CulturaInterviste

Cos’è Leila Bologna? – Intervista ad Antonio Beraldi

Leila Bologna 1

La prima Biblioteca degli Oggetti in Italia – in cui è possibile prendere in prestito oggetti gratuitamente evitando di comprarli – è nata otto anni fa proprio a Bologna. Leila Bologna nasce come associazione culturale da un’idea di Antonio Beraldi, che abbiamo avuto l’occasione e il piacere di intervistare.


Valentina Bianchi: Ci troviamo a Leila, che è la Biblioteca degli Oggetti di Bologna. Questo è un progetto che nasce all’estero, a Berlino, e tu sei stato il primo a portarla in Italia. Ecco, da cosa è nata l’idea di portarla qui?

Antonio Beraldi: Allora, siamo partiti per due ragioni di fondo. La prima è la semplicità, cioè l’idea del condividere gli oggetti al posto che possederli: già otto anni fa, quando siamo partiti, a mio avviso, era un’idea che seminava molto per il futuro.

Il secondo motivo è che volevo scommettere sul futuro: per me era il momento in cui volevo diventare papà, mi stavo chiedendo in che mondo avrei voluto crescere un bimbo o una bimba, e mi sono risposto che probabilmente non era quello che stavamo attraversando. Quindi, diciamo che l’unione di attivismo e scelte personali mi ha spinto a voler provare, tentare di portare questo progetto a Bologna.


V.B.: Ci sono state delle difficoltà quando avete deciso di iniziare il progetto?

A.B.: Io sono sempre stato abbastanza coinvolto nella vita della città, ma non mi ero mai impegnato in prima persona. Il progetto è nato da un “vediamo come va”, con una serie di dubbi e una elenco in cui li abbiamo scritti tutti.

Abbiamo mandato una mail a 80 persone, tra amici e conoscenti, come se fosse un progetto partecipativo. Avevamo poche aspettative, perché abbiamo fatto tutto a giugno, quando solitamente la gente spegne i computer e pensa già al mare.

In realtà, nel giro di poco tempo sono arrivati moltissimi feedback, e lo stesso in giro per Bologna, durante l’estate. Le domande erano le più diverse: come la chiameresti, ti piacerebbe come progetto, metteresti in condivisione qualcosa di tuo, pagheresti una tessera, faresti il volontario?

Una volta raccolti un po’ di feedback abbiamo scritto al Comune, all’Ufficio di Cittadinanza Attiva, presentando il progetto, sempre con l’idea del “chissà quando ci risponderanno”. Ci hanno risposto dopo dieci giorni e da lì siamo partiti e non ci siamo più fermati: dopo otto anni le cose stanno andando benissimo.

Leila Bologna immagine 2.

Stefania Berehoi: Come funziona esattamente la Biblioteca degli Oggetti?

A.B.: Il funzionamento della Biblioteca degli Oggetti è abbastanza semplice. Bisogna fare un tesseramento annuale, che da ormai più di due anni offre il comune di Bologna se la persona ha già la tessera delle biblioteche comunali. Dal secondo in poi invece la persona che dà un contributo di 15 euro all’anno, poco più di un euro al mese.

Questo significa solo aderire al progetto; per poter usare e prendere in prestito tutti gli oggetti che vedi, ognuno deve mettersi in gioco portando in biblioteca un proprio oggetto e accettando che quell’oggetto venga utilizzato dagli altri. In cambio, può prenotare, usare e restituire tutto quello che è presente nel catalogo visionabile online.

Alla fine dell’anno la persona deciderà se continuare a usare il servizio; quindi, rinnovare l’abbonamento e lasciare il suo oggetto in condivisione, oppure abbandonare la tessera e riprenderselo. Non accettiamo regali, non accettiamo donazioni, facciamo solo pura condivisione.


S.B.: Raccontaci anche dei vostri corsi?

