Esistono libri belli e libri brutti, bestseller e tascabili da dimenticare nelle borse. E poi, ci sono i libri importanti, come “Dalla stessa parte mi troverai” (SEM, 2024), candidato al Premio Strega 2024, uno di quelli che ci vuole coraggio a scrivere se sei scrittrice e che ti chiedono di sospendere il tuo metro di giudizio, solo per un po’, se sei lettrice.
Dalla stessa parte mi troverai, di Valentina Mira, si annuncia come un libro simile a tanti altri: vuole parlare di Acca Larenzia, del fascismo, di Roma e delle anime che l’hanno abitata.
Nel dialogo tra i morti di Acca Larenzia del 1978 e quello che succede a Mario Scrocca nel 1987, il romanzo vuole portare alla luce la vita e la morte di uno dei tanti dimenticati.
Passando da un capitolo a quello successivo si scopre però che le voci che parlano sono molte di più, un coro che apparentemente ha poco o nulla in comune ma che invece ha tutto: il perdono.
All’ombra della lupa
Siamo a Roma, l’eterna caput mundi e, nonostante i secoli, il mito fondativo aleggia ancora tra le strade della capitale. Romolo e Remo diventano il simbolo di un peccato originale, una città che nasce dal sangue e dall’avidità di potere, un popolo che nasce dall’odio che avvelena anche il rapporto più puro, quello con un fratello.
L’immagine, posta in apertura del libro, passa da semplice leggenda sulla nascita di Roma a impalcatura dell’intero libro, quasi una cartina al tornasole per interpretare le pagine che scorreranno come un fiume. La fratellanza – o meglio, la sorellanza – diventa punto di incontro tra anime diverse, tra un Romolo e un Remo che sono cresciuti in epoche, realtà, quartieri e compagnie diverse ma che – scopriranno – hanno bisogno l’uno dell’altro.
Rossella Scarponi incontra Mario Scrocca a quindici anni e racconta di essersene innamorata subito. Il loro primo incontro raccoglie in nuce già tanto di ciò che sarà: lei è una femminista attiva nel collettivo di Via Ripetta e viene trascinata da un’amica alle case occupate di Tor Pignattara, dove Mario milita e collabora a progetti sociali.
Un incontro di sguardi, la scusa eterna dell’indumento prestato da restituire e, come da copione, i due si innamorano, davvero per sempre. Vanno a vivere insieme, partecipano ad attività comunitarie e al fermento culturale degli anni ‘80. Mario fa l’infermiere, Rossella la segretaria: decidono di avere un figlio, Tiziano. Va tutto bene.
Amare un fascista
E proprio qui la storia si interrompe: entriamo in un tempo sospeso della narrazione, con una dissonanza che all’inizio suona estranea, come se due libri fossero stati cuciti insieme, con attenzione.
A parlare è Valentina, l’autrice, e parla di sé. Non di una Valentina qualunque, non di un personaggio, ma proprio di sé stessa, con un’opera di denudamento e di onestà che raramente è dato vedere in chi scrive.
Il libro è uno strumento dotato di una sua concreta materialità e, attraverso la sua carta, diventa spesso scudo e filtro della persona che lo crea. Esistono i libri autobiografici, ma ne esistono di più “ispirati ad una storia vera”: l’io che parla al mondo si abbellisce, si nasconde. Si narra. Valentina dialoga coi lettori con un’immediatezza da confessionale e quasi sembra di intrudersi in un qualcosa di troppo intimo e personale per continuare a leggere.
Lo dice chiaro e tondo, lo scrive sulla carta che manda nelle librerie: io ho amato un fascista, ho avuto una relazione tossica con lui, ho conosciuto quelli come lui e li ho vissuti da dentro. Ma ora sono qui, per parlarne con voi. Le due storie sembrano non toccarsi, ma per capire quando si incontrano dobbiamo tornare ai giovani Mario e Rossella.
L’ombra di Acca Larenzia
Mario Scrocca è un ragazzo come tanti ai tempi: militante politico di Lotta Continua e sindacalista, si batte per le categorie emarginate e svantaggiate e rivendica fiero di essere proletario mentre conduce la sua semplice vita, anonima tra la moltitudine.
Finché la quattordicenne pentita Livia Todini, arrestata per i fatti di Acca Larenzia, nomina una serie di persone che indica confusamente come responsabili della strage. Tra questi un generico Mario, coi capelli ricci. E il mirino della Storia finisce proprio su Mario Scrocca, entra nelle mura calde di casa sua e non lo restituisce più.
Incriminato per i fatti accaduti nel 1978, viene portato al carcere Regina Coeli, dove viene messo in isolamento. E grazie ad una serie di “cavilli” che permettono di sfruttare il weekend, non viene rilasciato.
Il giorno dopo viene ritrovato impiccato con la federa del cuscino a mo’ di cappio. In una cella anti-impiccagione. La storia di Mario e Rossella qui termina e ne inizia un’altra, quella di Rossella da sola e della sua lotta.
Sola sola, Soli Soli
In una ricerca disperata della verità, negli anni a venire Rossella accumula una quantità enorme di materiali sulla morte del marito, ma niente riesce a darle davvero la risposta che cerca.
