Ci sono romanzi che fanno rumore, pieni di suspence, trame articolate e colpi di scena clamorosi; e ci sono romanzi che parlano a mezza voce e arrivano di soppiatto, quando meno te lo aspetti. Ecco, “Chi dice e chi tace” di Chiara Valerio (Sellerio, 2024), candidato al Premio Strega 2024, rientra in questa seconda tipologia di libri. Al centro di tutto un amore impossibile, Scauri con la sua “grazia scomposta” e una storia piena di pochi detti e tanti non detti.
Togliamoci subito il convitato di pietra: Vittoria è morta.
L’hanno ritrovata una domenica mattina, il corpo che galleggiava nella vasca da bagno, i polmoni pieni di acqua. Probabilmente è stato un banale incidente, come ne possono capitare tanti tutti i giorni. Nulla di nuovo, niente di speciale.
“Un incidente, un brutto incidente”
Mara, la donna che viveva con Vittoria a Scauri (in provincia di Latina, a due ore di treno da Roma) lo comunica all’avvocata Lea Russo “con tono piano, calmo, una telefonata di cortesia” (p. 13), e da quel momento Lea non riesce a togliersi dalla testa quello che è successo. Non riesce a capire.
Non era certo amica intima di Vittoria, anzi.
Eppure, la vedeva quasi tutti i giorni, scambiava con lei discorsi, battute, impressioni, la conosceva come si conoscono le persone nei paesi come Scauri, da una certa distanza; e, come fanno le persone nei paesi come Scauri, credeva di sapere tutto di lei.
Provava per la donna un misto di attrazione, imbarazzo e sorpresa, come di fronte a un animale mitologico, che non sai bene come trattare – e forse non sai neanche se sia reale o frutto della tua fantasia, di un sogno, di un bicchiere di vino.
Questo perché Vittoria la mitologia ce l’ha nel sangue. È una mitologia privata, fatta di terra fango e stelle, che non si presta a fedi o superstizioni, ma mantiene segreti e coltiva misteri, soprattutto dopo la morte.
La sua è una divinità pagana “distante ma curiosa, accogliente ma riservata, esatta ma evasiva” (p. 37), in una parola particolare – “particolare come a dire strana” (p. 16) –, con la sua risata che cominciava bassa e finiva acuta e la sua casa dove tutti potevano entrare e uscire quando volevano.
Era spuntata un giorno dal nulla, all’inizio degli anni Settanta, e si era trasferita con una donna che avrebbe potuto essere sua figlia, ma che sua figlia non era: Mara. Nessuno sapeva bene che parentela ci fosse tra le due donne. Nel paese “si dicevano tante cose e molte di più venivano taciute” (p. 36) circa il loro rapporto; eppure, “quando erano arrivate nessuno aveva fatto troppe domande, forse perché nessuno aveva capito che sarebbero rimaste” (p. 16).
Vittoria si era guadagnata, un pezzo alla volta, la fiducia degli abitanti di Scauri, e quindi il loro silenzio, i loro sorrisi: la loro ipocrisia.
Ma poi, chi era (veramente) Vittoria?
Chi dice e chi tace, dunque, è la storia di Vittoria. È lei il centro di tutto: lei muove i fili degli altri personaggi, nonostante sia morta, e lei è protagonista di tutti i loro pensieri. Viene quasi da credere che, morta Vittoria, sia morta anche Scauri, o che, quanto meno, la ferita provocata dalla sua morte improvvisa non si possa rimarginare con un semplice funerale. Il rito, spesso, non basta, e allora ci si costruisce attorno un mito, come fanno i personaggi di questo romanzo.
Laddove la morte in genere produce un moto centrifugo che allontana sempre di più il defunto dalle cose, dalle persone e dai luoghi della sua vita, Vittoria crea un moto centripeto che li attrae tutti a sé, senza via di scampo, che la amino o che abbiano smesso di amarla – la differenza, in fondo, è poca.
E, soprattutto, non è una sola persona: è tutte le donne che ha raccontato e interpretato di fronte agli altri, è una donna per ogni individuo che ha incontrato e a cui ha lasciato un pezzo di sé; ma nessuno ha il quadro completo. Il suo ritratto unitario e coerente forse non esiste, e Lea si affanna a cercare di dare un senso a ciò che forse un vero senso non ha, cioè la vita, e quindi la morte.
Vittoria era come il greco, aveva lasciato poche tracce e per raggiungere il significato, ammesso ce ne fosse uno, bisognava procedere ricombinando gli elementi, consci che sarebbe sempre rimasto un margine per l’interpretazione o, nel peggiore dei casi, che nessuna delle combinazioni avrebbe avuto senso.
Chiara Valerio, Chi dice e chi tace, p. 254.