A.B.: Allora, abbiamo questo spazio laboratoriale che funziona in diversi modi. Il primo è simile a quello di una palestra: le persone che hanno l’esigenza di costruirsi un tavolino un letto o una sedia ma non hanno lo spazio a casa possono venire a Leila, prendere un pacchetto di ore e lavorare qui.

E poi c’è un’altra strada: se sei un artigiano, un artista o semplicemente un cittadino che vuole organizzare un laboratorio con gli amici, puoi venire e prendere in condivisione lo spazio di Leila dando un contributo.

In questo momento ci sono diversi laboratori attivi: c’è un corso di falegnameria per bambini, che ormai è una costante e si interrompe solo nel periodo estivo; c’è un corso di fotografia; e ci sono stati corsi legati alla sartoria, corsi di uncinetto, di autoriparazione degli oggetti, di pasta sfoglia, su come si utilizza la stampante 3D. Insomma, ce n’è per tutti.


V.B.: Nel corso di questi anni abbiamo assistito, sia a livello globale sia in Italia, a molte iniziative che mirano a ridurre la propria impronta ecologica e, in generale, gli sprechi. Penso a Vinted, dove si possono vendere e comprare vestiti di seconda mano che non usiamo più, o a Too Good To Go, dove si possono acquistare beni alimentari a basso prezzo da negozi che altrimenti li butterebbero via. Sembra quindi che stia crescendo la consapevolezza di dover fare qualcosa: lei crede che sia sufficiente o che dovremmo fare di più?

A.B.: Una delle cose più importanti che mi ha insegnato questo progetto è che spesso ci disegniamo molto peggiori di quello che in realtà siamo, e lo posso dire perché il rispetto per gli oggetti che c’è in questo progetto è qualcosa di inaspettato. All’inizio in tanti dicevano “sì, bella l’idea, però pensa se si rompe qualcosa”. In otto anni abbiamo avuto veramente pochi problemi e quelli che abbiamo avuto sono stati occasioni di rilancio.

Perché sto parlando di questo rispetto? Perché è ovvio che si può fare sempre di più, però a volte questo ci rende ciechi, ci opprime, ci deprime rispetto a quello che stiamo facendo. Leila è uno dei tanti progetti, ne hai citati altri. Oggi guardare al futuro significa aprirsi nuove strade, trovare nuovi strumenti, guardare da angolazioni differenti rispetto a quelle dei nostri genitori e dei nostri nonni.

E tutto questo prevede, secondo me, cambiamenti molto più radicali di quelli che hanno dovuto vivere le generazioni precedenti, perché abbiamo opportunità e momenti differenti. Anche il Covid, nella sua tragicità, è stata un’occasione che ha fatto emergere tante lacune, tanti punti neri e punti di rottura rispetto a un modello consumistico come quello che ci ha portato a quel punto.

Leila entra a casa delle persone e può aiutare a cambiare il proprio stile di vita senza rinunciare a niente. Se ci pensi, l’economia circolare è basata su tanti principi, azioni che portano a rinunce: rinunciare alla carne, alla macchina. Questo progetto forse è uno dei pochi a funzionare da moltiplicatore: chiede alle persone di mettersi in gioco.

Quindi, chi partecipa, chi vuole usufruire della biblioteca, deve mettere qualcosa di proprio a disposizione degli altri rinunciando al possedere – per un anno, perché poi quell’oggetto torna a casa – e ne guadagna molti altri. È uno scambio.


V.B.: Nella società di oggi, soprattutto per noi giovani, si percepisce un forte senso di impotenza nei confronti del futuro, dovuto sicuramente al fatto che ci troviamo in un periodo storico difficile a livello sia italiano che globale. Lei è riuscito comunque a realizzare un progetto, Leila, che è un’idea molto semplice però allo stesso tempo efficace: che consiglio si sente di dare alle nuove generazioni, cosa possono concretamente fare?

A.B.: Questa è una domanda molto complessa perché presuppone che io conosca i giovani molto bene.

