Valeria Zaffora ha avuto l’occasione di intervistare Michele Volpi (su Instagram @_mfox), uno tra i più promettenti giovani tatuatori della scena creativa italiana. Il suo studio di tatuaggi, “META tattoo lab”, aperto da poco più di un anno, si trova nel cuore di Bologna.
Valeria Zaffora: Cosa rappresenta per te il tatuaggio? È qualcosa di ornamentale o di simbolico?
Michele Volpi: Credo che per me il tatuaggio rappresenti entrambe le cose. Sicuramente, fra le due, è più simbolico, perché vedo il tatuaggio come un’espressione su pelle di un concetto o di qualcosa che ci piace.
Quindi per me la parte simbolica del tatuaggio è molto importante, perché appunto esprime un’idea, un significato, una storia da raccontare, in forma grafica attraverso i disegni e poi il tatuaggio su pelle.
Però, il tatuaggio nasce in realtà anche a livello ornamentale. Il mio stile non è proprio il più adatto come ornamento su pelle, perché ha delle forme un po’ geometriche, standard, che vengono posizionate bene, ma non è come lo stile giapponese, ad esempio, o tribale, dove si riesce a seguire bene le linee del corpo e a vestire il cliente.
V.Z.: A che età hai iniziato e come è cambiato da allora il mondo del tatuaggio?
M.V.: Ho iniziato che avevo intorno ai 23, 24 anni. Se penso a com’era dieci anni fa, questo mondo è cambiato molto: quando sono entrato, non c’erano tantissimi tatuatori e il tatuaggio in parte era ancora un tabù: non era così di moda e rappresentava una nicchia.
Poi, i social e il Covid hanno fatto in modo che molte persone vi si avvicinassero di più, perché ne hanno riconosciuto la bellezza, l’arte. Così, hanno iniziato a tatuare – anche perché le macchinette e gli strumenti necessari sono nel frattempo diventati molto più accessibili.
Credo che in quel periodo le persone si siano ritrovate chiuse in casa e si siano annoiate; così, alcuni hanno provato a iniziare a tatuare, e molti ci sono riusciti, hanno fatto la gavetta e hanno acquisito l’esperienza necessaria a diventare tatuatori professionisti. E poi sono subentrati dei nuovi stili.
Quindi, oggi ci sono molte più possibilità, sia per quanto riguarda i temi, sia per lo stile e il tatuatore.
V.Z.: Il tuo sogno è sempre stato questo?
M.V.: In realtà, all’inizio, volevo diventare un musicista. L’arte mi è sempre piaciuta, ma soprattutto mi è sempre piaciuto creare qualcosa, avere le mani in pasta.
Dalla musica sono passato al tatuaggio, ma quasi per sbaglio, perché mi sono appassionato all’illustrazione; ma non avrei mai pensato che il mondo dei tatuaggi potesse darmi un lavoro, potesse trasformare la mia passione in lavoro.
Di conseguenza, è stato un caso: mentre stavo cercando di entrare nel mondo del graphic design un mio amico mi ha proposto di comprare il kit per tatuare; da lì mi sono innamorato di questo mondo e ho sentito che era la mia strada.
Ho iniziato a studiare e mi sono reso conto che fare il tatuatore non significava solo entrare nello studio e tatuare, ma che c’erano delle realtà parallele che erano più “scelgo il tatuatore perché mi piace il suo stile”. Il tatuaggio, così, diventa qualcosa che appartiene sia al tatuatore che al cliente.
V.Z.: Ci puoi raccontare il tuo percorso prima di arrivare al mondo del tatuaggio?
M.V.: Io disegno più o meno dalla prima media; poi, alle superiori, ho scelto l’istituto tecnico industriale, ho fatto il biennio, ma mi piaceva più il disegno tecnico che il disegno illustrativo. Ho fatto due anni di studio tecnico, con molto disegno, e dopo ho scelto elettrotecnica; al quarto anno mi sono accorto che, disegnando sempre durante le lezioni, questa era la mia passione principale.
