Sono una ragazza di 22 anni e a 18 ho scoperto di soffrire di epilessia. Non è facile convivere con questa malattia, soprattutto se le persone che ti vogliono bene (e che non vorrebbero vederti stare male) sono le stesse che te lo ricordano in continuazione. Arriva d’improvviso quando meno te lo aspetti e nei momenti meno opportuni, e ti lascia un vuoto dentro.
Che cos’è l’epilessia?
Prima di parlare della mia migliore amica, è fondamentale spiegare cosa sia. L’epilessia è una malattia neurologica cronica che può colpire qualsiasi persona, indipendentemente dal sesso e dall’età.
È caratterizzata da una persistente predisposizione del cervello a generare crisi epilettiche, ossia cambiamenti transitori del comportamento dovuti a scariche elettriche anomale e incontrollate di gruppi di neuroni, le cellule nervose che risiedono nel cervello. Questo tipo di scariche interrompe per pochi istanti la normale funzione cerebrale, al punto da provocare alterazioni dello stato di coscienza, movimenti involontari e certe volte anche convulsioni.
La parola “epilessia” deriva dal greco ἐπιλαμβάνω (epilambàno), che significa “essere sopraffatti”, “essere colti di sorpresa”, e così è stato anche nel mio caso. La sua è stata un’intrusione rumorosa e di gran effetto, visto anche il momento in cui è capitato.
Com’è iniziata la nostra amicizia?
La prima crisi è comparsa il 12 aprile 2020, il giorno di Pasqua, durante la quarantena causata dal Covid-19. Era una mattina come tante altre in quel periodo, stavo andando ad allenarmi nel portico di casa, e poi avevo in programma di giocare a pallone con mia sorella e mio papà.
Tornata a casa, ho deciso di farmi una doccia, e da lì il vuoto totale. Mi sono ritrovata qualche tempo dopo a letto, con i miei genitori che mi fissavano da dietro le mascherine, intorno i medici, senza avere idea di cosa fosse successo. Penso che sia stato il giorno più brutto della mia vita: non capivo nulla di tutto quello che mi stava accadendo e poi il vuoto, e gli altri che mi guardavano preoccupati e spaventati.
All’inizio non volevo recarmi in ospedale, ma alla fine mi ci hanno portato con la forza. Solo che, essendo maggiorenne da poco più di due mesi, sono dovuta andare da sola. Ero lì senza una spalla a cui potermi appoggiare, confusa e con la voglia di tornare a casa e trovare un po’ di affetto, affetto che in ospedale non potevo ricevere durante il Covid-19.
Tuttavia, è stata giornata più inconcludente della mia vita: non hanno capito cosa sia stato e sicuramente erano convinti che non fosse una crisi epilettica come l’aveva descritta mia madre. La mia dottoressa del tempo decise, comunque, di continuare a indagare, perché la diagnosi del pronto soccorso non la convinceva.
Per fortuna – o, per sfortuna, non saprei bene come definirla – è stata trovata una vecchia risonanza magnetica risalente al 2018, quando avevo fatto un incidente in motorino, e già da lì era presente l’anomalia nel mio cervello, ma nessuno aveva mai ritirato quel referto. Sono stata quasi per due anni come una bomba ad orologeria, pronta a esplodere in qualsiasi momento e alla fine è successo.
E questo è un breve riassunto di come io e la mia migliore amica ci siamo conosciute.
Un rapporto un po’ burrascoso
Da quel momento la mia vita è cambiata: tutti i giorni, due volte al giorno, sono costretta a prendere una medicina che dovrebbe salvarmi la vita, ma ogni tanto non lo fa molto bene.
Ad oggi, dopo quattro anni, si continua a non capire molto del motivo per cui le crisi continuano a manifestarsi, nonostante le medicine.
Mi sottopongo a visite continue per approfondire la situazione e per cercare di risolverla. L’unica cosa chiara è la presenza di un piccolo puntino nel cervello: la causa scatenante di ogni crisi epilettica.
La frustrazione è sempre la stessa del primo giorno: risvegliarmi e non capire niente, non ricordarmi dove mi trovi, cosa sia successo, chi siano le persone intorno a me, con tutti che ti guardano come se fossi un alieno; e questa per me è la cosa peggiore, che supera il mal di testa atroce e la lingua piena di sangue.
E poi la faccia delle persone che mi guardano con un misto di ansia, preoccupazione e paura. Anche se la terza è la più visibile, è il timore per quello che hanno appena visto, di non sapere come comportarsi. È la paura di starmi vicino, che tutto questo possa accadere di nuovo in loro presenza.