In realtà, io insegno in un istituto professionale; quindi, un poco li conosco, per quello che mi fanno vedere. Tento di unire quello che vedo e quello che vivo all’interno di un progetto come questo e nella mia quotidianità, e in particolare nel mio ruolo di genitore di una bimba piccola.

Credo che la sfida sia molto alta, che ci sia un grosso problema di ascolto perché i giovani sono sempre visti nel loro lato più adolescenziale, e l’adolescenza è casino. L’adolescenza mette in discussione l’adulto e l’adulto non ha gli strumenti per stare davanti all’adolescente, così come l’adolescente non ha gli strumenti per stare davanti all’adulto. Io non vedo in questo qualcosa di negativo, perché esattamente tutti e due sono dove devono essere; sicuramente però manca un’alleanza, questo sì.

Io sono del 1981, quando ho iniziato le superiori c’erano gli scioperi dei metalmeccanici e non avveniva uno sciopero senza la partecipazione del movimento studentesco, perché la solidarietà andava ben oltre le categorie, era una visione comune. E il mondo degli adolescenti incontrava il mondo degli adulti.

Ognuno fa il proprio ruolo, l’adulto fa l’adulto – il genitore, l’insegnante – l’adolescente fa casino, entra in crisi, mette in dubbio i genitori perché deve passare da lì per crearsi una propria identità. Ma, comunque, c’erano dei momenti di unione dove si guardava nella stessa direzione, quella del futuro. E questo aiutava anche ad avere meno ansie perché in un certo qual modo ci si affidava reciprocamente.

Oggi questo patto generazionale è rotto, ormai da vent’anni si sgretola piano piano, per lasciare posto a qualcos’altro. E in certo senso posso dire di vedere questo qualcos’altro, altrimenti non avrei messo su una roba del genere. Tutte le ansie che accompagnano i giovani non sono dei funghi che nascono spontaneamente, ma sono la reazione, o l’incapacità di reagire, davanti a qualcosa che c’è, è reale ed è portato dal mondo degli adulti.

Quindi, oltre alla contestazione – che deve esserci e guai se manca – deve esserci anche un modo per reagire contestualmente. Questo spesso è trovare degli strumenti che investano sul futuro perché spesso è la mancanza di strumenti che aumenta l’ansia, in quanto ci si sente spaesati, impotenti.

Alla mia età si andava a scuola, si studiava, c’era l’università che ti aiutava a seminare per il futuro, mentre oggi siamo anche in una crisi della formazione. Quando ti manca quello, la cultura, si fa molta più fatica perché ti senti senza strumenti.

Noi, nel nostro piccolo, abbiamo un po’ la presunzione di fornire uno strumento, e questo perché prima di tutto siamo un movimento culturale, solo dopo arrivano gli oggetti, l’utilizzo, l’impronta ecologica, il risparmio economico.


V.B.: Descrivete Leila come una “libreria degli oggetti” e una “biblioteca, solo che ci sono gli oggetti”. Il progetto tiene insieme quindi un aspetto economico ed ecologico da una parte e uno culturale dall’altra. Qual è e quale dovrebbe essere, secondo lei, il ruolo della cultura nella nostra società e come può influenzare gli altri settori?

A.B.: Senza cultura, tutto il resto viene ridotto a oggetti, strumenti, attrezzi. La cultura è l’unico motore capace di dare lungimiranza: lo vediamo nell’impegno che le persone mettono nel fare il volontariato in una realtà come la nostra, e l’approccio al volontariato è cambiato molto, soprattutto da dopo la pandemia – lo vediamo qui a Leila.

Probabilmente perché il tempo ha acquistato un significato diverso dopo la pandemia. Tutto si è fermato e abbiamo iniziato a dialogare con questo tempo. Penso alle persone che pur di fare due chiacchiere con qualcuno compravano un cane, andavano a giocare, si fermavano in giro.