Da lì ho pensato di fare l’università, o magari l’Accademia di Belle Arti, o anche un corso di disegno, un master. Quando ho finito l’istituto tecnico, ho iniziato a lavorare sporadicamente per guadagnare, portando avanti la mia passione e facendo un book, e poi lì è subentrata l’idea di provare a fare il graphic designer. Poi il mio amico mi ha proposto di comprare il kit, ed è iniziato tutto.
V.Z.: E la passione per la scienza?
M.V.: Quella arriva dopo. Ho iniziato a tatuare e, quando mi sono trasferito a Bologna, ho scoperto una grande passione per le illustrazioni scientifiche; e mi sono appassionato anche alla fisica quantistica. Mi sono reso conto che avevo una passione per la scienza e così ho iniziato a collezionare illustrazioni scientifiche, botaniche, anatomiche, mediche, zoologiche e compagnia.
Visto che dopo un certo periodo mi sono annoiato dello stile che facevo, geometrico mixato al naturalistico, e ho deciso di portare la scienza nel mondo del tatuaggio. Così, ho iniziato a fondere queste due passioni nel mio stile e sono diventato il “tatuatore scientifico”, o almeno così dicono; io, semplicemente, mi definisco un “artigiano”.
V.Z.: Perché hai scelto Bologna?
M.V.: A Bologna ogni tanto ci venivo perché, essendo delle Marche (di Sant’Elpidio a Mare, in provincia di Fermo), Bologna è la città più vicina dove organizzano concerti ed eventi vari. A un certo punto mi sono reso conto che volevo cambiare aria, ero anche un po’ deluso di non aver fatto l’università: avevo bisogno di cambiare aria e allo stesso tempo paura di affossarmi.
Allora, ho cercato una città che mi piacesse, mi sono spostato e ho fatto l’esperienza che non avevo fatto all’università, con il lavoro. Mi sono trasferito qua e sin dai primi giorni questa città mi ha accolto benissimo, fin da subito ho capito che la scelta che avevo fatto era giusta.
V.Z.: Ti sei inserito subito nel mondo del tatuaggio o il processo è stato più lento?
M.V.: Da questo punto di vista le Marche mi hanno aiutato molto perché vicino a casa mia ci sono tanti piccoli paesi. Le persone frequentano spesso gli stessi posti e ci si conosce un po’ tutti.
Questo mi ha aiutato a crearmi i primi clienti. Poi, quando sono entrati in studio, che ero ancora nelle Marche, sono iniziati ad aumentare, perché contemporaneamente sono diventato più visibile su Instagram. Quindi, Instagram come social mi ha portato una visibilità altissima e tanti clienti.
Quando mi sono trasferito a Bologna, quella visibilità mi ha aiutato molto, oltre al fatto che il mio è uno stile particolare, che magari nel mondo del tatuaggio non è comune. E a Bologna i clienti sono aumentati sempre di più.
V.Z.: Nella realizzazione dei tatuaggi utilizzi ancora il disegno a mano o fai tutto con il tablet?
M.V.: Io ho iniziato con il disegno, partendo dalle scritte che facevo; quindi, all’inizio, se qualcuno mi chiedeva di scrivere “carpe diem” prendevo il font con la carta copiativa, la ricalcavo e poi facevo lo stencil a mano.
Quando sono arrivato a Bologna, ho comprato l’IPad Pro, pian piano ci ho preso la mano e ho rivoluzionato completamente il mio lavoro: non disegnavo più su carta ma su tablet e questo ha velocizzato tantissimo il tutto. Ora disegno solamente in digitale; però, se devo fare un disegno per i book, lo faccio a mano sulla carta.
V.Z.: I tuoi tatuaggi sono stati definiti “scientifici e surrealisti”, che sono due concetti apparentemente molto distanti. Come si conciliano nella tua arte?
M.V.: Non credo che siano due mondi distanti, lo sono in teoria, ma nella pratica si possono fondere bene, attraverso la creatività. Per me l’arte non ha confini: il surrealismo mi aiuta a esprimere delle teorie scientifiche.
Vedo insieme questi due aspetti, anche se spesso su pelle li divido perché la scienza ha delle sue regole a livello illustrativo: nel caso di Schrödinger, per forza ci deve essere un gatto, per forza ci deve essere una boccetta di veleno che esplode; invece, il surrealismo mi aiuta con i concetti più astratti.