L’agonia viene portata avanti non riuscendo mai a trovare una diagnosi conclusiva perché nessuno riesce a comprendere e risolvere la cosa. Probabilmente la strada da percorrere per avere un quadro completo della situazione è ancora molto lunga.
Una convivenza difficile
Provo a vivere tutti i giorni come se nulla fosse, e molto spesso ci riesco, ma a volte capita di dover stare attenta ai luoghi da frequentare, perché le luci potrebbero darmi fastidio e farmi avere una crisi.
Vivo con la costante paura che, se faccio troppo tardi a una serata con gli amici, poi posso sentirmi male nei giorni successivi, e passo le giornate prima e dopo a dormire; ho paura di stressarmi troppo, e la paura mi provoca altro stress; non posso stare serena e bere un cocktail in più rispetto al solito perché nella mia testa rimane la vocina di mia madre che dice “smettila, non puoi bere, che vuoi fare, vuoi stare male?”.
La paura che possa accadere in situazioni poco opportune, come ad esempio quella volta prima di un esame in università. Non auguro a nessuno di uscire dal 33 di via Zamboni in barella con gli infermieri e non poter sostenere un esame per colpa dell’epilessia.
Se mi dovessero chiedere qual sia la cosa che mi pesa di più di questa malattia, probabilmente la mia risposta sarebbe il non poter avere la patente. Per le persone che non soffrono potrà sembrare superficiale, ma la tristezza che si prova sapendo che non puoi averla, non perché non riesci a superare l’esame o perché effettuare l’esame o prendere una macchina costa troppo o perché semplicemente non te la senti, ma non puoi perché te lo impedisce la legge.
Chi soffre di epilessia, prima di mettersi alla guida di nuovo o per la prima volta (come nel mio caso), non deve avere avuto nessuna crisi nel corso dell’ultimo anno. Non avere il documento di guida diventa sempre più frustrante e mi impedisce ancora una volta di condurre un’esistenza il più serena possibile.
Quindi no, non è facile convivere con questa malattia, perché per quanto io provi a condurre una vita normale certe volte è impossibile. Sono una ragazza di 22 anni, fuorisede a Bologna, e certe volte vorrei vivere tranquillamente, come fa il resto delle mie amiche.
Le persone che mi stanno attorno
I miei genitori, e la mia famiglia in generale, non vivono molto bene questa situazione. Si preoccupano per me, come è normale che sia – sarebbe peggio se non lo facessero – ma, se fossero meno opprimenti, probabilmente vivrei meglio il tutto.
Le mie amiche e i miei amici in realtà sono quelli che mi fanno pesare meno la situazione: non mi hanno mai fatto sentire in difetto, e sono sempre stati presenti, pronti a darmi una mano e ad accompagnarmi in ospedale in caso di crisi.
Non ne parlo molto. Forse prima lo facevo un po’ per vergogna, per come mi hanno fatto sentire le prime persone a cui l’ho raccontato e per colpa di tutte quelle persone che si sono allontanate considerandomi un mostro.
Adesso, invece, non ne parlo perché non ne sento il bisogno: se viene fuori l’argomento, se è necessario dirlo, ovviamente ne parlo, ma non mi presento dicendo di soffrire di epilessia.
Cosa fare quando si conosce una persona che soffre di epilessia?
Per prima cosa, ci sono le indicazioni effettive da seguire durante una crisi epilettica:
- Non farsi prendere dal panico e cercare di mantenere la calma;
- Osservare attentamente quello che accade alla persona durante lo svolgimento della crisi;
- Controllare la durata della crisi (e, se dura più di cinque minuti chiamare l’ambulanza);
- Allontanare oggetti pericolosi, duri o taglienti (che possono fare del male alla persona);
- Proteggere la testa della persona con qualcosa di morbido, durante la false compulsiva;
- A crisi conclusa, girarla su un fianco;
- Non tentare di aprire la bocca con le mani o con oggetti;
- Non bloccare i movimenti.
Tuttavia, per me, la cosa fondamentale da fare quando si conosce una persona che soffre di epilessia è non farle pensare di avere paura di lei.
Non è facile vivere con malattie invalidanti molto spesso come questa e come tante altre, ma l’importante è non abbattersi e cercare di vivere sempre con il sorriso: se la malattia non ti ha abbattuto e hai delle persone care al tuo fianco, significa che sei in grado di combatterla. E non è poco.
Benedetta Del Re
(In copertina Nouvelle Neige sur l’avenue, di Edvard Munch, 1906, dominio pubblico)