L’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce il divieto di qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, su sesso, razza, colore della pelle e orientamento sessuale. Eppure, episodi di discriminazione in Europa e in Italia sono all’ordine del giorno, specie nei confronti della comunità LGBTQ+: analizziamo la situazione italiana.
Sono diversi gli ambiti in cui possono avere luogo discriminazioni ed esse possono variare da semplici battute di cattivo gusto fino ad atti di violenza veri e propri.
Stando ai dati rilevati dall’indagine Istat-UNAR del 2022 sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBTQ+ in Italia, circa otto persone su dieci sono vittime di insulti, più o meno espliciti, rivolti al loro orientamento sessuale.
Ciò non stupisce se consideriamo che l’Italia occupa la trentaquattresima posizione su quarantanove nella classifica dei Paesi europei per le politiche a tutela dei diritti umani e dell’uguaglianza delle persone LGBTQ+.
Le discriminazioni nella vita quotidiana
L’Istituto Superiore di Sanità ha approvato nel 2023 il documento contenente “le linee di indirizzo per la comunicazione del personale sanitario con i/le pazienti LGBT+”, volto a contrastare i possibili atteggiamenti discriminatori da parte di quel personale sanitario che alle volte tende a definire l’orientamento sessuale in termini di normalità o patologia.
Tale documento intende promuovere, al contrario, un atteggiamento inclusivo, con particolare attenzione al lessico utilizzato, soprattutto per quanto riguarda le persone transgender e i figli di coppie omogenitoriali.
La scuola, dal canto suo, inizia cautamente a manifestare apertura verso la tutela dei diritti LGBTQ+ con incontri di formazione e progetti all’interno dei vari istituti scolastici.
In alcune città, come Bologna, già da diversi anni è attivo il progetto “Educare alle differenze” attraverso cui vengono realizzati laboratori e corsi di formazione per insegnanti nell’ambito della sensibilizzazione rispetto alle differenze di genere.
Nel “Patto di collaborazione LGBTQIA+” l’attenzione sul versante educativo e scolastico emerge con le proposte formative PCTO dedicate all’approfondimento della storia del movimento arcobaleno e alla promozione di tavoli di confronto alla presenza di esperti.
A fronte di questi progetti esemplari presenti anche in altre città italiane, permangono spesso una cultura e una politica che ostacolano il quieto vivere delle persone parte della comunità.
Dalle polemiche nate per lo spot Pupa, che vede una donna lasciare il suo promesso sposo sull’altare per raggiungere la sua amata, fino alla questione della trascrizione dei figli di coppie omogenitoriali, il cammino verso l’inclusività si dimostra ancora tortuoso.
Madri a tempo determinato
Un giorno un bambino (o una bambina) si sveglia e scopre che una delle sue figure di riferimento per la legge è diventato un perfetto estraneo.
Ritorna la famosa domanda: “Chi lo spiega ai bambini? Chi lo spiega a mio figlio?”. Quelle parole che vengono spesso utilizzate in alcuni contesti omofobi per attaccare la comunità LGBTQ+ e le famiglie arcobaleno tornano alla mente palesando questa volta un problema reale: chi lo spiega ai bambini e alle bambine che un giorno qualcuno si è svegliato e ha deciso che hanno un genitore in meno?
Il 6 febbraio 2024 la Corte d’appello di Milano ha annullato l’atto di riconoscimento con la doppia maternità di un minore ribaltando la sentenza di primo grado, come si legge nella sezione “news” del sito web delle famiglie arcobaleno.
In mancanza di una normativa sul riconoscimento dei minori figli di coppie omogenitoriali, le famiglie LGBTQ+ si sono viste prima riconoscere e poi annullare lo status di genitore. In questi casi, i primi a rimetterci sono proprio i figli e le figlie a cui viene negato il diritto fondamentale di crescere serenamente con le persone che amano e che li amano.
Quanto bisogna aspettare ancora?
Cosa accade se le coppie omogenitoriali si separano? Chi tutela la continuità affettiva dei minori?
Certo, in casi particolari c’è pur sempre la strada dell’adozione, ma possibile mai che un genitore debba adottare il suo stesso figlio o la sua stessa figlia, sostenendo costi elevati non soltanto in termini economici, ma anche temporali ed affettivi?
Intanto, fortunatamente, la Corte d’Appello di Roma ha precisato che “sulla carta d’identità di un bambino/bambina non possono essere indicati dati personali diversi da quelli che risultano nei registri dello stato civile”. Ciò significa che devono essere indicati i nomi di entrambe le madri o di entrambi i padri.
Viene però spontaneo chiedersi: quanto ancora dobbiamo aspettare affinché tutti i nuclei familiari siano riconosciuti e rispettati in maniera dignitosa? L’amore e le famiglie non possono essere considerati un ‘affare di stato’.
Claudia Cavagnuolo
(In copertina, immagine da Unsplash)
Per altri articoli sulle famiglie queer, leggi “Dare la vita” di Michela Murgia – Un inno alla libertà di Gioele Marangotto.