare a coloro che sono entrati nella nostra esistenza e di chiederci perché, a un certo punto, li abbiamo lasciati andare, senza riuscire sempre a trovare una risposta.
Cosa ricordano gli altri di noi? È questo l’interrogativo centrale del libro che progressivamente comincia a tormentare la mente di Mauro, portandolo a recuperare i contatti con persone con cui non parlava da anni, o a rispondere a mail dimenticate nella posta elettronica.
Infatti, una delle sue preoccupazioni più assillanti è che l’immagine che gli altri hanno di lui non corrisponda a quella che lui, invece, vorrebbe lasciare di sé.
È arrivato il momento di ricostruire le ragioni di un esodo – lo spopolamento del paesaggio della mia esistenza: devo essermi distratto, è passato il tempo, mi sono guardato intorno e un mucchio di gente non c’era più. Ancora in vita, per carità, ma non più nella mia.
Paolo di Paolo, Romanzo senza umani, p. 97.
Mauro Barbi: la rappresentazione dell’inetto nell’epoca contemporanea
Una volta chiuso il romanzo, il lettore si ritrova appesantito da un’enorme angoscia.
Forse non ha senso svegliarsi un giorno e mettere in discussione le scelte compiute fino ad allora, come fa il protagonista del libro. Forse è giusto lasciare nel passato le persone che non fanno più parte della nostra esistenza, rassegnandoci al fatto che è andata così.
Ripercorrere tutti i rapporti umani avuti in una vita farebbe solo male, e aggiungerebbe dolore all’insoddisfazione: forse converrebbe semplicemente accettarlo, e aspettare che venga buio.
Oppure, ci si potrebbe voltare indietro, rivolgersi al passato della propria esistenza e riuscire a non avere rimpianti. Ma forse questo, a giudicare dal senso di incompiutezza che permea l’opera fino all’epilogo, non è possibile.
Si potrebbe includere Mauro Barbi nella categoria dell’inetto, figura molto presente nella letteratura europea a partire dalla metà dell’Ottocento: il protagonista, infatti, si è mostrato incapace di vincere la propria paura di affidarsi agli altri e di lasciarsi andare.
Non hai detto, non hai abbracciato, baciato, provato, osato, amato di più: e perché? dov’era il problema? che cosa ti frenava? Una paura inestinguibile.
Paolo di Paolo, Romanzo senza umani, p. 252.
D’altronde, questo è anche il destino di John Marcher, il protagonista del romanzo La bestia nella giungla (1903) di Henry James. Infatti, Marcher, così come accade a Mauro, sente lo spettro delle possibilità che avrebbero potuto essere e che invece non sono state.
La tragedia della vita del personaggio jamesiano è di non aver visto il balzo della belva, ovvero di non essersi accorto dell’amore di May Bartram, una donna che l’uomo aveva conosciuto dieci anni prima durante una vacanza in Italia.
Anche Mauro vive la stessa tragedia. Non ha saputo trattenere le persone nella sua vita e ha permesso a motivi futili di separarlo da coloro che amava e che lo amavano, come Anna, la ragazza del suo migliore amico, di cui un giorno si era accorto di essere innamorato.
Lo spettro delle mille possibilità di un’esistenza umana
È stato sempre così difficile affidarsi. Ancora più che fidarsi; credere nelle alleanze che maturano senza parentele dirette, nei sodalizi fra estranei che smettono di esserlo per qualche anno, se va bene per decenni. Ma accade che tornino tali: per via di accidenti imprevisti, una cabala altrettanto misteriosa di quella che ci fa incontrare e piacere.
Paolo di Paolo, Romanzo senza umani, p. 99.
Ciò che colpisce di questo romanzo è lo spettro delle mille possibilità che Barbi avrebbe potuto percorrere nel corso della sua vita. Ognuna di esse, infatti, corrisponde solo a una frazione infinitesimale di un’era glaciale.
Cosa sarebbe successo se fosse stato sempre lo stesso Mauro Barbi, ma avesse fatto scelte diverse? Se non avesse litigato con quel suo amico, se non avesse lasciato Anna, se avesse creduto di più nel suo lavoro. Se fosse stato diverso, se non fosse stato timido come gli altri lo accusano di essere e se non avesse avuto paura di mettersi a nudo.
Nel corso del romanzo e, soprattutto, nella parte finale emerge che la bestia, per Mauro, era Anna. Forse la felicità e la realizzazione erano lì, insieme a quella donna che da ragazzo aveva soffiato al suo migliore amico, e a sua figlia, Sofia, con cui basta una parola per riallacciare un dialogo che si era interrotto bruscamente anni prima.
L’ affetto è rimasto lì, fermo e congelato per tanti anni, ma Mauro non è stato in grado di comprenderlo per tempo. E adesso non gli rimane che naufragare nel ricordo di ciò che è stato e che non potrà più essere.
Perché è come dare un’occhiata alla tua vita da fuori ma senza di te. Nel giardinetto condominiale su cui ti affaccerai da comparsa, avresti potuto essere il protagonista.
Paolo di Paolo, Romanzo senza umani, p. 250.
La paura di mettersi a nudo, che abbiamo tutti
Forse è semplicemente questo il fulcro del romanzo: il momento in cui realizziamo che la nostra vita non è l’avverarsi di un destino già scritto, ma solo il frutto delle nostre scelte irreversibili.
Forse è solo la paura che ci fa commettere scelte sbagliate, o che a volte ci fa preferire non scegliere, credendo quest’ultima l’opzione più semplice e meno rischiosa.
Mi sono nascosto, defilato più che potevo, sgusciavo via appena mi sentivo indifeso, nudo, anche in senso letterale. Spaventato all’idea di svelarmi.
Paolo di Paolo, Romanzo senza umani, p. 100.
Mauro incarna la comune paura di mettersi a nudo, anche di fronte alle persone che si amano di più, un’enorme contraddizione se si pensa al parallelo bisogno umano di mostrare quotidianamente chi siamo e cosa facciamo.
Eppure, l’essere umano è composto da entrambe queste polarità: da una parte, ci soddisfa ostentare la parte di noi che riteniamo più socialmente accettabile. Dall’altra, abbiamo solo paura di svelarci, di farci scoprire, di mettere la nostra fragile esistenza nelle mani sbagliate.
Chiara Celeste Nardoianni
Questa recensione di Romanzo senza umani, di Paolo di Paolo, fa parte della rassegna Giovani Reporter in attesa del Premio Strega 2024.