Viviamo in una cultura in cui ognuno deve bastare a se stesso, deve essere un’isola. Quindi, non conosciamo chi vive di fianco a noi, e questo ci dà una percezione di esserci riusciti. Bene, questo è stato messo totalmente in crisi e abbiamo iniziato a capire che il dirimpettaio invece era qualcuno non solo da aiutare, ma che poteva anche aiutarci. E parlo anche della relazione. Sono sbocciati i rapporti di buon vicinato, abbiamo iniziato a osservare fuori dalle nostre finestre e non solo a guardare dentro le nostre case.

Ecco, questo ha a che fare con un’idea di cultura che immaginiamo anche noi, qui a Leila. Abbiamo capito che probabilmente possiamo essere molto più protagonisti di quello che spesso ci dicono o ci raccontiamo. Tante volte siamo noi a tarparci le ali molto più di quanto non lo facciano gli altri, e anche questo ha a che fare con delle scelte. Più mi sento attivo nella vita comunitaria, più sento che la vita comunitaria mi nutre: anche questa è cultura.


V.B.: Lo scambio di oggetti diventa anche uno scambio di storie, un arricchimento reciproco sia da parte di chi prende in prestito che da parte di chi dona. In una società che va sempre più verso l’individualismo, accentuato anche dalla pandemia, quanto è importante dare valore ai rapporti umani?

 A.B.: I rapporti umani sono il veicolo: l’avvitatore, la fisarmonica, il grill, il tamburo sarebbero solo oggetti, se non venissero animati dalle persone e dalla loro voglia di raccontare ad altri che cosa hanno fatto con queste cose. Quello che noi abbiamo visto durante il nostro percorso è che, otto anni fa, questo servizio veniva vissuto come una “bazza”, come si direbbe a Bologna.

Ovvero: mi manca qualcosa o mi si è rotta l’aspirapolvere? Bene, prima di comprarla, vengo per un mesetto, la uso, intanto metto da parte dei soldi, e poi la riporto. Piano piano, però, ho visto che le persone avevano molta voglia di raccontare quello che facevano con gli oggetti: in questo modo c’è stata un’evoluzione all’interno di Leila, che ha visto la nascita di una sorta di condivisione dei saperi.

La persona veniva e diceva “stupendo il trapano, però come si fa a montare una mensola in orizzontale? perché ci ho provato e i libri scivolano…”. Da questa necessità l’idea di attivarsi e di fare le cose insieme nel laboratorio. A volte da qui passa anche gente che potrebbe benissimo farsi le proprie cose a casa ma viene a farle qua, perché qui puoi scambiare due chiacchiere, ricevere dritte da chiunque passi, anche solo farti due risate.

Abbiamo visto come questo servizio sia veicolo di tanto altro. Otto anni fa, quando siamo partiti, noi ci siamo fatti la domanda “ma perché dobbiamo creare un luogo fisico?”. Sarebbe stato molto più facile creare una piattaforma in cui la gente condivide gli oggetti, tenendoli a casa; noi invece abbiamo fatto la scelta di riempire di nuovo, aumentare, allargare, innovare l’idea di biblioteca.

Le biblioteche classiche sono in crisi, sono molto in crisi, però sono un luogo importantissimo per la cultura. Hanno bisogno di un senso e di non mollare perché sono degli avamposti culturali fondamentali. Quando dovevamo decidere come chiamarci, abbiamo scelto il termine biblioteca apposta perché, già otto anni fa, il nostro obiettivo era prima di tutto culturale e volevamo riuscire ad arrivare nel circuito delle biblioteche comunali. E oggi Leila ci è arrivata.

Siamo in tre biblioteche a Bologna. Il servizio non è ancora decollato perché ci sono degli ostacoli, il mondo delle biblioteche non è ancora pronto ad accogliere un servizio come Leila, ma ci stiamo lavorando insieme. Anche questo fa parte della cultura. La cultura, se è un fuoco di paglia, è più una moda, e invece c’è bisogno di tempo e pazienza. Abbiamo aperto da poco le altre due biblioteche, piano piano il servizio sta arrivando anche nelle periferie e non solo.