Per riprendere il Timeo di Platone (citato da Chiara Valerio a p. 33), “gli uomini non sono cose di questa terra, ma del cielo” (Plat. Tim. 90a-b, traduzione di chi scrive), e forse Vittoria appartiene un po’ a un altro mondo, almeno rispetto ai suoi compaesani.
Scauri e la sua “grazia scomposta”
Nei paesi di provincia come Scauri tutto è sempre immobile.
Non è certo Chiara Valerio la prima a dirlo – a ben guardare, come ha scritto Paolo Di Paolo su Repubblica, “la storia della letteratura italiana è una storia di provincia” (22 febbraio 2024, p. 35) –, ma il romanzo si inserisce pienamente in questa tradizione e ci gioca. Così, Scauri diventa uno dei protagonisti più presenti in scena, secondo solo a Vittoria. Ma forse Vittoria è Scauri, e Scauri è Vittoria: dove finisca una e inizi l’altro, e viceversa, non è molto chiaro.
In questo ambiente dalla “grazia incongrua” (p. 41) o “scomposta” (p. 195), il tempo sembra davvero cristallizzato: è la Roma città eterna, in contrapposizione alla Venezia città immortale, per riprendere Così per sempre (Einaudi, 2022). A dare un movimento a tutto – paese, vite, azioni e ovviamente anche trama – è la morte di Vittoria. Il più estremo, statico e definitivo dei passi, come per paradosso, mette in moto l’intero impianto narrativo.
Di morte e memoria
A mano a mano che scende nel fango di questa storia, Lea si rende conto – e con lei gli altri personaggi di Chi dice e chi tace – che di Vittoria, una volta che la donna è morta, resta poco, perché poco era quello che si sapeva di lei in paese. Rimangono gli aneddoti, i ricordi, gli episodi di vita vissuta in cui ogni tanto il suo fantasma fa capolino, con tutto il suo carico di stravaganza e fascino.
E poi c’è una polaroid sfocata, dove “Vittoria avrebbe camminato fino a sbiadire. Così succedeva nelle polaroid” (p. 39). Il resto è avvolto nel mistero.
Due gli assi portanti: la memoria personale dei singoli personaggi – e dunque falsata, falsabile, falsificante – e la memoria collettiva del paese – mistica, mistificata, mistificatoria. Non sempre coincidono e nascondono tanti rumori, troppi silenzi.
Roma-Scauri, andata e ritorno
Non è propriamente un giallo, questo nuovo romanzo di Chiara Valerio, ma è sicuramente un libro che utilizza la struttura del giallo per parlare di altro, e che va molto oltre la morte della sua protagonista e l’indagine per capire cosa sia successo.
A ben guardare, l’episodio della vasca da bagno è solo un pretesto, un MacGuffin vagamente ironico – come a dire “io sono viva. Voi siete morti” – che serve a farci entrare nelle vite private dei personaggi in scena: nei loro sentimenti, nelle loro paure, nelle loro contraddizioni.
Si scava nel passato di una donna morta e, uno ad uno, emergono i passati degli uomini e delle donne vivi che stavano intorno a lei: prima fra tutti Lea Russo, un po’ stretta nel suo ruolo di detective improvvisato, passa pagine e pagine a ricordare e ritornare e cercare di capire che cosa abbia provato (o provi ancora?) per la protagonista.
E poi Mara, Luigi, Filomena e padre Michele, fino all’avvocato Pontecorvo e a Rebecca Lanza, Roma-Scauri andata e ritorno, sulle tracce dell’identità di Vittoria e della propria – che poi è sempre lì che la letteratura va a parare.
(Ancora) una storia d’amore
“In fondo, volevo scrivere un romanzo d’amore”, ha detto Chiara Valerio per descrivere Il cuore non si vede (Einaudi, 2019), ma è una frase che sintetizza molto bene anche questa storia.
Ecco, Chi dice e chi tace è il racconto di una donna che scopre gradualmente di essersi innamorata di un’altra donna. Il problema è che questa seconda donna è morta, anche se sembra dire molto più di quanto non facciano i personaggi in scena.
Alla fine del romanzo, resta l’impressione che non si sia parlato d’altro che di lei, di Vittoria, e che il suo fantasma sia più vivo che mai, almeno finché ci sarà qualcuno a tener viva nella memoria la sua risata, le sue parole, la sua sregolatezza.
I morti non devono essere messi fuori dalle strade dei vivi, ma “stanno in mezzo”, scrive Valerio nella nota conclusiva del romanzo (p. 276) – e in fondo sono affare di chi resta, non di chi se ne va.
Davide Lamandini
Questa recensione di Chi dice e chi tace, di Chiara Valerio, fa parte della rassegna di Giovani Reporter in attesa del Premio Strega 2024.
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