Tantissime cose non tornano: il suicidio con una federa che non è abbastanza lunga, l’autopsia fatta immediatamente senza nemmeno il permesso della famiglia, il medico che afferma che l’impiccagione non torna e poi ritratta, il servizio di sorveglianza che avrebbe dovuto essere continuo ma non lo è stato.
Ce ne sarebbe abbastanza per un processo, ma per ottenere verità – o quantomeno giustizia – lei è sola contro uno Stato, contro le istituzioni e vari potenti. Sola sola. Anzi, soli soli, insieme a Tiziano. Proprio così si intitola il libro che Rossella pubblica tanti anni dopo, come per mettere ordine in questa trama disordinata.
Tutti gli altri indagati verranno prosciolti e il nome di Mario si perde nei meandri della storia insieme a quello di tanti altri, incastrati nella macchina pesante degli anni di piombo. Rossella non si arrenderà mai, nemmeno quando la solitudine si fa sentire: non solo quella, forse prevedibile, dettata da uno Stato complice, ma anche quella dei compagni di lotta, di coloro che sfilano a pugno alto accanto alla bara di Mario.
Così, sembra fallire un esperimento di speranza che ha portato all’estremismo e a tanti morti, un passato nostalgico di piazza e strada che può essere rivendicato solo in modo parziale, mai fino in fondo. Come scrive Valentina, “una solitudine di fatto, una resa di gran parte della collettività a dare un senso a quegli anni”.
Per le altre “te” nel mondo
Rossella non si arrende e la storia di Mario continua a raccontarla; lo fa col figlio che da grande è diventato attore, lo fa con alcuni giornali, in diversi programmi televisivi. E lo fa con Valentina.
L’incontro è spontaneo, curiosamente genuino. Alla presentazione del primo libro dell’autrice Rossella si avvicina e le due parlano tutta la sera. Mira capisce chi ha davanti e, alla fine della conversazione, decide che scriverà un libro che restituisca dignità e voce a Mario e Rossella, una contronarrazione di Acca Larentia e della celebrazione che vediamo rigurgitare sempre più abbondante negli ultimi anni. Dalla stessa parte mi troverai nasce così e diventa qualcosa di più.
Come accennato, nell’intreccio biografico si inserisce la voce di rottura di Mira che, quasi come se scrivesse un diario, racconta quanto può essere facile cadere nella trappola del fascismo quando questo si presenta come una persona che ti abbraccia e ti fa sentire amata.
La bruttura non si nasconde così in profondità, ma la complessità di essere umani ci fa spesso sviluppare uno sguardo selettivo per farci vedere quello che vogliamo noi.
E quindi essere complici del male, fare del male diventa quasi semplice, ti ci trovi in mezzo senza accorgertene. È un messaggio di una potenza e di un coraggio, quello che Mira porta come testimone di sé stessa, di cui dobbiamo fare tesoro.
“Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”, si dice, per rimarcare come nessuno di noi è privo di colpe. Nel tempo, però, di pietre ne sono state scagliate tante, da una parte e dall’altra, in un sordo scontro di voci che non si ascoltano.
Perdonare sé stessi
Mira, raccontando la storia di Rossella, dà spazio anche a sé stessa e riesce a perdonarsi, a condannare chi se lo merita e a ricordarci che l’antifascismo richiede ancora oggi un lavoro di riflessione attiva.
È per questo che scrivo. […]. Tentare di dare strumenti per salvarsi alle altre “te” che ci stanno in giro per il mondo. Perché è vero che il fascismo non si cura solo con i libri, ma mi rendo conto – se penso al passato – di essere stata intortata dal mio ex non solo per i meccanismi psicologici di manipolazione che ha messo in atto all’epoca, ma anche perché ero ignorante. Mi mancavano alcune nozioni fondamentali, alcuni elementi della storia più recente che non t’insegnano a scuola, e che di solito non fanno capolino nei romanzi.
Valentina Mira, Dalla stessa parte mi troverai.
A tratti, la scelta di accostare l’esperienza di Mira a quella di Rossella suona vagamente forzata, ma a conclusione del libro riesce a ricongiungersi in una chiusa molto bella, che rimette insieme tutti i fili del telaio e conferisce all’opera una potenza espressiva non indifferente.
La narrazione oscilla tra passati e presenti, momenti di analisi storica e d’intimità; quello che si ottiene è un romanzo che sa vagamente di manifesto. Parla di Acca Larenzia quasi senza citarla, tratta il tema del fascismo usando quella parola poche volte, racconta di vittime e carnefici senza scadere nel perbenismo o nel vittimismo. E ci ricorda quello che già disse Arendt nella Banalità del male: “La triste verità è che molto del male viene compiuto da persone che non si decidono mai ad essere buone o cattive”.
Dalla stessa parte mi troverai ci chiede di decidere. Di condannare chi va condannato, saper perdonare sé stessi e il mondo, di non essere indifferenti né banali. Insomma, di essere Rossella in un mondo di Romolo.
Alice Nanni
(In copertina, Rossella Scarponi e Mario Scrocca. Foto: La rossa primavera)
Questa recensione di Dalla stessa parte mi troverai, di Valentina Mira, fa parte della rassegna di Giovani Reporter in attesa del Premio Strega 2024.