V.B.: Bologna è una città famosa per la vita studentesca e gli studenti sono una parte integrante della città, in particolare i fuorisede. Avete mai pensato a una collaborazione con l’Università di Bologna? E quali sono in generale i progetti per il futuro di Leila?

A.B.: La collaborazione con l’Università di Bologna ha tentato di decollare per più di due anni, ma poi per diversi motivi non è andata avanti: la principale è che l’Università è un pachiderma gigante e invece l’associazionismo è acqua che scorre. A un certo punto noi ci siamo detti “bene, proseguiamo per la nostra strada e, quando il mondo universitario sarà pronto, noi ci saremo”.

Leila ha avuto sin da subito, sin dal 2016, una grande risonanza a livello mediatico cittadino e nazionale. Ogni anno partecipiamo a due o tre trasmissioni televisive: TG, giornali, radio. Qualche giorno fa eravamo su Repubblica nazionale, e poco dopo in diretta Radio Capital, per due anni consecutivi abbiamo tenuto il lancio di Mi illumino di meno di Radio 2 su Caterpillar. Per noi ha molta importanza avere tanti occhi addosso e tante persone.

Da due anni a questa parte, complice anche il fatto che a Bologna siamo aumentati esponenzialmente grazie alla collaborazione con la Salaborsa e le biblioteche di Bologna, abbiamo costruito una piattaforma che mette insieme l’esigenza in back-hand, cioè per chi gestisce la biblioteca, di organizzare bene e gestire soci, oggetti, prestiti.

Lato utente forniamo una web app che consente alle persone di prenotare gli oggetti, oppure se l’oggetto è fuori mettersi in lista di attesa, scambiarsi opinioni. Questa per noi è stata la svolta per riuscire a essere davvero un progetto pieno dalla A alla Z e poter essere replicabile in altre città.

Da poco è nata la rete delle biblioteche degli oggetti che vuole andare ad offrire uno strumento gestionale, oltre che la nostra esperienza di questi otto anni. Ci sono delle realtà che abbiamo accompagnato per piccoli pezzi o per lunghi tratti, a livello nazionale, e ci sono diverse biblioteche: quella di Palermo che si chiama Zero; la biblioteca degli oggetti di Ravenna, gestita da Villaggio Globale; la biblioteca degli oggetti a Cinisello Balsamo; un’altra a Brescia che si chiama In circolo.

Insomma, ne stanno nascendo diverse. L’obiettivo per noi non è solo quello di ramificarci tra le associazioni, ma è di offrire un servizio anche per i comuni che hanno voglia di implementare le opportunità all’interno delle biblioteche comunali. Per questo è iniziato un dialogo con il Comune di Bolzano, oppure altri comuni che hanno delle idee molto innovative, come il settimo municipio del Comune di Roma, dove ci sono diversi mercati rionali, dove possiamo sviluppare dei progetti di questo tipo.

L’altra frontiera che stiamo testando con un progetto pilota sono le aziende che oggi piano piano, o perché lo scelgono o perché sono costrette, devono essere attente a cosa succede nei territori dove lavorano l’agenda 2020-2030 ha delle linee guida molto chiare, soprattutto per le aziende medio-grandi, che devono investire dei budget per il loro report sugli ESG.

Leila è un’azione molto lontana dal greenwashing, molto concreta e che tra l’altro in un colpo solo riesce a connettere il welfare aziendale, quindi le azioni per i dipendenti, e il report di impatto socio-ambientale che le aziende devono iniziare ad implementare per guardare tutti insieme ad un futuro effettivamente più sostenibile da tutti i punti di vista.


S.B.: Vuoi lasciare un messaggio finale?