V.Z.: Ho notato che nei tuoi post metti un titolo ad ogni tatuaggio. È perché vivi quello che fai come un’opera d’arte?
M.V.: Sì, mi piace vederla in questo modo, ma il motivo principale per cui inserisco il titolo è perché mi piace far capire alle persone cosa stanno osservando. Se un’idea è surreale e io la riporto su pelle, ogni persona può darle un suo significato in base alla sua sensibilità. Io, invece, vorrei trasmettere quello che io personalmente ho visto e ho pensato quando sono riuscito a disegnare quell’idea e poi a trasporla su pelle.
Quindi, mi piace dare un titolo ai miei tatuaggi per questo, ma anche perché spesso esprimendo idee scientifiche riesco a far capire a quale teoria, a quale paradosso mi sto riferendo, così diventa quasi informativo. Ovviamente, le mie fonti sono sempre, per quanto riguarda la parte scientifica, abbastanza reali, perché mi capita di tatuare clienti che, come lavoro, fanno i fisici delle particelle, i chimici o i biologi, e che mi aiutano a trovare le spiegazioni più adatte per i tatuaggi.
V.Z.: Quindi per te diventa anche un modo di imparare.
M.V.: Sì, però l’abitudine di dare un titolo ai miei tatuaggi risale anche alla pittura, perché spesso le opere surrealiste hanno dei titoli astratti che permettono di capire meglio quello che la tela rappresenta, come nei casi di Magritte o di Dalí, che hanno titoli ben definiti che ti fanno comprendere meglio il soggetto.
V.Z.: Quali sono i tuoi riferimenti artistici?
M.V.: Sicuramente il mio principale riferimento artistico è Magritte, per le sue idee e per la qualità del suo surrealismo, ma anche per come riusciva a rendere dei concetti astratti soggetti dei suoi quadri.
Mi piacciono molto anche Dalì e Picasso, per il cubismo; e, di Da Vinci, mi piaceva l’estro, la genialità che gli permetteva di creare e di passare dalla pittura al disegno, al mondo anatomico, alla meccanica. Inoltre, a livello anatomico Netter, il genio che ha avuto l’idea di creare un Atlante di anatomia tuttora utilizzato nelle facoltà di Medicina.
V.Z.: Come sono conciliabili per te questi due mondi e queste correnti artistiche così diverse tra di loro?
M.V.: Cerco di prendere ispirazione da tutto, dalle illustrazioni, dalle forme, sia a livello tecnico che di soggetti, per poi trasformarlo in concetti e teorie che voglio esprimere. Quindi, a volte mi capita di sfogliare dei loro libri per prendere degli spunti da cui partire.
V.Z.: Il cliente arriva già con un’idea o ci lavorate insieme?
M.V.: Funziona così: il cliente arriva con un’idea, magari una frase di un libro che ha letto, oppure un concetto astratto, o con una frase che gli è stata scritta dalla nonna, o anche teorie di psicologia o psichiatria. Mi faccio inviare dei miei tatuaggi che gli piacciono, per capire i suoi gusti. Basandomi sull’idea iniziale, cerco di pensarne a un’altra nuova.
Poi la propongo, nel 90% delle volte va bene, altre volte capita che ti chiedano di cambiare soggetto, perché l’idea non li convince. Spesso, se è troppo complicato via mail, li faccio venire in studio e capiamo insieme cosa fare.
Il 95% delle volte va bene, qualche volta no, perché non c’è connessione, oppure perché non tutti i concetti sono trasformabili. Dal mio punto di vista, quando un cliente mi porta una cosa così profonda che io creo e lui si tatua, è un po’ come se gli stessi dando una medicina.
È come se il cliente desse al suo corpo qualcosa che è stato creato per esorcizzare uno stato d’animo negativo oppure per passare un periodo difficile. Spesso sento che il cliente è proprio contento perché è riuscito a metterlo su pelle.
Intervista a cura di Valeria Zaffora, con la collaborazione di Davide Lamandini.
(In copertina, il tatuatore Michele Volpi; foto di Michele Volpi, si ringrazia Alice Rosellino per la gentile concessione)