A.B.: Progetti come questo hanno un livello di sostenibilità che va di pari passo a quanto è grande l’ambizione di chi li vive. Dal punto di vista economico, siamo partiti con 1.000 Euro, otto anni fa, e piano piano siamo riusciti ogni anno, grazie anche al Comune di Bologna e ai bandi vinti, ad aumentare la mole non solo di denaro che gira – non ci aspettiamo milioni [ride, ndr.] – ma delle persone che animano il progetto, del tempo che vi viene dedicato.

Questo è un valore che non ti viene richiesto da nessuna parte: quando vai a fare le rendicontazioni, il valore apportato dai volontari, dalle ore passate qui a fare le riunioni, dalle ore spese nella comunicazione, viene registrato poco, o, meglio, veniva registrato poco. Anche in questo stiamo vedendo che c’è una svolta. I bandi iniziano a tenere conto di questo valore: adesso viene chiesto molto di fare rete sul territorio.

Oggi, se partecipi a un bando da solo, sei una realtà che non riesce a valorizzare le proprie competenze e i propri talenti. E, quindi, viene amplificato il valore che ognuno, ogni persona che entra da quella porta, mette nel progetto. Si tratta di un cambiamento molto bello perché dà un significato forte: tutto questo valore, che fino a pochi anni fa era scontato e ovvio, oggi invece per fortuna viene valorizzato, ed è una piccola rivoluzione culturale.

Chi fa volontariato ci mette il cuore: in progetti come il nostro, l’impatto a volte non è immediato. Questo è un progetto basato sulla fiducia, che si autoalimenta. Se punto in alto allora dentro la biblioteca troverò il drone, la stampante 3D, ma se io non ci credo e ti porto, ad esempio, un cacciavite, e tutti facciamo così, il progetto morirebbe.

Anche questo è un bel segnale in questi anni. Noi abbiamo dei passeggini che costano 600 Euro e nessuno più si presenta col cacciavite o con l’apriscatole. Ma questo non ha a che fare con l’educazione delle persone, ha che fare con un discorso di fiducia.


S.B.: Da un punto devi comunque iniziare: se non inizi, non avrai mai niente.

A.B.: Peggio ancora, se non inizi rimarrai un italiano medio: il campione mondiale delle lamentele mondiale. A un certo ti devi rimboccare le maniche e iniziare a fare qualcosa di concreto, perché non ci manca niente: la creatività, le relazioni, il coraggio. La biblioteca di Berlino dopo il primo anno di attività ha fatto circa 100 tesseramenti; a Bologna nello stesso periodo di tempo ne abbiamo fatti 92.

Nel 2016, quando siamo partiti, le biblioteche degli oggetti in Europa erano otto e si contavano veramente sulle dita di due mani. Tra il 2018 e il 2019 erano ventisei. E moltissimi ci hanno detto di essersi ispirati a Bologna, perché siamo stati gli unici che nel primo anno sono riusciti ad aprire quattro corner in città.

Nessuno in Europa si è ramificato così tanto, e in più, a proposito di cultura, molti dei progetti europei hanno mantenuto un taglio caritatevole: sono ospiti della Caritas, della parrocchia, degli scout. Io, lavorando da anni nel sociale e conoscendo bene Bologna, volevo evitarlo perché, se un progetto come questo si fosse fatto attaccare l’etichetta del “vado da Leila perché non ho i soldi”, avremmo ammazzato il progetto dal punto di vista culturale.

Non mi interessa del tuo ISEE, se vieni in Porsche o se sei un disoccupato; per me, l’importante è che, quando entri a Leica, sai cosa stai facendo: quella è la vittoria.

Intervista a cura di Stefania Berehoi e Valentina Bianchi

Ti potrebbero interessare
Cultura

“Noi vogliamo tutto” di Flavia Carlini – La politica nei social e nelle piazze

CulturaInterviste

“Sei un mito!” di Enrico Galiano – Come venire a patti con Phobos

CulturaInterviste

Pattini, una dea femminista – Intervista a Nadeesha Uyangoda

CulturaInterviste

La storia in uno scatto – Il World Press Photo 2024 a Bologna